Gli orsi, in Trentino, non se la passano bene. Questa è cosa nota da un po’ di anni: sia perché ce lo dicono i mezzi di comunicazione di massa, in occasione di incidenti o provvedimenti particolarmente rilevanti; sia perché c’è chi fa di tutto per denunciare l’accanimento contro questi animali da parte dell’amministrazione provinciale. E anche, talvolta, perché sono gli stessi orsi ad accendere i riflettori sulla propria condizione, lottando, fuggendo, ribellandosi, come nel caso di Papillon. La voce più determinata contro lo sterminio degli orsi trentini è stata quella di Stop Casteller, campagna che per anni si è battuta per una convivenza pacifica.

logo di stop casteller

La gestione di questi soggetti, fin dalla loro reintroduzione alla fine degli anni novanta, è stata a dir poco lacunosa, come è ormai evidente. Ma con l’insediamento della Giunta Fugatti (Lega) nel 2018 si può parlare di una politica di persecuzione. Lo schema è simile a quello di alcune vicende umane: si soffia su una paura del diverso in buona parte creata a tavolino, si ignorano le possibili misure in grado di facilitare la convivenza sul territorio, si puniscono i capri espiatori più deboli. E così, abbiamo orsi “confidenti”, orsi “pericolosi”, orsi “criminali” che vengono braccati, catturati, imprigionati nel Casteller (un centro di reclusione a tutti gli effetti), o peggio ancora condannati a morte, per decreto o più semplicemente lasciando mano libera ai bracconieri.

La voce più determinata contro lo sterminio degli orsi trentini è stata quella di Stop Casteller

Di fronte a questa deriva securitaria, la voce più determinata contro lo sterminio degli orsi trentini è stata quella di Stop Casteller, la campagna antispecista che dall’autunno 2020 ha dato vita a proteste, cortei, azioni, e anche a un’incursione dentro alla prigione del Casteller. Oltre alla voglia di lottare, la campagna ha mostrato un’impostazione marcatamente intersezionale, in grado di parlare a settori dei movimenti sociali non necessariamente interessati alla sorte di individui che non appartengono alla nostra specie. Del resto, i punti di contatto fra le politiche speciste di Fugatti and co. e le politiche discriminatorie delle destre non sono pochi: l’esclusione del diverso, la criminalizzazione dei corpi non conformi, la negazione della libertà di movimento attraverso i confini, l’estrattivismo che fa dei territori delle pure risorse da sfruttare.

Ma, nonostante il potenziale di mobilitazione e di elaborazione critica della campagna, il potere dei governanti trentini ha dispiegato tutta una serie di mezzi che hanno portato a un inasprirsi pressoché inarrestabile della persecuzione ai danni degli orsi, sostenuta da ampie fette dell’opinione pubblica locale. Nel suo recente comunicato, Stop Casteller ammette lo stallo in cui si è venuta a trovare e annuncia una pausa nella sua attività.

slide del comunicato di stop casteller

Se ci penso, è una situazione in cui, come antispecistə, ci siamo trovatə innumerevoli volte. La sproporzione di forze è enorme, fa quasi mancare il fiato. E poi, se spesso è difficile far valere i propri diritti, può sembrare impossibile solidarizzare in modo incisivo con delle “bestie”, con degli individui che generalmente neppure la sinistra riconosce come tali. Molte, troppe campagne a cui ho partecipato sono finite con una sconfitta, o con un ripiegamento. Ma raramente hanno avuto il coraggio o la lucidità di ammetterlo. Perché è così importante farlo, invece?

Vincenti e perdenti

La voce più determinata contro lo sterminio degli orsi trentini è stata quella di Stop Casteller. Le decisioni dei gruppi (Assemblea Antispecista e la collettiva Scobi) che conducevano la campagna hanno indirizzato i movimenti antispecisti per anni. Ora, l’esposizione dei motivi di una sospensione permettono a chiunque di avviare delle riflessioni. Si tratta innanzitutto di un fatto di trasparenza e orizzontalità: scelte che per motivi pragmatici vengono compiute all’interno di gruppi specifici (sebbene non chiusi) vengono condivise, vengono aperte al giudizio, alla critica e alla discussione collettiva.

Lo fanno offrendo fin da subito qualche spunto: la forza crescente delle destre, il dilagare dell’attivismo virtuale a scapito di quello “reale”, la smobilitazione da parte di settori politicizzati fintamente interessati alla sorte dei non umani.

Ho partecipato a parecchie campagne antispeciste, sia in veste di organizzatore, sia in veste di partecipante in posizione più “passiva”, e ho sempre pensato che il fallimento sia comunque un elemento prezioso, se non viene nascosto lasciando morire d’inedia, senza clamore, le campagne. In Cospirazione animale, tre anni fa, osservavo che

I movimenti per la liberazione animale hanno incontrato vittorie (poche) e sconfitte (tante).

p. 9

E non è tanto la quantità di fallimenti il problema, quanto il modo in cui essi vengono gestiti. Jack Halberstam, nel suo celebre libro The Queer Art of Failure, ci esorta a

fallire bene, fallire spesso, e imparare a fallire meglio.

p. 44 (edizione italiana)
copertina de L'arte queer del fallimento, di J. Halberstam

La valorizzazione dei soggetti perdenti, in Halberstam, costituisce un fattore di opposizione frontale alle retoriche capitalistiche del successo, del futuro e del progresso. La capacità di abitare la sconfitta politica, allora, diventa capacità di abitare la perdita di controllo sul sé e sui processi sociali, senza rinunciare alla rabbia e alla lotta. Citando Walter Benjamin, Halberstam ci ricorda che

L’immedesimazione con il vincitore torna sempre a vantaggio dei dominatori di turno.

p. 200

Amore e rabbia

Sono stato fra lə fondatorə della campagna, nell’autunno del 2020, quando Papillon, con le sue caparbie fughe dalla prigione ci ha convintə a mobilitarci. In pochissimo tempo abbiamo organizzato un corteo che ha assediato il Casteller, smontando letteralmente decine di metri di recinzioni. Negli ultimi anni non ho più fatto parte dei gruppi che conducevano la campagna: ho contribuito dall’esterno in vari modi, perché continuavo a credere nell’importanza di questa mobilitazione. Continuavo a pensare che, oltre all’urgenza di spendersi per la vita degli orsi colpevoli soltanto di fare gli orsi, ci fosse un respiro più ampio, che coinvolge la nostra concezione di convivenza pacifica, di rapporto con il territorio e con l’alterità.

E ne sono ancora convinto. Per questo, credo che anche la riflessione sulla nostra attuale impotenza di fronte a un massacro sia fondamentale non solo per le vittime immediate, ma anche per motivi più profondi. Per questo, il breve testo pubblicato da Stop Casteller parla a chi come me si è impegnato nella campagna, a chi ha cercato, con i propri mezzi, di offrire un contributo, più o meno grande.

La voce più determinata contro lo sterminio degli orsi trentini è stata quella di Stop Casteller, e ora non possiamo che augurarci che altre voci, ancora più forti, si levino in solidarietà a ogni animale braccato dall’arroganza umana. Forse non ci troverete, nell’immediato, a Trento, ma certamente saremo in altre piazze, senza rassegnazione: con amore e rabbia.

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