Durante il periodo in cui quasi tutti gli eventi culturali sono stati cancellati o sospesi a causa della pandemia, il teatro non si è fermato e non ha intenzione di farlo neanche adesso. Le fondazioni teatrali maggiori, o quelle che hanno dimostrato in questi anni maggior creatività nell’andare alla ricerca di un altro pubblico, hanno perfezionato le loro piattaforme streaming e web di trasmissione. Si va in scena lo stesso, si trasmette in video. Chi si ferma è perduto.

La parola teatro deriva da theàomai, un verbo greco che significa guardare, osservare.
Il teatro, infatti, è una forma di comunicazione in cui un gruppo di persone, cioè un pubblico, assiste e partecipa emotivamente allo spettacolo creato da un altro gruppo di persone. La sua invenzione è attribuita al poeta Tespi, il quale nelle Grandi Dionisie (le feste in onore del dio Dioniso) del 534 a.C. avrebbe rappresentato il primo dramma.

Ma cosa vuol dire veramente teatro? Vuol dire educare la memoria emotiva, che fa riprovare tutti i sentimenti vissuti, che aiuta nella rappresentazione in quanto li mantiene vivi. Parlare di educazione e parlare di teatro significa chiamare in gioco due dimensioni profondamente legate. Il valore formativo di un’educazione ad una passione riflessiva, e non puramente emotiva, è enorme per noi oggi in una cultura dominata dall’esaltazione delle emozioni cercate e consumate troppo velocemente.

Molti non lo sanno, ma il percorso dell’emancipazione femminile passa anche per il teatro.

Il teatro non è cosa per donne” disse una volta Carmelo Bene. Nell’antichità, infatti, il rapporto tra donne e teatro non esisteva o era difficile, tanto che nell’Antica Grecia le donne non potevano neppure assistere alle rappresentazioni teatrali, rimanendo a casa, ed erano gli uomini ad interpretare i ruoli femminili. La passione e il dolore femminile era diventata nel teatro greco un modello per la passione e il dolore degli uomini: i personaggi femminili, considerati più emotivi di quelli maschili, venivano utilizzati dagli uomini per esplorare stati psicologici che, secondo la società dell’epoca, erano loro preclusi.

Lucrezia di Siena nel 1564 fu la prima donna italiana ad esibirsi in una compagnia teatrale. Goldoni fu il primo grande ritrattista del femminile nel teatro italiano. Creò donne moderne: schiette, furbe, generose, bugiarde, interessate, fedeli, spregiudicate, sofferenti, innamorate, lavoratrici… donne!

In quegli anni anche nel mondo delle invenzioni finalmente troviamo nomi di donne. Nel 1864 Marie Louise Fuller brevetta un sistema meccanico per la produzione di effetti scenici del palco, un modo non solo per mettere in scena ballerine, ma per accentuarne soprattutto la loro visibilità. E nel 1899 Helena Book brevetta delle quinte teatrali amovibili, usate anche come separè per i cambi d’abito femminili, appunto.

Virginia Woolf nel 1928 sorprese il suo pubblico di studentesse con un’affermazione rivoluzionaria: “se il genio di Shakespeare fosse sbocciato anche in sua sorella Judith, nessuno avrebbe potuto evitarle un destino tanto tragico quanto quello di alcuni dei personaggi femminili nati dalla penna del fortunato fratello“. Nell’Inghilterra shakespeariana, infatti, la donna era considerata un essere eteronomo, che poteva dimostrare passioni e velleità purché circoscritte in un sistema di valori maschili. Shakespeare, il drammaturgo prediletto di Elisabetta I Tudor, professava questa regola in ogni nuova creazione, ammettendo però deroghe, in violazione alla natura femminile e ai codici maschili: la scrittura teatrale, per ovvie ragioni, le incoraggiava. Ma si trattava di eccezioni temporanee, che si scioglievano puntualmente nel finale: nelle tragedie shakespeariane è spesso la morte a pagare il conto dell’emancipazione femminile, oppure, nel migliore dei casi, la sventurata anticonformista diventa il bersaglio ideale del ridicolo.

Nel 2016 arriva, dopo secoli, la svolta femminista nel celebre Globe Theatre di Londra. Secondo il Times Emma Rice (direttrice artistica di quell’anno) ha lanciato una vera e propria rivoluzione quando ha affermato di volere sempre più donne nei ruoli maschili delle opere di William Shakespeare.

Nello stesso anno in Italia è stato fondato il Teatro delle Donne che, attraverso i testi che mette in scena, ricerca sempre un punto di vista femminile, uno spaccato di società in cui le donne sono protagoniste. Oggi hanno aperto un appello (firmato da Dacia Mariani e Maria Cristina Ghelli) a sostegno del teatro stesso che sta perdendo la sua sede. Sostenere il Teatro delle Donne non significa agire in senso settoriale, ma portare la creatività femminile nell’alveo maggiore del rinnovamento linguistico che chiunque si occupi di teatro non può non volere.

Tirate il sipario, la farsa è finita.

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