“Quello che so di te”. La vita contro la follia
Nadia Terranova propone una sorta di romanzo familiare. La follia si presenta arrogante e prepotente nella vita di una neo-madre.
Nadia Terranova propone una sorta di romanzo familiare. La follia si presenta arrogante e prepotente nella vita di una neo-madre.
La follia si presenta arrogante e prepotente nelle primissime pagine dell’ultimo libro di Nadia Terranova, Quello che so di te (Guanda, pp 256, euro 18.00). Irrompe sulla scena senza presentarsi e lancia la sfida verso una madre che ha appena partorito una bambina. Il suo ingresso potrebbe portare la donna verso destini di disadattamento nei confronti di società e affetti. Potrebbe imporle una forma di anormalità che una società spesso bigotta si affretta a riconoscere, quindi a censurare e a emarginare. La donna accetta la sfida e a sua volta dichiara che questo demone non l’avrà vinta su di lei proprio perché lei ha partorito da poco. In nome della creatura appena nata, la madre è disposta a combattere fino in fondo.
Inizia allora un viaggio epico e forse pericoloso nel passato e nella memoria. Il riferimento è Venera, sua bisnonna mai conosciuta, ma molto spesso sognata, che, un secolo prima, trascorse oltre vent’anni nell’ospedale messinese di Mandalari. Venera abita le notti della neo mamma e si mostra subito come una creatura mitologica, al tempo stesso guida nella memoria e garante di misteri, silenzi, omissioni e sortilegi. A lei la scrittrice lancia una lunga e solida gomena per riportare a terra le relazioni familiari, gli episodi, i luoghi del suo passato, ma soprattutto le donne e le loro vicende peculiari, spesso condannate alla follia.
Nasce in questo modo una sorta romanzo familiare che per fortuna non ha i tratti delle grandi saghe ottocentesche. Sarebbe anacronistico. Piuttosto le vite delle donne e degli uomini, verso i quali la scrittrice mostra attenzione e cura, sono l’occasione per conoscere e comprendere, per far rivivere ricordi utili e lasciare che si offrano ad arricchire l’esperienza presente della donna contemporanea, ora neo madre.
Nadia Terranova e i suoi personaggi si muovono come in una tragedia greca, usano i canoni delle grandi tradizioni orali del mediterraneo ma, insieme fanno coraggiosamente, forse sfacciatamente, appello anche a elementi di esoterismo e magia. Tutto il mondo, reale e immaginario ruota intorno alla bambina appena nata e alla madre consapevole che in quel momento se si allontana anche solo di poco, sua figlia che ancora non può vederla, non la sentirà più. Sono solo venticinque i centimetri di distanza tra il seno che allatta e la piccola bocca della neonata, oltre rimangono solo due estranei, per il momento.
Un secolo di vita italiana e siciliana in particolare scorre sotto i nostri occhi in una una corona fatta di vuoti e di pieni che comprendono l’emigrazione, le guerre, i dolori e le lotte della povera gente, le (poche) vittorie e le molte sconfitte di chi non si rassegna a farsi vivere ma che vuole fortemente un destino per sé.
Già nei suoi primi libri, Nadia Terranova aveva usato brillantemente la scrittura per fare i conti (e forse tentare di liberarsi?) del passato strettamente familiare. Aveva raccontato le vicende della sua famiglia, del padre in particolare, della madre e della cerchia più ristretta. In questo era riuscita a buttare a mare – nello Stretto di Messina!! – i suoi fantasmi, come dichiara il titolo di uno dei suoi libri. Ma come nega oggi che è diventata molto più saggia e, forte di una consapevolezza che profuma di pratiche psicoanalitiche, la porta a dichiarare che dei propri fantasmi non ci si libera mai. Anzi, si impara a conviverci. Proprio come in Quello che so di te, per combattere il rischio di follia, anche…