Oggi abbiamo una parola precisa per definire certe storie: femminicidio. Trent’anni fa questa parola non c’era, come non c’era la consapevolezza che oggi abbiamo del fenomeno, della sua sconcertante diffusione e delle sue cause sociali e culturali profonde, c’erano però i fatti: vite interrotte di donne e ragazze uccise da mariti, compagni, amanti o aspiranti tali. Liliana Rivera Garza è una di loro, e per quasi trent’anni l’unica cosa rimasta di lei era questo: la sua morte improvvisa e violenta a Città del Messico, per mano di un ex che non accettava di essere lasciato. 

Il libro “L’invincibile estate di Liliana”

Quello che ci presenta oggi la nostra blogger Titti Pentangelo, giornalista culturale e appassionata di libri, è il ritratto di Liliana non come vittima ma come persona. A restituircelo è il paziente lavoro di ricostruzione compiuto dalla sorella mettendo insieme ricordi, diari, testimonianze, tutte le tracce scritte e umane che Liliana ha lasciato di sé.

Ne emerge il ritratto di una giovane donna che amava viaggiare, leggere, andare al cinema, che si interessava di politica, che teneva alla sua libertà e per questo cercava di lasciarsi alle spalle un legame sentimentale che era diventato tossico. Libera e consapevole, non troppo ingenua o troppo disponibile, come spesso ancora si tende a immaginare e descrivere una donna che subisce violenza: non è stata attenta, forse lo ha provocato,

“se l’è andata a cercare”. 

In questo senso la storia di Liliana non è solo un ricordo e un omaggio, è anche e soprattutto una denuncia contro la cultura patriarcale e un invito a non avere paura di sfidarla. Il suo suggestivo titolo riecheggia parole sue, quella invincibile estate che aveva scoperto dentro di sé e che rappresentava la sua forza, ma descrive bene anche il sentimento che questa lettura vuole ispirare: luminoso, vitale, pieno di energia e di speranza. Perché come la paura alimenta lo status quo, la speranza alimenta il cambiamento.

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