Perfect Days è un film diverso. Un film in formato 4:3 che riesce ad essere unico nel ripetere la routine delle giornate di un uomo. Il film diretto da Wim Wenders è stato presentato in concorso al festival di Cannes e pochi giorni fa ha sfiorato le statuette Oscar uscendone tuttavia a mani vuote. Un film che è difficile definire. Né bianco, né nero. Cupo e leggero. Luce e ombra nel film Perfect Days si alternano, confondono e sovrappongono.

“Perfect Days”, la trama

La trama del film, come spesso accade per i film d’autore, si riassume facilmente in una frase: un uomo fa le pulizie nei bagni pubblici di Shibuya, quartiere di Tokyo, e si muove per la città nel suo camioncino blu ascoltando audiocassette. La vita di Hirayama, così si chiama il protagonista inserviente della ditta The Tokyo Toilet, è scandita da una routine giornaliera fatta di piccole e precise attività. Evidentemente non una trama che ci tiene incollati allo schermo. Questo film però ha avuto grande successo e conquistato premi sino ad arrivare alla notte degli Oscar, luogo per eccellenza dove il cinema classico, quello fatto di storie, è nato. Ma allora quale luce splendente è custodita in Perfect Days?

Il film è una fotografia a lunga esposizione al cui centro c’è la gratitudine verso le piccole cose. Condurre una vita semplice, ordinaria che tuttavia non rappresenta una gabbia ma è anzi il vero modo per stare bene. La gratitudine di questo personaggio per ciò che lo circonda è attenta, sensibile e arriva a noi pubblico con grande delicatezza. Hirayama apprezza la luce e l’ombra che si alternano tra le foglie e le immortala con una vecchia macchina fotografica. Oppure si dedica alla coltivazione di alcune piantine a cui ha dedicato una stanza di casa, o alla lettura di libri tascabili.

Perfect Days
Hirayama, interpretato da Koji Yakusho, mentre si lava in un bagno pubblico

Il rapporto tra luce e ombra

Hirayama vive nell’ombra delle persone che non lo guardano, nemmeno lo considerano, e si illumina della luce riflessa di cose che nessuno nota. E la sua, di ombra sulla terra, è la constatazione della sua esistenza. Luce e ombra. In un rapporto simbiotico che perseguita e ossessiona il protagonista anche nei suoi sogni, si nasconde la metafora di una vita semplice, non per questo meno interessante o profonda di altre.

Lo sguardo di Hirayama si perde ad osservare l’inquieto alternarsi di luce e ombra tra le foglie degli alberi. Nella tasca della sua tuta da inserviente c’è sempre una macchina fotografica con cui giornalmente coglie pochi attimi di questa danza naturale. Nella semplicità di tutto questo c’è un fascino. Un fascino che lentamente entra sotto la pelle di noi che guardiamo, e ci allineiamo al suo vivere metodico.

Si arriva allora a comprendere il Komorebi, termine giapponese riportato prima dei titoli di coda del film. Nel descrivere proprio la luce che filtra tra le fronde degli alberi questo termine è un invito a cogliere la luce e lo splendore che anche le piccole cose possono emanare. Una spinta a vivere positivamente cercando la luce tra le ombre. A mettere in luce qualcosa, o qualcuno.

La musica che unisce

Raramente durante la pellicola sentiamo il nostro protagonista parlare, il suo essere si esprime in azioni, sguardi, abitudini. E qui entra in gioco la musica. In Perfect Days le audiocasette del rock anni ’60 e ’70 possono essere viste come vero e proprio linguaggio. Ogni mattina Hirayama sceglie la cassetta da inserire nell’autoradio del suo camioncino e, solo allora, accende il motore. Insieme a lui ascoltiamo queste canzoni che sembrano dirci come lui si sente, cosa si aspetta da quella giornata, cosa pensa e cosa vede intorno a sé. Tra le altre citiamo sicuramente Feeling Good di Nina Simone che regala uno struggente finale e l’omonima Perfect Day di Lou Reed.

Le canzoni, quasi tutte figlie della musica occidentale sono anche un astuto espediente per avvicinarci a una cultura così lontana e diversa dalla nostra come quella giapponese. È un elemento che abbiamo in comune con Hirayama e che ci fa empatizzare con lui. Non è la prima volta che la musica ha la capacità e il potere di costruire legami e ponti tra culture lontane e in Perfect Days riesce a farlo splendidamente.

Perfect Days
Il protagonista riposa nella sua stanza nel suo giorno libero

La solitudine, tema che permea tutto il film, ha le sue ambiguità. Stare solo è per il protagonista continua occasione di costruire una vita adatta a sé, comoda e serena, in cui essere osservatore e scopritore del mondo. Dall’altro ci sono le ombre di chi è solo. L’incomunicabilità dei suoi sentimenti, la ruggine che circonda le poche relazioni che ha con le persone, nascondono e rivelano fratture del suo animo.

Il maestro Wim Wenders, già capostipite del Nuovo cinema tedesco negli anni sessanta, ci stupisce a 78 anni con Perfect Days, un film complesso ed estraneo alla sensibilità occidentale, in cui è facile riconoscersi anche a un continente di distanza. Questo anche grazie all’attore Koji Yakusho che interpreta con grande umanità il ruolo di un uomo semplice, forse tra i più complessi da restituire perché difficilmente categorizzabile. Un uomo come tanti, che vive tra luce e ombra.

Condividi: