Tracey Emin (classe 1963) ritorna ad esporre alla Galleria Lorcan O’Neill di Roma, lo spazio che l’aveva già vista protagonista nel 2019 di un altro progetto pittorico, Leaving. Le figure scarne, tracciate con rapidi gesti del pennello su carta e tela, popolano un mondo in cui desiderio, amore, sesso si accompagnano sempre al dolore.

Questi temi autobiografici e confessionali costituiscono da sempre il materiale attraverso il quale l’artista britannica è nota ormai da tempo.

Tracey Emin nasce artisticamente intorno a metà degli anni ’90, parte di quello straordinario gruppo londinese chiamato Young British Artists (Y.B.A.), promosso dal gallerista Charles Saatchi, proprietario, con il fratello, di una delle più importanti agenzie di pubblicità del tempo, oltre che collezionista e mercante d’arte.

La Gran Bretagna tutta, e Londra in particolare, liberatasi dal thatcherismo e immersa nella spregiudicatezza laburista di Tony Blair, divenne un luogo culturale per eccellenza, anticipando molti degli elementi caratterizzanti il nostro contemporaneo, artistico e non solo, attraverso una narrazione spettacolare o shoccante.

Gli Y. B. A., attingendo a piene mani dalla pop art, l’arte concettuale e il minimalismo, e mescolando elementi provenienti dalla cultura alta a quella di massa, divennero accessibili anche ad un pubblico non avvezzo alla frequentazione di mostre e musei, grazie all’uso di materiali non tradizionali, esponendo in spazi inusuali (anche magazzini in disuso e club) e sfruttando una copertura massmediatica senza precedenti.

Chi non ricorda il gigantesco squalo tigre in formaldeide di Damien Hirst (forse, il più noto tra i Y.B.A.), che, probabilmente, sarebbe stato meno memorabile se non fosse stato intitolato The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, ossia L’impossibilità fisica della morte nella mente di un essere vivente, concetto volutamente paradossale e provocatorio, sospeso tra la vita e la morte.

Insieme a Damien Hirst e altri compagni del calibro di Sarah Lucas e Jenny Saville, Tracey Emin ha definitivamente sdoganato le divisioni tra diversi medium artistici, mescolando disegno, pittura, scultura, fotografia, videoarte e installazione.

L’opera My bed

Nel 1997, con l’opera Everyone I Have Ever Slept With 1963-1995,My Tent esposta alla Royal Academy di Londra, Tracey Emin raccoglieva in una tenda i nomi di tutti quelli con cui l’artista aveva condiviso un letto. Di quel centinaio di nomi, solo una parte erano stati suoi amanti, mentre il resto erano delle persone con cui aveva condiviso il letto, con cui si era rannicchiata a dormire per qualche ora.

Lo spazio piccolo e claustrofobico, che rappresenta un mondo ben più grande di quello che possiamo cogliere, ritorna con quella che, forse, è la sua opera più rappresentativa e quella con cui, a fine anni ’90, venne nominata per il Turner Prize (il premio di arte contemporanea istituito dalla Tate Britain).

My Bed è un’installazione composta da un letto disfatto, preservativi usati, biancheria sporca, bottiglie vuote, una confezione di pillole anticoncezionali, mozziconi di sigaretta e vecchie polaroid.

L’opera ci parla di un momento particolare della vita di Emin attraverso il luogo in cui aveva trascorso dei giorni a bere, fumare, mangiare, dormire in seguito alla fine di una relazione sentimentale. La confusione degli oggetti conduce lo spettatore all’interno del caos interiore dell’artista, immergendolo non in una performance, ma in una reale esperienza di vita.

Tracey Emin CV e l’infanzia difficile

Vita e arte continuano a coincidere totalmente anche in Tracey Emin CV, nove fogli A4 scritti a mano con inchiostro turchese, che parlano della infanzia difficile, dello stupro subito a tredici anni all’uscita da un locale, del trasferimento a Londra e dell’iscrizione alla scuola d’arte, che le ha cambiato la vita.

Quando espose nel 2019 a Roma, sempre alla galleria Lorcan O’Neill, Tracey Emin non sapeva di essere gravemente malata. Poco tempo dopo ricevette la diagnosi di un tumore alla vescica per il quale subì, nel 2020, un pesante intervento chirurgico. Nel corso del 2021 decise di condividere sui social gli scatti dei suoi giorni in ospedale e quelli di convalescenza, rendendo evidenti a tutti i segni della sua disabilità.

La crudeltà di quelle foto registra senza retorica uno stato dell’essere, scevro da qualsiasi forma di narcisismo. La sacca per urostomia diventa parte di sé e del suo nuovo corpo, come dimostra chiaramente in una delle tele oggi esposte, dove ancora una volta il letto torna ad essere protagonista.

“Non sono mai stata così felice. Insieme al dolore e alla disabilità, il cancro mi ha messa in contatto con me stessa molto più di quanto non fossi mai stata”.

Un altro dei dipinti della mostra rappresenta la crocifissione, affrontata non tanto per il suo significato religioso, quanto per una riflessione sul sacrificio, anzi, i suoi sacrifici, come donna e come artista.

“Penso, a questo punto della mia vita, di aver sacrificato parecchio per essere qui…non ho figli, non sono sposata, ho sacrificato tutte queste cose per essere un’artista. Ma non importa in quale situazione mi trovassi o quanto fossi disperata o spaventata, l’arte mi ha salvata”.

Margate, la cittadina del passato da cui fuggire, sta vivendo una fase di rilancio a cui Tracey Emin ha deciso di dare il suo contributo, insieme al suo ex compagno e gallerista Carl Freedman.

Ad ottobre 2022 Emin ha messo in asta da Christie’s Like a Cloud of Blood, uno dei primi dipinti realizzati dopo il trattamento del tumore. L’opera è servita a raccogliere fondi per il suo nuovo studio, a Margate appunto, e per il programma di residenza per studenti e giovani artisti, i TKE Studios (dal nome completo dell’artista, Tracey Karima Emin), insieme all’archivio da trasformare in una sorta di museo quando lei non ci sarà più. 

“Non voglio morire come un’artista che ha realizzato lavori interessanti. Voglio creare un futuro. Se la mia arte può far accadere qualcosa per il futuro, allora sto facendo la cosa giusta.

Vademecum

Tracey Emin,  “You Should Have Saved Me”, fino al 29/07/2023

GALLERIA LORCAN O’NEILL – CATINARI Vicolo dei Catinari 3 – Roma

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