Vi è mai capitato di entrare in un posto e capire di aver sbagliato sala? Di posizionare la sedia con fare disinvolto, convinta che da quel punto vedrai bene lo spettacolo ma poi ti siedi, si alza il sipario, capisci che hai sbagliato posto?
A me più di una volta, soprattutto a scuola: non sapete quante volte ho ascoltato per mezz’ora lezioni che non erano mie e stretto amicizie con compagni di classe che non erano i miei. 
Credo però che questo sia il posto giusto per me, per raccontarvi la disabilità e riscriverne per voi una nuova narrazione.

Vi starete sicuramente chiedendo: ehi rossa, e perché dovresti farlo proprio tu?
Ok ok, mi presento sono Armanda e ho l’acondroplasia.
Rumore in sala…. Acondroche
L’acondroplasia è una malattia genetica rara (volgarmente chiamata nanismo) che colpisce le cartilagini di accrescimento delle ossa lunghe. Per farla breve, le ossa lunghe degli arti nel mio corpo non crescono. Ma non mi considero una persona malata e non mi reputo neanche sfortunata perché so di essere, per alcune cose, molto fortunata. Non sono ipocrita, se non avessi avuto questa rarità sarebbe stato meglio, ma questo è. Non sono una credente praticante ma amo molto la parabola dei tre talenti. Mi è stato dato questo talento e ci voglio fare qualcosa. 

Per questo nel 2016 ho deciso che avrei realizzato un progetto, Sensuability, che avrebbe scardinato l’idea del disabile che fa tenerezza e che il sesso è solo per chi è bello, giovane e attraente fisicamente. Sì perché questo è il modo in cui si considerano le persone con disabilità: fanno tenerezza. Se hai una disabilità, lo stereotipo vuole che tu sia intelligente, simpatico, buono, sensibile. Vi svelo un segreto: le persone disabili possono essere anche antipatiche, con doppia faccia, non intelligenti. Essere diversa non significa che io non possa essere antipatica. E rivendico il fatto di esserlo. Probabilmente lo sarei stata anche con un metro e ottanta di altezza. 
Ma lo stereotipo tranquillizza, lo puoi gestire. Se esco dai suoi confini e sono esattamente come te non mi gestisci più.  
I mezzi di comunicazione hanno una grande responsabilità nella diffusione degli stereotipi, a maggior ragione se parliamo di sessualità e disabilità

Ma la sessualità riguarda tutti e non solo i disabili. Sì perché un altro stereotipo imperante è che il sesso è solo per chi è bello, giovane e attraente fisicamente. La gran parte della popolazione mondiale è esclusa da una visione del sesso come mera prestazione e prestanza fisica. Di fronte a questi stereotipi, ognuno di noi si può sentire inadeguato. Da qui il nostro motto “La prima volta siamo tutti disabili”.

Bisogna scardinare le convinzioni attraverso un nuovo linguaggio che comprenda tutte le forme artistiche ma soprattutto inventando un nuovo immaginario erotico sulla disabilità.
L’arte diventa allora il seme ideale per far germogliare una cultura nuova e senza pregiudizi, libera e capace di ironia e leggerezza anche su temi considerati tabù come sesso e disabilità. Quindi una lotta a suon di scherno contro tutti quei pregiudizi per i quali la disabilità è sinonimo di essere asessuato, quasi un angelo o un bambino che non può che anelare a una carezza senza poter ambire a nulla di più. 

Attraverso l’ironia avvicino le persone; se uso il senso di colpa, o il classico binomio noi e voi, le persone si allontanano. Le faccio avvicinare a delle cose che ancora non sanno, con leggerezza, non perché il tema non sia importante e penso che più di me non possa dirlo nessun altro. Perché ci sono cose talmente serie che se ne può soltanto ridere.
Proprio perché non è colpa di nessuno: c’è solo una cultura che ci condiziona. E dico ci condiziona perché condiziona anche le persone con disabilità. Si pensa che una persona disabile sia solo la sua disabilità, quando in realtà tante altre cose la delineano: il suo carattere, la sua intelligenza, la voglia di fare. A me è stato detto: “dopo due ore che si parla con te uno dimentica di quello che sei”. E no, troppo facile. Non te lo devi dimenticare. Perché io sono questa. Non c’è scissione tra mente e corpo. Il corpo è questo, non è perfetto, non è bello secondo i canoni, forse non è funzionale. Ma io sono questa.

Continuare a fare cultura liberando l’immaginario collettivo da tutte le gabbie costruite dalle false credenze. Fare cultura sulla disabilità e sulla diversità purtroppo è ancora necessario. Il mio obiettivo è che questo tema rientri nel flusso delle cose, che non ci sia più bisogno di sensibilizzare, di fare film, mostre o altro. Che si passi da’ ancora a non più.

Vi lascio con uno spot molto divertente. È così che vorrei si parlasse della disabilità. 

Condividi: