Come giocano i bambini di Stoccolma, Roma Parigi, Londra o Berlino?  Al di là delle preferenze climatiche che vedono l’infanzia del Nord Europa preferire il gioco all’aperto; al di là dei diversi materiali impiegati per la realizzazione dei giocattoli, o delle differenti declinazioni e varianti culturali di giochi simili nelle loro idee portanti, i bambini, indipendentemente dalle loro provenienze geografiche, giocano con impegno e serietà per crescere e per dare un senso al mondo che li circonda.
Il gioco, nel suo essere privo di confini geografici o disciplinari, è fondamentale per la costruzione dell’identità e permette ai bambini di accedere simbolicamente al futuro che li aspetta. Per questo è così importante e irrinunciabile.  In un appartamento londinese, in un parco svedese, in una ludoteca francese (magari di mercoledì quando non si fa scuola) o in una piazza italiana, attraverso il gioco, i bambini sono impegnati nella creazione di ponti tra realtà e fantasia, misurandosi con il mondo e con le sue sfide.

Oggi il denominatore comune del gioco è la tecnologia. Tra tablets, telefonini, personal computer, consolle di videogames, giochi interattivi, educativi e di intrattenimento affollano piattaforme digitali su cui bambini sempre più piccoli navigano con disinvoltura talvolta preoccupante. Eppure, nonostante la presenza imperante e prepotente della tecnologia, rimane forte nei bambini la voglia di giocare con bambole, trenini, giochi di simulazione, giochi creativi e simbolici che richiedono di far finta, di immaginare, di immergersi in mondi altri e allo stesso tempo simili a quelli conosciuti, mettendosi in gioco a livello cognitivo, emozionale, relazionale e sociale.

Se ci avventuriamo nelle ventidue sale espositive della mostra Per Gioco allestita al Museo di Roma dal 25 luglio 2020 al 10 gennaio 2021, scopriremo che la collezione di più di diecimila pezzi raccolta dal collezionista svedese Peter Pluntky tra Svezia, Germania, Francia e Inghilterra (acquistata prima da un collezionista parigino e poi dalla Sovrintendenza Capitolina) ci racconta un’idea di gioco come bisogno inalienabile della società. “Il gioco è innegabile. Si possono negare quasi tutte le astrazioni: la giustizia, la bellezza, la verità, la bontà, lo spirito, Dio. Si può negare la serietà. Ma non il gioco”. Sono queste le parole dello storico Johan Huizinga, nel suo intramontabile saggio Homo Ludens. Ed è questa la sensazione di gioco come spazio assoluto e necessario della vita che ci accompagnerà di sala in sala nella mostra così sapientemente allestita dalla curatrice Emanuela Lancianese. Tra bambole e case di bambole che fanno sognare, interni domestici dai dettagli sorprendentemente accurati, trenini, automobili, biciclette e monopattini che sollecitano il bisogno di movimento e azione del bambino, botteghe in miniatura dal sapore montessoriano, fattorie che educano alla vita all’aria aperta e alle specie degli animali, ma anche oggetti dal mondo della scienza e del lavoro (troveremo persino caldaie a vapore in miniatura) ci caleremo in un mondo dell’immaginario fatto di stupore e creatività ma anche innovazione e visione.

I giocattoli esposti che erano destinati per lo più a bambini provenienti da classi sociali privilegiate, furono raccolti tra il 1830 e il 1960. Sono catalogati in trentadue tipologie che ben rappresentano le loro società di appartenenza, i periodi storici e i microcosmi sociali da loro narrati. Non è difficile immaginare i bambini dell’epoca giocare, per esempio, nella bottega del droghiere, imparando i nomi delle spezie, ma anche mettendo in atto forme di gioco simbolico che svilupperanno la loro creatività, potenzieranno la loro autostima e la loro capacità di relazione. Che si conoscano o meno le teorie di Piaget, non sarà difficile intuire perché giochi simili, ampiamente diffusi in tutta Europa all’inizio del 1900, mantengano il loro fascino a tutt’oggi. È invece più difficile immaginare bambini che giochino oggi con i soldatini che ormai hanno perso il loro fascino. Sebbene i giochi di guerra abbiano una lunga storia e per anni sia parso del tutto normale vedere bambini impegnati in solitarie battaglie tra soldati in miniatura, la stessa occupazione sarebbe oggi considerata diseducativa.

Un grazie quindi al collezionista svedese che diede inizio con il suo interesse per il gioco e i giocattoli a questa raccolta tutta europea, ma anche alla Sovrintendenza Capitolina che ha acquisito la collezione e allestito la mostra Per Gioco, la cui ampiezza di sguardo cattura e sorprende il visitatore tra gioia, nostalgia e un pizzico di magia.

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