Ogni lavoro dei Protomartyr è di solito accolto da un boato: quello dei fan in visibilio. L’ultimo nato si chiama Ultimate Success Today e si porta dietro il fardello di non far abbassare la media rispetto alla discografia che l’ha preceduto.
L’avvio è in sordina (Day Without End), ma basta la successiva Processed By The Boys per proiettarci sul ciglio del baratro, con le stilettate della chitarra di Greg Ahee a squarciare il cielo plumbeo. La batteria di Alex Leonard in I Am You Now, precisa come la mira di un cecchino, non promette nulla di buono. The Aphorist ci regala minuti di pace apparente. Ci vuole pochissimo alla chitarra per reclamare prepotentemente il suo posto e creare un invalicabile muro, respingendoci, nuovamente, verso l’orlo dell’oblio. La voce dell’ospite Nandi Rose (Half Waif) si interseca con quella schizoide di Joe Casey acquietando il clima in June 21, ma i riff guastafeste sono, per l’ennesima volta, dietro l’angolo. L’ossessivo basso di Scott Davidson in Tranquilizer gira al ritmo del ticchettio di una bomba ad orologeria.
Nel frattempo la sezione fiati crea terra bruciata tutt’intorno. Se la suddetta canzone è stata l’innesco, Modern Business Hymns è la mirabolante deflagrazione. Dopo i fuochi d’artificio seguono due brani, Bridge & Crown e Worm In Heaven, dove è ben pronunciata la sinergia tra il cantato, ora più melodico e libero da ogni vestigia delirante, e lo spettro sonoro Post-Punk della band, che abbassa di un pelo il tiro senza rinunciare a quell’alone di oscurità che ha regnato per tutta la durata dell’album.
A fine ascolto possiamo affermare che non solo Ultimate Success Today non ha affatto abbassato la media, ma, anzi, l’ha considerevolmente alzata.
Signore e signori, ci troviamo davanti a uno dei dischi cult del 2020.
O al disco cult per antonomasia del 2020?
Vi lascio con questo quesito.