Una mia amica stamattina mi ha mandato una nota audio, commentando la morte di Franco Battiato, in cui si chiedeva: «Com’è possibile che siamo così legati a qualcuno che non abbiamo mai neanche conosciuto di persona?». Non lo so, com’è possibile; ma è vero, a Battiato abbiamo voluto bene, in tantissimi. E non come lo si vuole a un cantante, neanche al nostro preferito, ma come a un parente stretto, a un uomo di casa, uno che ci prende per mano nei momenti di incertezza.

Poi, certo, più di quarant’anni in televisione (pur con tutte le riservatezze e le diffidenze del caso, in tv si vedeva eccome, seppur rigorosamente a modo suo), di successi nei negozi e in radio (La voce del padrone, il suo classicone, è stato il primo album italiano a superare la soglia del milione di copie vendute, era il 1982), di concerti e quindi da un po’ di riproduzioni su Spotify ce l’hanno reso costantemente vicino, famigliare come solo chi ha la certificazione del grandissimo della nostra musica. In più, fra vari spifferi aperti da Franco Battiato sulla vita privata abbiamo conosciuto anche l’uomo – la simpatia per i radicali, l’umiltà, l’ironia, l’aria da freak assoluto in sandalo e codino dentro un ecosistema di cantanti conformisti.

Gli abbiamo voluto bene soprattutto perché Franco Battiato è stato una guida. Con le varie Centro di gravità permanente e Voglio vederti danzare ha attraversato il pop reinventandolo, futurizzandolo, rendendocelo amico; con pezzi come La cura e Povera patria ha ridisegnato i confini della canzone d’autore, ci ha presi al cuore; ma poi è stato anche trasversale, per tutti e per nessuno, sperimentando, dedicandosi alla colta, all’elettronica di Inneres auge e degli inizi. Soprattutto, ha insegnato: sentirlo è stato come fare il giro del mondo, arricchirsi di posti, culture e citazioni, scoprire la filosofia, la convivenza coi rimpianti de La stagione dell’amore.

Una guida dicevamo, lui, il filosofo esoterista, dagli anni ’70 seguace della Quarta Via (“ho cominciato da autodidatta, da solo e per disperazione“, dice l’artista). Un riscrittore, un ReWriters, per la sua continua ricerca di comunione tra punti di vista: in questo video racconta il suo incontro con il suo Maestro, era il 2013, l’armeno George Gurdjieff, e noi approfittiamo per consigliarvi la lettura con cui lui, il nostro imperituro amico, cominciò il suo percorso di approfondimento esistenziale: sarebbe felice di sapere che altri continueranno a leggere Frammenti di un insegnamento sconosciuto, di Petr D. Uspenskij.

Il nostro Franco Battiato amatissimo lascia una discografia sterminata e un’eredità ancora più grossa – Colapesce è, per esempio, uno dei suoi figli – per la quale sembra inutile scegliere una canzone su tutte. Però Prospettiva Nevski (1980), fra le tante, mi pare dire davvero perché in tanti gli abbiamo voluto bene. È una ballad non convenzionale, con un pianoforte sospeso; ambientata fra le strade di una Russia pre-rivoluzionaria, racconta la storia una gioventù trascorsa a San Pietroburgo, e per tutti i dettagli e le immagini che evoca sembra di essere davvero lì. Ma non è solo un bel trip. «E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro all’imbrunire», canta lui in chiusura, mentre il pezzo sale. Eccolo: parla di filosofia, ma non è un riferimento fine a sé stesso: è una lezione di vita da essere umano a essere, per sempre valida. Ci proveremo anche oggi, ci proveremo anche da oggi, a trovarla. L’alba dentro all’imbrunire, dico.

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