Oggi voglio ricordare non una singola persona, ma centinaia di bambine che nel 1902 osarono ribellarsi e chiedere condizioni lavorative migliori. Chi conosce il dialetto milanese sa che con il termine piscinina non si indica solo una donna piccola – di età o corporatura – ma ci si riferisce all’intera categoria di quelle che oggi chiameremmo apprendiste.

Le piscinine erano bambine dai 6 ai 17 anni costrette a ore di lavori massacranti e mal pagati; apprendiste sarte, modiste, lavandaie e stiratrici, oltre al lavoro, venivano utilizzare anche per la consegna a domicilio di grossi pacchi con vestiti realizzati su misura o con biancheria pulita, venivano spedite a piedi per la città con pacchi anche di 10 chili di peso.  

I loro turni lavorativi erano sfiancanti, tra le undici e le quattordici ore, mentre la paga – quasi nulla – oscillava tra i 25 e i 30 centesimi per una giornata intera, comprese le ore straordinarie.

Oltre ad essere sfruttate lavorativamente, le piscinine dovevano subire altri tipi di soprusi, dalle cattiverie e intransigenze delle cosiddette maestre, le donne per le quali svolgevano l’apprendistato, alle molestie dei loro mariti che non esitavano ad approfittare della situazione per piegarle ai loro desideri.

Lo sciopero delle piscinine

23 giugno 1902. La quattordicenne Giovannina Lombardi stanca di tutto ciò, guidò oltre 400 apprendiste per le vie di Milano, fino alla Camera del lavoro, per chiedere la riduzione dell’orario, la possibilità di usufruire di un’ora di riposo, la diminuzione del peso dei pacchi da consegnare e l’aumento del salario con l’aggiunta degli straordinari.

Urlarono per la prima volta in vita loro: «Sciopero! Sciopero!», consegnando per le strade volantini con scritto: «Mi son la piscinina, mica la schiava». Segnarono, senza rendersene conto, la storia dei diritti nel lavoro minorile e femminile in Italia. Tutto ciò senza l’aiuto dei loro genitori, anzi, dato che mettevano la famiglia in imbarazzo, veniva loro intimato di lasciar perdere una simile stoltezza.

Le zabette che vanno in giro a fare lo sciopero”, come venivano definite dai giornalisti, irritarono anche le maestre e i loro viscidi mariti in quanto oltraggiati da tale ribellione.

Per tre giorni a Milano proseguirono gli scioperi, non era ancora finito lo sciopero delle piscinine che ne cominciò un altro. Il 30 giugno quasi in forma endemica partì lo sciopero generale dei garzoni appartenenti a tutte le industrie, a cui parteciparono 5-6mila ragazzi sotto i 14 anni. Delle piscinine i giornali smisero di parlare.

Alcuni membri dell’Unione femminile, che avevano sostenuto sin da subito lo sciopero, si fecero da tramite con il segretario della Camera del lavoro e alla fine le bambine ottennero esito positivo alle loro richieste; chi la dura, la vince!

Ritrovare le piscinine in un romanzo

Delle piccole apprendiste milanesi si può leggere romanzo di Silvia Montemurro, La piccinina, ambientato in una Milano povera, popolare, vitale, arrabbiata, in fermento.

Sebbene sia cosa inutile, viene da far il paragone con i bambini di cento anni dopo che, ignari di quel che i loro coetanei abbiano sofferto nel passato, affrontano giornalmente tutt’altro tipo di problematiche. Forse sarà solo un parere da persona stagionata, ma credo sarebbe bello se le maestre raccontassero le gesta di quelle giovani eroine all’attuale Z-generation.

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