Nel Bosco di Carlotta Corradi trae ispirazione da un fatto di cronaca che nel 2013 ha fortemente segnato l’opinione pubblica: la vicenda delle Baby Squillo dei Parioli, due quindicenni cadute nel giro di prostituzione minorile della Roma bene.  Debutta in prima nazionale con Roma Europa Festival il 5 Ottobre al teatro India di Roma e resta in scena fino al 17. Incontriamo la drammaturga e scrittrice Carlotta Corradi.

Nel bosco si riferisce a un fatto di cronaca realmente accaduto e che ha ispirato già alcune restituzioni televisive: quale è stata la chiave di rilettura per il teatro? Innanzitutto, quando ho scritto il testo ancora non c’era stata alcuna restituzione né televisiva né teatrale e non lo dico per affermare un primato ma per dire che è stato un bene; non sono stata condizionata da altro materiale. Quello da cui ero condizionata era la stampa. E per essere raccontata in teatro, una storia deve avere qualcosa che riesca ad andare oltre la realtà. Per questo a un certo punto ho sentito il bisogno di smettere di leggere articoli e interviste; per allontanarmi dalla cronaca, dai fatti nudi e crudi e soprattutto dall’opinione pubblica. È a quel punto che mi sono connessa il più possibile su quello che della storia risuonava dentro di me. Sul motivo per il quale avevo deciso di scriverne. Allora mi sono concentrata sulla mia adolescenza e ho cominciato a rileggere alcuni eventi e sentimenti con l’esperienza acquisita nel tempo. Oggi ho quarant’anni. Ma la vera chiave di volta del testo è stata la fiaba di Cappuccetto Rosso. Leggendola a mia figlia, che allora aveva due anni, mi sono incuriosita e ho scoperto che in psicanalisi rappresenta l’iniziazione sessuale delle ragazze. Che era esattamente la storia che stavo scrivendo e che mi interessava. Da lì in poi gli eventi e i personaggi della fiaba hanno fatto da guida alla cronaca, alla vita e alla finzione.

Come hai collaborato con la regia di Andrea Collavino per creare questa atmosfera di favola come mezzo privilegiato per sfondare il tabù?
Quando scrivo mi confronto sempre con Andrea perché abbiamo un’intesa teatrale molto forte. Non appena ha letto la primissima stesura del testo ‘Nel bosco’ ha detto che la fiaba era fondamentale. In generale perché è il mezzo migliore per affrontare i tabù e il proibito, e in particolare in questo caso perché c’era bisogno di riavvicinare l’opinione pubblica alla storia realmente accaduta. Era stato troppo facile leggere i fatti sui giornali e non sentirsene parte. Giudicare l’accaduto e le persone coinvolte come fossero qualcosa di molto lontano da noi. E invece è una ferita aperta per la città ed è una ferita di cui bisogna prendersi cura, visto che ha coinvolto delle ragazze così giovani.

In questa specifica narrazione a che idea di innocenza hai fatto appello?
Per quanto riguarda “questa specifica narrazione” la protagonista di questa storia, Manu (interpretata da Romana Maggiora Vergano), ha quindici anni ed è offuscata dall’amore. Uso questa parola col senso che ha a quell’età: totale! L’amore per sua madre, ma anche l’amore per un uomo che ha tutti gli strumenti per usare questo sentimento a suo favore. Non so se sia il termine esatto ma credo che Nel Bosco parli molto di manipolazione sentimentale.

Le baby squillo dei Parioli e la foresta di Cappuccetto Rosso come si riflettono a livello scenico?
La vicenda delle baby squillo si riflette in personaggi e ambientazioni: ci sono due ragazze protagoniste, due madri – una più preoccupata e impotente e una che sembra sapere tutto – ci sono gli sfruttatori e c’è quel mondo dei locali dove è tornato di moda il pianobar e con lui le vecchie canzoni d’amore, i cui testi riascoltati oggi sono molto diversi da come mi apparivano quando ero adolescente. Il tutto però visto dagli occhi di Manu, la nostra Cappuccetto Rosso, che come la bambina della fiaba viene mandata dalla madre a portare le medicine alla nonna e simbolicamente attraversa il bosco. Quindi, realtà o finzione che sia, Manu vede tutto come lo vuole vedere lei, mentre un Professore narra le diverse versioni della fiaba nel tempo e ci accompagna nella storia. A livello scenico, la regia ha tolto ogni elemento realistico o didascalico, lasciando unicamente parole, canzoni e relazioni.

5. Corpi adolescenti… provocatori, disincantati, iper depilati, paradossalmente ingenui: che corpi hai disegnato con le tue parole e come li hai visti incarnati?
Corpi che passano dal rasoio alla ceretta per far sentire la pelle più liscia ai clienti. Detta così è brutale ma è la voglia di compiacere a un’età in cui non si hanno ancora gli strumenti per poter affermare che conta solo quello che piace a te stessa. È chiaro che questa specifica vicenda è la versione estrema dell’iniziazione sessuale o sentimentale di un’adolescente. Nello spettacolo poi i corpi sono incarnati da due giovani e talentuosissime attrici che sono Lia Grieco e Romana Maggiora Vergano, che hanno stracciato quelli disegnati nelle parole e anche se non hanno più quindici e sedici anni, li abitano completamente.

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