Lutto per il DDL ZAN: l’articolo di Loredana Bertè per uscire da questo medioevo
In Italia esiste ancora un retaggio bacchettone ed ipocrita: le cose si fanno ma non si dicono! Dobbiamo uscire da questo nuovo medioevo.
In Italia esiste ancora un retaggio bacchettone ed ipocrita: le cose si fanno ma non si dicono! Dobbiamo uscire da questo nuovo medioevo.
LGBTQ+: a quanto pare questo acronimo altro non serve che ad identificare tutte le sfumature della sessualità umana (eccetto quella comunemente più accettata dell’eterosessualità): Lesbiche, Gay, Bisex, Transgender, Transessuali, Queer, Questioning, Intersex, Pansessuali, Two-Spirit, Asessuati, Ally.
Ecco, Ally è la categoria nella quale posso forse meglio includere me stessa, sono una Ally ante litteram. Da sempre ho supportato e mi sono trovata quasi piú a mio agio con la comunità LGBTQ+ pur non facendone necessariamente parte, anche quando nessuno ci diceva che fosse giusto farlo, a noi Ally.
Al contrario, ai miei tempi, oltre a non esserci nessun riconoscimento in quanto comunità di persone vere, in carne ed ossa come tutti gli altri, anche solo il simpatizzare per un non-eterosessuale non era visto di buon occhio, per usare un eufemismo. Anche tra ragazzi, a parte nell’ambiente artistico dove essere diversi è sempre stato un po’ più facile, per forza di cose, c’era una sorta di ghettizzazione, di repulsione verso ciò che non era uguale, omologato. Io invece, da eterna outsider, mi sono sempre trovata meglio con le persone fuori da certi schemi.
Per me diversità è sempre stato sinonimo di originalità, di unicità. La cosiddetta normalità dopo un po’ mi annoiava. Ancora oggi, io stessa, non posso di certo essere considerata una normale signora di 70 anni.
Ricordo una volta, ero con Panatta, verso gli inizi degli anni ‘70, dovevamo andare a prendere un mio amico in macchina e quando Adriano lo vide, vestito con un costume attillato e boa di piume di struzzo, tutto truccato e con i capelli lunghi, non voleva farlo salire in auto con noi. Non ho mai capito il perché, in quanto io mi considero una persona aperta, ma non aperta come quelle che dicono ho tanti amici gay, aperta nel senso del vivi e lascia vivere e che l’amore per me dovrebbe essere una cosa universale.
L’amore, quello vero, spazia dentro e fuori dai confini imposti dalla società. Va un po’ dove gli pare. È come il vento: non lo puoi inscatolare in una confezione consona a certi ambienti…come, ad esempio, la famiglia tradizionale. Io sono cresciuta in una famiglia etero tradizionale, eppure di amore non se ne respirava un briciolo, ve lo posso assicurare! Esistono tante sfumature, tanti modi di sentire, di essere, di amare, di voler esprimersi… io stessa sono stata tante persone, nel corso dei miei secoli, un po’ come l’Orlando di Virginia Woolf. E ne ho anche viste e fatte tante. Cose che “voi umani non potete nemmeno immaginare…” e alla luce di quanto ho vissuto, vi posso assicurare che la comunità LGBTQ+ proprio una minoranza non è! Da sempre…non lo è.
Purtroppo in Italia vigeva e vige ancora questo retaggio bacchettone ed ipocrita per cui le cose si fanno ma non si dicono… magari si dicono poi solo al confessore! Quando invece bisognerebbe sempre battersi per la propria libertà e per quella degli altri: vivi e lascia vivere, continuo a ripetere. Vivi la tua propria libertà e fa sì che anche per gli altri possa essere lo stesso.
Ora, non vorrei essere banale ma, il mio migliore amico, Leonardo Pastore, gay dichiarato nonché uno dei bracci destri di Fiorucci, l’ho perso perché ad un certo punto si è ammalato. A metà degli anni ‘80 andammo in ospedale a Parigi da Luc Montagnier. Allora nessuno conosceva l’Hiv, c’era tanta ignoranza e si pensava che il contagio potesse avvenire anche solo stringendo la mano, che fosse la “malattia degli omosessuali”, addirittura: l’omosessualità in sé era considerata una malattia ed era fonte a sua volta di un’altra malattia ancora! Leonardo morì poco dopo, l’ho assistito fino alla fine, lavandogli anche i vestiti e le lenzuola sporche… ancora oggi porto con orgoglio appuntato sui miei abiti il fiocco rosso simbolo della lotta contro l’Hiv. Tanto per non dimenticare.
Negli anni ’80 ho frequentato assiduamente la discoteca NO TIES di Milano, per gusto e per divertimento (così come tanti centri sociali, come il Leoncavallo). E negli anni 2000 si può dire che abbia fatto più serate in locali LGBTQ+ che concerti canonici: erano anni duri e volevo sentirmi a casa.
In fondo anche io sono sempre stata una non-binaria, non ricordo chi, una volta, mi ha definita come “la donna più dolce e allo stesso tempo l’uomo più incazzato che avesse mai conosciuto!”. Ma poi chi lo ha mai stabilito che una donna debba essere per lo più dolce ed un uomo per lo più rude? È una sciocchezza bella e buona!
Anche nel vestire adoro spaziare: ai vestitini da bambolina e alle mise da bomba sexy, ho alternato giacche di cuoio rigorosamente da uomo (più grandi di un paio di taglie) e jeans sdruciti rubati ai miei musicisti, oppure spesso ho indossato cravatte da uomo abbinate a top femminili. Vesto a seconda di come mi va: perché immortalarsi in uno stereotipo? Come ha detto Stephen Hawking: l’intelligenza è la capacità di adattarsi al cambiamento. E i tempi per fortuna sono cambiati, solo gli stupidi vogliono vedere ancora tutto grigio, guai a colorarlo.
A volte mi sembra di assistere al nuovo Medioevo, pandemia inclusa! Ed è davvero un paradosso perché da una parte vedi giovani tranquilli, rilassati, sessualmente fluidi (sia per una questione di identità di genere che di orientamento) e dall’altra il rinascere di gruppi e idee di estrema destra tra gli stessi sopra citati, pronti ad intervenire con brutalità e violenza (anche verbale) al minimo accenno di libertà e lo Stato è assente! Dobbiamo uscire da questo nuovo Medioevo e riscrivere tutto l’immaginario.
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1 Comment
E brava Loredana. Noi la libertà ce la siamo scritta addosso. Anche a costo di ammaccarci