Andri Snær Magnason spiega così il titolo del suo libro: “L’ho chiamato Il Tempo e l’Acqua perché quando dicevo ai miei amici che stavo scrivendo un libro sulla crisi climatica nessuno ne voleva sentir parlare. Se, invece, dicevo: “Sto scrivendo un libro sul tempo e sull’acqua”, tutti rispondevano: “Che bello”.

Dalla prima parte di questa affermazione, “quando dicevo ai miei amici che stavo scrivendo un libro sulla crisi climatica nessuno ne voleva sentir parlare”, può partire una serie di riflessioni pressoché infinita. Spesso, quando parlo di crisi climatica, nessuno pare interessato. O, più che altro, in molti casi assisto ad una serie di sorrisi sminuenti. Come se volessero dire: sì, certo, lo sappiamo che esiste questa cosa qui che si chiama crisi climatica, certo, ma ci sono tante altre cose, magari prima ci occupiamo di queste e poi, se riusciamo, ci occupiamo anche di quella. Non ci si può occupare di tutto.

Solo che, se non ci occupiamo di crisi climatica, non ha molto senso occuparci di tutto il resto. A volte il discorso prosegue: la crisi climatica non è proprio qualcosa di visibile. O si vede appena, in qualche temperatura anomala, in qualche pioggia che sembra troppo forte. Ma, per il resto, ad uno sguardo poco attento, sembra invisibile in superficie. O sembra arrivare solo dalle notizie di luoghi lontani in cui gli incendi divampano e la plastica riempie gli oceani, perché viviamo in una parte del mondo in cui ancora non si vede che dei pezzi stanno cadendo via.

Parlare di crisi climatica è molto difficile. Ma è anche fondamentale. E qui arriva la seconda parte della frase iniziale. Magnason sceglie di parlare del tempo e dell’acqua o, più che di acqua vera e propria, dei ghiacciai islandesi che i suoi nonni esploravano e che i suoi nipoti forse non vedranno più.

Oltre a nonni che partono ogni anno per spedizioni sui ghiacciai, Magnason racconta di uno zio che ha salvato una specie di coccodrilli, dei giochi sul tempo che fa con la figlia, facendola riflettere sugli anni che conoscerà lei e su quelli che ha conosciuto la bisnonna, e di una sorella di sua nonna che, nel 1930, ad Oxford fa la governante dei figli di uno sconosciuto professore di letteratura medievale che scrive un libro chiamato Lo Hobbit e le chiede di lasciare la porta aperta quando racconta antiche storie islandesi ai bambini, perché vuole ascoltarle anche lui. Parole che descrivono piccole cose.

“Che parole possiamo usare noi per l’aria che respiriamo, o per come il genere umano sta cambiando la composizione dell’atmosfera terrestre?” si chiede Magnason. Quali parole usare per sentire veramente quello di cui parliamo, invece dello scollamento tra noi e le cose. A volte chiama in soccorso poesie o antichi miti islandesi, come quando racconta del poeta romantico islandese Helgi Valtýsson che canta la bellezza di Kringilsárrani, una distesa verde di cinquanta chilometri quadrati a seicento metri sopra il livello del mare.  

All’inizio degli anni duemila la maggior parte di Kringilsárrani è stata sommersa per creare una diga che alimenta una fabbrica statunitense di alluminio. Nell’estate del 2019 a Magnason viene chiesto di scrivere un memoriale su un ghiacciaio, Okjökull, il primo dei ghiacciai islandesi destinati a scomparire nei prossimi cento anni. Riflettendo su questi singoli avvenimenti, Magnason si chiede: “Come mai quando si prende in considerazione il quadro generale la reazione non è mille volte più forte?”.

Come si possono comprendere davvero le parole e tutte le loro implicazioni? Il quadro generale, spesso, è difficile da sentire. Si comprende, forse, in parte, ma si sente meno. Non si vede. Sembra invisibile. Ma la crisi climatica è già qui ed è visibile ogni giorno ovunque ognuno di noi si trovi. Partire dal particolare che ci tocca e ci fa male, da quel particolare di cui sentiamo la mancanza, da quel particolare di cui notiamo con dolore il cambiamento forse ci può far avvicinare a comprendere le implicazioni del quadro generale.

Il memoriale per il ghiacciaio finisce così: “Questo monumento attesta che noi sappiamo che cosa sta accadendo e che cosa deve essere fatto. Solo voi saprete se lo abbiamo fatto”. 

Valeria Belardelli

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