Nell’ambito delle tante iniziative lodevolmente create dal Teatro di Roma per la giornata del 25 novembre (Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne) parliamo oggi di Qualcosa di lei scritto da Rosa Menduni e Roberto De Giorgi, anche per raccontare qualcosa in più sulla loro valorosa produzione.

Trattare il tema della violenza sulle donne in chiave non priva di leggerezza: come avete affrontato la proposta?
“Quella a cui assistiamo in “Qualcosa di lei” è una versione dei fatti, il racconto di una donna forte, decisa, determinata e persino cinica davanti alla fine di un rapporto nato coi migliori auspici e franato poi in un intreccio di sospetti, manipolazioni e gelosie in cui è difficile stabilire chi sia vittima e chi carnefice. La sua è una analisi spietata, feroce, ironica e a tratti maligna che Viola Graziosi conduce ammaliando il pubblico in toni da stand-up comedy. Ma attenzione: non tutto è come appare. Possiamo solo dire che si tratta di un percorso coinvolgente e intenso in cui siamo certi che molte donne si riconosceranno e con un finale completamente spiazzante. Una grande prova per una attrice capace di stabilire con il pubblico una immediata complicità e di rendere tutte le sfaccettature di una donna così complessa, dalle molte personalità.

Il testo verrà presentato in forma di mise en espace nel Foyer del Teatro Argentina il 25 novembre, nell’ambito della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. L’ingresso è libero e l’orario è alle 12″.

“Qualcosa di lei”, il tema vittima carnefice

Qual è stato il vostro punto di vista sull’anno sul tema vittima carnefice? 
“Osserviamo con orrore i numeri delle statistiche, lo stillicidio quotidiano sui mezzi di informazione. Se i crudi numeri danno valori statistici stabili, l’impressione è che il livello di violenza nella nostra società sia in aumento o che lo stia diventando la nostra assuefazione a questi episodi. Sembra anche che la violenza venga sempre di più considerata ed accettata come una scorciatoia nei rapporti interpersonali, di lavoro, persino nella politica, celebrata da superomismo, machismo, disprezzo delle regole.

Parliamo della violenza non solo fisica, ma dello strumento di cui il più forte si avvale sul più debole cancellando i concetti di giustizia e ingiustizia in ogni campo: qualcosa di primitivo che bisogna fare molta attenzione a non giustificare mai, nemmeno quando può essere dalla parte della ragione. Possedere una forza superiore, una posizione di dominio diventa un vantaggio strategico necessario ad ottenere ciò che si vuole e il privilegio appare quindi sempre di più qualcosa da invidiare e da conquistare, non da combattere.

È facile vedere in proiezione una società divisa, classista e ingiusta che incolpa le vittime e celebra i carnefici, in cui i deboli restano senza voce. Anche i tanti morti sul lavoro rientrano in questo quadro desolante. Crediamo che oggi più che mai il teatro debba servire anche a farsi qualche domanda in più, scoprire altri punti di vista e conoscere un po’ meglio sé stessi attraverso gli altri”.

Torna in scena “Farà giorno”

A breve torna sulle scene il vostro lavoro più complesso e fortunato: “Farà giorno”. Volete raccontarci le tappe più significative?
“Farà giorno” nacque dal senso di spaesamento – nostro e di tanti altri – nell’osservare le trasformazioni della nostra società degli ultimi anni, con il crollo dei partiti tradizionali e l’avanzata dell’individualismo che lasciava i giovani delle periferie a scegliere tra il mito dell’arricchimento personale e le facili risposte delle ideologie di destra. Siccome la Grande Storia è fatta dalla vita delle persone comuni, sentivamo la necessità di inscrivere tutto questo in una piccola storia che però divertisse il pubblico parlando anche di turbamento, riscatto, evoluzione.

Abbiamo voluto mettere a confronto Renato, anziano e solo ex partigiano comunista, con Manuel, giovane vicino di simpatie fasciste che dopo averlo investito con la macchina si offre di accudirlo per evitare grane. Insieme i due fanno scintille ma alla lunga finiscono per comprendersi al di là delle ideologie. A questo contribuisce l’inaspettato ritorno di Aurora, la figlia di Renato, “medico senza frontiere” con un passato di lotta armata ed un carico di rancore e di amore tradito per il padre con cui non parla da trent’anni. Alla fine sono tre diverse generazioni della nostra storia che si incontrano sul terreno comune dell’umanità, che divertono e commuovono il pubblico ormai da dieci anni”.

Vederlo mettere in scena non è stato però né semplice né immediato. Fu il regista Piero Maccarinelli a credere in questa storia, presentandola prima come semplice lettura nei “Lunedì di Artisti Riuniti” al Piccolo Eliseo, una vetrina dove nuove proposte italiane potevano testarsi davanti ad un pubblico vero. La reazione fu entusiastica, e grazie a questo “Farà giorno” poté nascere come spettacolo vero e proprio, andando in scena con un grandissimo Gianrico Tedeschi.

Oggi “Farà giorno” torna in scena con uno straordinario Antonello Fassari nella parte di Renato, capace di divertire e di toccare il cuore quanto anche di incarnare con autorevolezza quel faro morale, quella bussola etica di cui forse tutti oggi sentiamo la mancanza. Alvia Reale è Aurora e Alberto Onofrietti è ancora Manuel. Dopo un intero mese di repliche al Teatro Parenti di Milano lo scorso maggio, lo spettacolo sarà in una tournée toscana, poi ancora al Parenti dal 19 al 28 gennaio e finalmente a Roma, al Parioli dal 31 gennaio 2024 all’11 febbraio”.


C’è in ballo anche una rassegna di inediti al Parioli. Cosa bolle in pentola?
“Le difficoltà in cui si muove il teatro in Italia non sono certo nuove. C’è sempre molta riluttanza a dare fiducia a nuovi testi e nuove idee e si preferisce “andare sul sicuro”. Ma l’unico modo per “andare sul sicuro” davvero, secondo noi, è interessare e coinvolgere il pubblico. Oggi che tutto è ancora più difficile di dieci anni fa, Maccarinelli ripropone la stessa formula dei suoi “Lunedì” al teatro Parioli che oggi dirige, offrendo alla attenzione del pubblico con “Lingua Madre”, dal 15 gennaio 2024, quattro differenti testi di autori italiani. Il nostro, “Secondo Luca e Marco”, è una storia che, come ci piace fare, viaggia tra dramma e commedia mettendo a confronto personaggi in crisi.

Questa volta sono due giovani preti, già compagni di studi, nella cornice della parrocchia di un paesino di montagna dove uno dei due è parroco e l’altro ospite inatteso. Ma in realtà c’è molto di più: una inchiesta per sospetta pedofilia, due visioni opposte della propria missione e della vita, molte sorprese, divertimento, dramma e tanti spunti di riflessione. Ci aspettiamo molto da questa commedia e speriamo intanto che piaccia al pubblico del Parioli. Alvia Reale curerà la mise en espace, in programma il 29 gennaio. Poi chissà”.

Essere una coppia nella vita che lavora così bene insieme: quali segreti vi uniscono così proficuamente?
“Ci vuole sicuramente affiatamento, conquistato in tanti anni di vita e di lavoro assieme, rispetto, riconoscimento dell’altro e consapevolezza dei propri limiti: gli stessi segreti che ogni coppia impara e conosce per raggiungere insieme un valore maggiore della semplice somma dei parziali”.

Condividi: