Antropolaroid ritorna a Milano al Teatro Elfo Puccini, dal 5 al 9 giugno,  per la rassegna Nuove storie Paure e desideri – diretta da Francesco Frongia. Ce ne parla Tindaro Granata:

All’epoca del debutto non avrei mai immaginato che Antropolaroid mi avrebbe fatto incontrare gli spettatori e le spettatrici di tutte le regioni d’Italia. Sapevo, però, che sarebbe stato un ‘racconto’, un ‘cuntu’ come dicevano i miei bisnonni, che mi avrebbe accompagnato per sempre. Adesso Antropolaroid porta in scena tutta la consapevolezza, la maturità di un ex giovane, quale io sono, che col proprio ‘cuntu’ vuole donare speranza a chi verrà a vedere lo spettacolo e generare fortuna a chi è più giovane di me, come fosse uno speciale passaggio di consegne”.

Ecco la descrizione che ognuno di loro fa del proprio lavoro.

Alla luce del falò

5 giugno ore 19.30 – Jonathan Lazzini: il mio Antropolaroid sorge sulle ceneri della campagna. Uno squarcio su quel che resta di un tempo perduto, tra la vigna e la guerra, tra un’armonica e un falò che svetta alto sopra i campi coltivati. La storia di una famiglia attraverso Resistenza e compassione, cercando di abbandonarsi ad un sogno non ancora tramontato. La poesia che irrompe con forza tra le pieghe di una vita semplice.

Il racconto inizia con degli spari: il mio bisnonno che muore. É lì che nasce la mia famiglia. Mia bisnonna che si rimbocca le maniche e che dà inizio ad una vita all’insegna della Resistenza, in tutte le sue forme. La storia prosegue con la presentazione dei miei nonni paterni. Del loro vivere tra la fabbrica e i campi. E mio padre che viene investito di una poesia che ha radici chissà dove.

Nella narrazione entra in seguito mia madre e la sua famiglia. Tutto ha fine in me che cerco di copiare mio padre, di masticare poesia e perdermi tra alcol e sogni. Tutto ha fine in me che assieme alla mia gente, aspetto l’arrivo di un Godot campestre (in questo caso Tom Joad, direttamente da Furore di Steinbeck) che ci possa scaldare ancora, seduti attorno ad un falò.

Ironia della sorte

6 Giugno ore 18.30 – Gabriele Brunelli: nel mio Antropolaroid, che ho pensato fin dall’inizio con il titolo Ironia della sorte, ho voluto esorcizzare il dubbio, la paura del senso del vuoto e della vertigine. Sono andato alla ricerca di un se che permetta di ironizzare consapevolmente sugli inciampi a cui la vita ci destina o cui, forse, noi ci destiniamo.

Mi presento come un bambino-uomo sicuro e all’ apparenza a suo agio con la propria persona. Dopo un prologo sull’ identità, affronto le memorie e i racconti dei miei avi, ricomponendo una parte del mio albero genealogico per cercare le radici della mia famiglia. Il primo a cui sono riuscito a risalire è Tullio che abbandona la campagna e la famiglia per arruolarsi nell’armata che combatte per l’unità d’ Italia “per sé e per lasciare ai suoi figli un futuro”.

Si avanza poi nella storia fino a Gino che ha perduto parte della gamba destra durante la Prima Guerra mondiale, fino all’ultimo dei racconti di famiglia, il mio bisnonno, detto il Biondo, e il suo irriducibile orgoglio. Ripercorrendo i vissuti di questi uomini ho trovato un’umanità e uno scorrere del tempo che contrastano con la frenesia e con la mancanza di empatia del nostro quotidiano, a cui noi tutti aderiamo con cinica ironia, per garantirci la sopravvivenza.

Il mio è un percorso nella memoria, alla ricerca di gesti e atti chiari e riconoscibili di cura, metafore diverse di un padre che dorme a terra tenendo la mano al figlio insonne nella culla.

Ciumachella

7 Giugno ore 19.30 – Emilia Tiburzi: il mio Antropolaroid parla del legame con la mia città, Roma, e del mio rapporto con i massimi esponenti della romanità cinematografica (Anna Magnani, Alberto Sordi), di come hanno influenzato la mia vita e le mie scelte. Il monologo che ho scritto è un flusso di coscienza in cui solo apparentemente sembra non essere chiamato in causa il mio vissuto ma che si esaurisce in un urlo disperato al futuro.

Entrano le storie della mia famiglia a salvarmi, la delicatezza di mio nonno che porta sulle spalle il peso dell’abbandono, la forza di mia nonna, contadina, cresciuta nei campi con la sua asina Peppa, e poi mia madre e mio padre, che con il loro sguardo mi hanno guidata in questa giungla meglio conosciuta come vita.

Tre preghiere e un atto di dolore

8 Giugno ore 19.30 – Francesco Maruccia: il mio Antropolaroid parla della mia famiglia e delle sue contraddizioni, delle sue fughe e dei suoi ritorni, del silenzio che c’è tra un padre e un figlio e di quel che succede quando quel silenzio si spezza. Cosa appare? Cosa succede quando le parole che sono state nascoste tornano alla luce?

Attraverso tre brevi episodi – ciascuno introdotto da una poesia – e un epilogo ho provato a raccontare la storia di una famiglia dove si parla poco e dove quel poco che si dice rimane fragile, sospeso, pronto a spezzarsi in ogni momento. 

Real Maravilloso

9 Giugno ore 19.30 – di Sebastian Luque Herera: il mio Antropolaroid è un viaggio tra padri e figli. Inizia con una descrizione di sensazioni, suoni, odori e ricordi scritti in terza persona, per poi passare alla prima persona, la voce di mio padre, che osserva il luogo di torture e di carcerazione in cui è stato portato, nel 1976 in Argentina. I personaggi che incontra, di diversa estrazione sociale e politica, che non sono mai né buoni né cattivi, sono solo esseri, svuotati della loro umanità, superstiti, affamati.

Infatti, è proprio il cibo, come metafora di umanità e di legame affettivo, che sposta il racconto, portandolo nella mia storia e nella mia vita. Il mio rapporto e quello dei miei amici con la cucina, i piatti della nostra vita e le ricette come dono all’altro. Il cibo che fa crescere ed allontana solitudine e povertà, anche di spirito, dalle nostre vite. “Un ragù di polpo è una delle forme di affetto più grandi che io possa dare” e ancora “da piccolo vedevo le signore che raccoglievano la frutta marcia dopo il mercato”.

Il monologo si chiude con l’immagine di una grande tavola imbandita, con ai due capi me e l’immagine di mio padre, con una poesia, surreale, immaginifica, che unisce i due mondi, le due storie, le due solitudini, senza pacificazione. “e in bosco di castagni / siederemo assieme padre / al tavolo che nobilita l’uomo”.

Dentro al monologo troviamo anche il suono, la musica sudamericana, la lingua spagnola recitata da un ragazzo nato a Milano, che con quella lingua modifica il proprio stare sulla scena e le voci dei suoi amici, italiani e no. La scrittura spazia dalla poesia onirica alla narrazione, asciutta, dura e dolorosa.

 

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