Ora che il clamore è passato (anche se mediaticamente ne ha avuto decisamente poco) e che ci prepariamo al secondo, fondamentale, passaggio parlamentare, è il momento di parlare con la dovuta calma della legge contro l’omolesbobitransfobia, la misoginia e l’abilismo. O, com’è conosciuta grazie al nome del suo relatore, la legge Zan.

Non voglio addentrarmi in tecnicismi giuridici né smentire, per l’ennesima volta, le accuse di voler limitare la libertà di espressione o, addirittura, di pensiero. Sono tutte fesserie, ampiamente smontate, che solo chi è in malafede o poco informato continua a dire. Del resto lo abbiamo visto durante il voto alla Camera. È stato abbastanza surreale come, proprio coloro che vogliono impedire che si parli di discriminazioni e di diversità nelle scuole, parlino di bavaglio. Ma tant’è: le italiane e gli italiani sanno distinguere le incoerenze e le bugie.

Parliamo, invece, di come questa legge serva a riconoscere le identità delle persone che vuole tutelare. E di come, soprattutto, riconosca la vulnerabilità di intere categorie di persone che ancora, in questo Paese, sono oggetto di violenze, abusi, discriminazioni e odio.

Sono profondamente convinta che le leggi, oltre a riconoscere diritti e istituire reati, servano anche a fare cultura. Valeva per la legge sulle unioni civili, vale per la legge contro le discriminazioni per identità di genere e orientamento sessuale.

Vale per questa legge anche perché (non solo, naturalmente) mette nero su bianco le definizioni di genere, orientamento sessuale, identità di genere e sesso. E per quanto un mondo senza etichette sarebbe un mondo bellissimo, non possiamo dimenticare che quello che non nomini non lo riconosci. E se non lo riconosci non puoi tutelarlo. Non è un caso che gli scontri più duri, attorno a questa legge, si siano consumati proprio sulla questione dell’identità di genere. Includerla in un testo di questo tipo, significa riconoscere le identità di genere diverse da quelle ci hanno insegnato come le uniche possibili. Non è così: ce ne sono tante altre e tutte meritano rispetto, tutela e dignità.
Lo dice anche la legge.

La legge Zan dà senz’altro un grande contributo nella direzione del riconoscimento e della protezione delle identità plurali che compongono la comunità LGBT+, pur non esaurendone tutte le sfumature. Lo dà per le definizioni che include, lo dà per le pene che prevede contro chi attacca queste identità, lo dà per le misure che prevede a tutela delle persone e la promozione dell’inclusione, a partire dall’istituzione della Giornata contro l’omolesbobitransfobia, già celebrata in tutto l’occidente ogni 17 maggio.

Quando la legge sarà votata definitivamente tutti e tutte dovranno riconoscere le persone LGBT+ e le loro identità. Certo, ci saranno delle resistenze, anche forti, specialmente nei soliti partiti o movimenti che da sempre sono contrari all’uguaglianza. Ma la legge sarà un supporto importantissimo al lavoro che da decenni le associazioni LGBT+ fanno, giorno dopo giorno, per combattere l’omofobia, la transfobia, la bifobia, la lesbofobia, la misoginia e l’abilismo.

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