Le Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali (CERS) – 2a parte: luci e ombre
Luci e ombre sulle novità in materia di CERS Comunità Energetiche Rinnovabili afferenti a cabina elettrica primaria di trasformazione.
Luci e ombre sulle novità in materia di CERS Comunità Energetiche Rinnovabili afferenti a cabina elettrica primaria di trasformazione.
Rispetto al nostro precedente articolo, oggi vogliamo approfondire le recenti novità contenute nel decreto del Ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica uscito il 24 febbraio 2024, che finalmente disciplina le Comunità Energetiche Rinnovabili CERS afferenti a cabina elettrica primaria di trasformazione.
Una prima ombra che si nota subito nel decreto è il limite di potenza totale degli impianti di 5 GW, cioè 5 milioni di Kilowatt, di cui almeno 2 GW sono riservati ai comuni con meno di 5.000 abitanti in cui risiedono meno di 10 milioni di cittadini su circa 59 milioni totali. I restanti 49 milioni devono accontentarsi di solo 3 GW! Ma soprattutto la possibilità di grandi configurazioni CER a livello nazionale, con deroga al limite di 1 MW per singolo impianto, riservate agli enti centrali come Ministero Difesa, Ministero dell’Interno, Ministero della Giustizia… potrebbero esaurire velocemente i 3 GW residui.
Ricordiamo che Fridays For Future Italia aveva chiesto 80 GW, 16 volte tanto, cercando di coprire tutti i comuni! Perchè? Il nuovo decreto prevede che si possano costituire Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) tra utenti afferenti alla stessa cabina elettrica primaria. Una cabina primaria consente la trasformazione da alta tensione a media tensione e serve migliaia di utenze.
In Italia ci sono circa 36 milioni di utenze elettriche e circa 2000 cabine primarie di trasformazione. Si tratta, in media, di circa 18.000 utenze per ogni cabina (di più nelle grandi città il cui c’è una maggiore densità di popolazione). L’attuale necessità annua di energia elettrica si attesta intorno ai 306,1 TWh (306 terawattora sono 306 miliardi di KWh). Necessità che tenderà più che a raddoppiare1 per il passaggio dall’energia fossile a quella elettrica (da caldaie a gas a pompe di calore elettriche, da trasporti basati su propulsione termica a trasporti elettrici, elettrificazione dei processi industriali …). Dato che 1 GW di potenza fotovoltaica produce annualmente circa 1,35 miliardi di Kwh2, per raggiungere l’obiettivo al 2030 del nostro PNIEC, Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, che è di 99,1 TWh di produzione fotovoltaica servirebbero impianti per circa 73 GW. Circa il 20% del fabbisogno stimato al 2030. Ma siamo molto lontani dal centrarlo, si veda la nota n.5.
Anche l’Unione Europea ci spinge nella stessa direzione. Raggiungere un target 2030 pari a 82 GW di impianti di energia rinnovabile, in linea con il REPowerEU definito dalla Commissione Europea, costerebbe circa 50-60 miliardi di euro, suddivisi tra 34-42 miliardi per il fotovoltaico e 14-21 per l’eolico, e genererebbe tra i 310.000 e i 410.000 nuovi posti di lavoro. Come finanziarli? Una possibilità sarebbe abolire i SAD (Sussidi Ambientalmente Dannosi) e investire quegli importi in nuovi impianti rinnovabili, soprattutto per le CERS. In Italia i SAD ammontano a una cifra stimata tra 20 e 403 miliardi di euro annui. Con meno di 3 anni di SAD faremmo tutti gli impianti rinnovabili che ci servono al 2030 creando lavoro, riducendo il riscaldamento climatico e migliorando la qualità della vita delle persone.
La IEA4 ritiene inoltre che il fotovoltaico avrà un ruolo sempre più rilevante in questa crescita, con la previsione di diventare in assoluto la prima fonte elettrica al 2050 (link qui). Raccomanda infatti di superare il 20% di energia elettrica prodotta da fotovoltaico al 2030 e di attestarsi a circa il 40% di produzione fotovoltaica al 20505. Tradotto in numeri vuol dire una produzione di oltre 80 TWh da fotovoltaico al 2030, che necessita di impianti di potenza pari a circa 60 GW, e 300 TWh al 2050, per cui sono necessari impianti di potenza pari a circa 215 GW.
Cogliamo la grande opportunità data dalle CERS e creiamo lavoro, facciamo comunità, impariamo a collaborare e convivere in pace! Investiamo, non poniamo freni e limitazioni, come il limite di 5 GW sopra citato, limitazioni utili solo alle grandi multinazionali delle fonti fossili per garantirsi i loro profitti e continuare a emettere gas climalteranti.
Risulta ora chiaro perché appena 5 GW di potenza previsti dal decreto CERS non paiono affatto adeguati alle indicazioni, tra loro convergenti, del nostro PNIEC, del REPowerEU e della IEA. Ma come vedremo nel seguito, convengono di più piccoli impianti distribuiti che grandi impianti centralizzati in quanto si risparmia sulle grandi infrastrutture di trasporto. Senza contare che gli impianti distribuiti delle CERS garantiscono un processo di democratizzazione dell’energia e maggiore consapevolezza e coinvolgimento dei cittadini.
Infatti un aumento di produzione elettrica così importante come quello conseguente alla mobilità elettrica, al riscaldamento e raffreddamento delle abitazioni basato su energia elettrica e all’elettrificazione delle filiere produttive richiede sicuramente energia rinnovabile, altrimenti non sarebbe efficace per contrastare il riscaldamento climatico. Ci sono però anche molte altre impegnative sfide. Proveremo a delinearne alcune.
Il primo problema strutturale da risolvere, conseguente all’aumento della produzione di elettricità, è quello del potenziamento delle infrastrutture di trasmissione elettriche su lunghe distanze e dell’adeguamento delle infrastrutture di trasformazione. Le CERS possono contribuire a contenere la necessità di potenziamento delle infrastrutture di trasmissione, devastanti per i territori e l’ambiente, in quanto l’energia prodotta da una CERS rimane confinata localmente, nell’ambito della porzione di territorio individuata da una cabina primaria di distribuzione, che coinvolge poche decine di migliaia di utenze, senza impegnare nuove linee di trasmissione ad alta tensione.
Il secondo aspetto da affrontare è l’intermittenza della produzione rinnovabile. In particolare la produzione fotovoltaica è tipicamente garantita durante il giorno. Da qui la necessità di accumulare l’energia prodotta. Le CERS potranno essere dotate di sistemi di accumulo decentrati, complessivamente di minori dimensioni rispetto a sistemi di accumulo di grandi centrali , in quanto le abitudini di consumo tenderanno a concentrarsi nei momenti di produzione del fotovoltaico per usufruire degli incentivi previsti dal decreto del 24.1.24 per l’energia autoconsumata. Le CERS contribuiscono quindi in modo fondamentale a orientare le abitudini di consumo verso la sostenibilità e il risparmio energetico.
Il terzo problema che dovremo affrontare è legato alla riduzione della dispersione (e quindi dello spreco di energia) dovuta alla distribuzione dell’elettricità su lunghe distanze. Anche in questo caso le CERS, localizzando produzione e consumo, eliminano naturalmente la dispersione legata al trasporto dell’energia che è del 3% medio negli stati più virtuosi aumentando drasticamente nelle zone più povere (es: 19% in India, 16% in Brasile) per arrivare fino a superare il 50% dei casi estremi (Haiti).
Un quarto aspetto, per noi tra i più importanti, è quello della proprietà dei mezzi di produzione e dell’indipendenza energetica. La complessità delle grandi centrali, che tipicamente richiedono tecnologie complesse che sono nelle mani di grandi multinazionali dell’energia, impedisce i processi di democratizzazione della produzione che consentirebbe a tutte le popolazioni di controllare e governare i processi raggiungendo una vera indipendenza energetica.
La semplicità di istallazione di un piccolo-medio impianto a energia rinnovabile (soprattutto se fotovoltaico) assicura l’indipendenza delle comunità locali per i propri fabbisogni energetici dai grandi fornitorie consente di raggiungere l’obiettivo energia rinnovabile bene comune. La comunità locale è proprietaria dell’energia che produce e i costi sono legati ai soli costi di investimento (e non ai profitti annuali dei grandi paesi fornitori di petrolio/gas e delle multinazionali che vendono l’energia ai cittadini). Per gli investimenti iniziali le comunità più povere devono essere aiutate con finanziamenti a fondo perduto per esempio utilizzando gli aiuti ora riservati alle fonti fossili (i SAD sopra citati).
A ciò si lega un quinto vantaggio, la riduzione dei lunghi tempi di realizzazione delle grandi centrali, soprattutto nel caso dell’energia atomica (ma anche per le centrali a gas), tempi che non sono compatibili con l’obiettivo europeo di una importante riduzione delle emissioni entro il 2030 (pacchetto europeo “Fit for 55”, ridurre emissioni gas serra almeno del 55% entro 2030). E anche qui siamo molto in ritardo, abbiamo raggiunto una riduzione solo intorno al 20%6.
I tempi di realizzazione dei piccoli impianti sono più rapidi. Tanti piccoli impianti possono essere realizzati usando prevalentemente i tetti e le pensiline disponibili con impatti sugli ecosistemi e sul paesaggio enormemente più ridotti rispetto alla realizzazione di nuovi elettrodotti, nuove cabine di trasformazione, grandi distese di pale eoliche o ettari di terreno ricoperti di pannelli fotovoltaici.
Certo alcune grandi centrali dovranno rimanere. Per sostituire le attuali grandi centrali a fonte fossile si può iniziare utilizzando i laghi delle centrali idroelettriche ricoprendoli di pannelli fotovoltaici flottanti. L’energia aggiuntiva prodotta dai pannelli fotovoltaici può essere usata di giorno per pompare l’acqua dal lago inferiore a quello superiore, acqua da restituire di notte. In questo modo la notte viene prodotta energia dalle turbine che sfruttano la caduta dell’acqua dal lago superiore a quello inferiore realizzando non solo una sistema di accumulo naturale ma anche aiutando a risparmiare acqua e a compensare il calo di produzione dell’energia idroelettrica dovuto alla siccità. Non è fantascienza, l’ha già fatto il Portogallo.
Il sesto vantaggio è che i previsti incentivi per le CER che meglio riescono ad autoconsumare l’energia che producono, possono essere reinvestiti all’interno della comunità. Sta proprio ai membri decidere come: possono essere ad esempio suddivisi tra tutti i soggetti, o devoluti alle famiglie più fragili o, ad esempio, a una scuola o ancora utilizzati per servizi comuni quali asilo nido, assistenza domiciliare, formazione, o magari favorire l’espansione della comunità realizzando nuovi impianti rinnovabili…
Questo è uno degli aspetti che sostanzia lo slogan non c’è giustizia sociale senza giustizia ambientale. Infatti la proprietà dei sistemi di produzione dell’energia è un passo nella direzione della giustizia ambientale. Il miglioramento della qualità della vita, la possibilità di autodeterminare il proprio futuro collettivo e il poter utilizzare le risorse per il miglioramento dei rapporti socioeconomici tra le classi sociali rappresentano aspetti essenziali della giustizia sociale e contribuiscono alla riduzione delle diseguaglianze che tanta causa hanno nell’attuale crisi climatica. E, cosa non da poco, la costruzione di comunità solidali contribuisce ai processi di pace di cui abbiamo estremo bisogno per salvare il pianeta dal profitto a tutti i costi che causa la crisi climatica.
Incomprensibile quindi limitare ai soli piccoli comuni, cioè quelli con meno di 5.000 abitanti, il contributo a fondo perduto. Soprattutto perché noi riteniamo che le CERS siano uno strumento di democrazia e transizione dal basso, con scopi sociali evidenti, siamo convinti che andrebbero favorite, in tutti i territori, piccoli e grandi, le associazioni di cittadini, di realtà sociali e solidali. Viceversa, con la normativa attuale, che esclude le medie-grandi città dai contributi a fondo perduto, solo le grandi multinazionali avrebbero fondi per investire in tali contesti.
Altra criticità deriva dal fatto che il decreto MASE del 24.1.2024 stabilisce che gli impianti devono essere realizzati e attivati dopo la creazione della CER. Viceversa il D.Lgs 199/2021, che ha avviato la sperimentazione delle CER, stabiliva che gli impianti possono far parte della CER se entravano in funzione dopo il 16 dicembre 2021. Questa contraddizione e le altre criticità emerse dalla lettura del decreto del 24.1.24 sono però aspetti operativi, da affrontare durante la realizzazione pratica del modello CERS perché non possono e non devono diventare un freno al suo sviluppo in quanto le CERS sono una delle poche opportunità concrete per migliorare il nostro modello di vita passando dallo sfruttamento, la distruzione dell’ambiente la competizione e il profitto a un modello che metta al centro la qualità della vita, l’uguaglianza, la giustizia ambientale e la giustizia sociale.
Impegnarsi per ottenere miglioramenti al decreto del 24.1.24 e correggerne ombre e criticità.
Fare gruppo. Parlare delle Comunità Energetiche al tuo gruppo locale e alla tua comunità, organizzando incontri e presentazioni. Iniziare il percorso con un gruppo solido e determinato con le idee chiare sugli obiettivi ambientali e sociali che si vogliono raggiungere è un grande vantaggio.
Provare a coinvolgere le amministrazioni locali. Nonostante le CERS possano essere realizzate anche da privati, includere le istituzioni, se sensibili, può agevolare il lavoro. Il Comune può infatti mettere a disposizione fondi e/o edifici comunali per la realizzazione dell’impianto per la produzione di energia rinnovabile, oltre ad attuare un’efficiente comunicazione nei confronti della cittadinanza volta ad incrementare il numero di aderenti.
Mettersi in contatto con esperti che possano aiutare a stendere un progetto preliminare che spieghi le finalità, l’area di sviluppo, il possibile modello economico, le ricadute sociali, solidali, ambientali ed economiche sulla comunità energetica.
Alcun* attivist* di Fridays For Future hanno già costituito CER(S). Contattarli tramite i social e le email di FridaysForFuture o anche al seguente nickname Telegram: @GuidoMarinelli potrebbe essere un grande aiuto!
Lanciare una campagna di comunicazione e raccogliere le prime adesioni, tra consumatori e produttori. Ricorda che chiunque, in ogni momento, deve poter essere liber3 di uscire da una comunità, di entrare in una esistente o costituirne una nuova.
E informarsi! Per esempio leggendo Il futuro delle comunità energetiche a cura di Salvatgore Enzo (Editore: Giuffrè, ISBN: 978882885165).
Guido Marinelli per conto Valeria Belardelli
1 L’aumento stimato al 2030, solo 6 anni da oggi, è del 30% circa, che porterebbe la domanda in Italia a circa 400 TWh. Per il 2050 la IEA stima un aumento di circa 2 volte e mezza che porta la nostra necessità a circa 800 Twh.
2 Assumiamo che 1KW di potenza fotovoltaica produca mediamente 1350 Kwh annui facendo una media tra nord/centro/sud Italia.
3 A seconda se si comprendano i soli SAD espliciti o anche i SAD impliciti.
4 IEA: International Energy Agency. https://www.iea.org/
5 In Italia nel 2023 l’energia rinnovabile ha coperto circa il 38% della domanda elettrica (vedi rinnovabili.it). Di questa solo circa 28 TWh sono da impianti fotovoltaici, circa il 9% del totale del fabbisogno elettrico. Per arrivare ai 99,1 TWh al 2030 del PNIEC si deve correre. Servono non certo solo 5GW in 3 anni ma almeno altri 53 GW di potenza istallata da sommare ai circa 21GW esistenti per un tot. di 74 GW circa. Oltre 10 GW annui aggiuntivi. Senza contare che dovremmo anche compensare il nostro ritardo sull’eolico e “rincorrere” l’aumento dei consumi elettrici per i citati processi di elettrificazione.
6 Per centrare l’obiettivo in mendo si 6 anni dovremmo procedere con una diminuzione di oltre il 5% l’anno, cioè ben 10 volte ciò che è stato fatto nell’ultimo trentennio.