Bisogna ammetterlo: sono tempi duri per gli animali selvatici in Italia dopo l’insediamento del governo Meloni avvenuto il 22 ottobre scorso. Si sa che la tutela della fauna selvatica non è mai stata una priorità per i partiti di destra, ma ora più che mai c’è un crescente orientamento verso scelte e decisioni che potrebbero mettere seriamente in pericolo molte specie selvatiche presenti sul territorio italiano.

E’ di queste ore l’approvazione dell’emendamento che permetterà di cacciare la fauna selvatica anche in aree urbane e protette. Si oltrepassa in tal modo ogni ragionevole sensatezza, creando legalmente condizioni di pericolo per gli animali e per gli esseri umani che frequentano parchi e giardini urbani.

Stiamo parlando di una vera e propria caccia di contenimento mirata a gestire e controllare, secondo la Commissione Bilancio della Camera, le specie selvatiche, che potranno essere braccate e uccise per tutto l’anno anche in quelle aree dove fino ad oggi erano al sicuro.

Del resto non era sfuggita nelle ultime settimane una certa predisposizione verso questo tipo di decisioni, preceduta da altri pericolosi e significativi segnali. E’ di poche settimane fa l’esternazione del ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida a proposito di eventuali abbattimenti di lupi ed orsi:

«Bisogna proteggere i lupi così come gli ungulati e i bovini. È però evidente che se 30 anni fa alcune specie erano in estinzione, come i lupi, oggi sono invece sovrabbondanti: questo è un dato di fatto. Spesso c’è anche commistione tra lupi e cani e ciò produce un danno alla sopravvivenza della razza. La sovrabbondanza danneggia quindi sia l’agricoltura sia i lupi stessi. Bisogna affrontare il problema con pragmatismo e senza ideologia […] la soluzione dell’abbattimento non si può escludere a prescindere».

Naturalmente l’Ente Nazionale Protezione Animali (Enpa) aveva subito replicato con forza alle affermazioni del ministro, definendo la proposta di abbattere orsi e lupi

 «contraria alla scienza e offensiva per milioni di italiani che sono da sempre contrari alle uccisioni dei grandi carnivori».

Niente di più vero, a giudicare dall’ultimo Rapporto Eurispes 2022, secondo il quale, nell’anno che si sta concludendo, solo il 23,9% degli italiani si dichiara favorevole alla pratica della caccia (i contrari sono il 76,1%), in netta diminuzione rispetto al 2021 quando erano il 36,5%.

Significa che 76 persone su 100 disapprovano la caccia. Un dato estremamente significativo che conferma l’ampia condivisione di questo sentimento di empatia verso gli animali da parte della popolazione italiana.

Tuttavia, nonostante questi ampi numeri, il recente tentativo di far passare il referendum contro la caccia è fallito. Numerose firme raccolte dal Comitato Si aboliamo la caccia non sono state ritenute valide dalla Corte di Cassazione, e il quesito referendario è stato considerato non ammissibile.

Un intralcio tecnico, ma che è bastato ai cacciatori per partire al contrattacco. Infatti ora la strada si fa in salita, perché i cacciatori, graziati da questa inammissibilità, hanno percepito il pericolo, ben consapevoli che in futuro nuove iniziative di raccolta firme potrebbero essere messe in cantiere.

Ed ecco che si stanno organizzando per divulgare un’immagine del cacciatore più accettabile dall’opinione pubblica, cercando di far passare l’idea che il cacciatore sia un amante dell’ambiente, o quanto meno una figura necessaria all’equilibrio degli ecosistemi.

Del resto già due anni fa lo scrittore Mauro Corona aveva scatenato aspre polemiche quando aveva proposto, durante la trasmissione Cartabianca condotta da Bianca Berlinguer, di mandare i cacciatori nelle scuole ad educare i bambini alla vita nei boschi. Un’immagine a dir poco paradossale: come possono parlare di educazione e di vita nei boschi degli esseri umani che vanno nel bosco per uccidere?

Eppure, nonostante le indignazioni che tale proposta aveva suscitato, Federcaccia opera già da tempo in questo senso, organizzando più volte conferenze, incontri e lezioni presso scuole elementari e medie, come nelle scuole di Brescia e delle Marche, della Toscana, del Veneto e della Sardegna, per limitare il rischio che le nuove generazioni si allontanino dalla caccia per abbracciare valori eticamente più sani e rispettosi dell’ambiente.

Un impegno che i cacciatori stanno prendendo molto seriamente, con l’ausilio di strumenti da loro definiti educativi, come il libro illustrato Il cacciatore in favola, di Gottardi e Filippi, che intende rivalutare la figura del cacciatore, per bimbi dai 5 anni in su.

Un libro che oggi viene letto ai bimbi nelle scuole dell’infanzia ed elementari della Regione Autonoma Trentino Alto Adige, che ne ha addirittura sostenuto la pubblicazione con un patrocinio, insieme alla Provincia Autonoma di Trento e alla Sezione Cacciatori Trentini.

Iniziative del genere sono insidiose, perché cercano di manipolare le menti dei più piccoli, instillando in giovanissima età l’idea che uccidere possa avere una valenza positiva.

Ma la caccia è destinata a scomparire

E’ un fatto che i cacciatori diminuiscono sempre di più, sia per i costi elevati dell’attività venatoria, sia per il crescente senso di rispetto verso persone, ambiente ed animali, e in un mondo che si evolve, la cultura delle armi trova sempre meno spazio. Ecco perché i cacciatori tentano disperatamente di rivolgersi alle nuove generazioni, per creare un vivaio dal quale attingere per mantenere viva e tramandare la loro passione di uccidere.

Non a caso l’Associazione Vittime della Caccia, che ogni anno redige un bilancio dei morti e feriti, tra cui anche minori, dovuti all’uso di armi da caccia, si esprime chiaramente contro queste iniziative nelle scuole che fanno passare per educativa un’attività pericolosa per le stesse vite umane.

Ma intanto la Lav dichiara che in Italia vengono uccisi più di 4 milioni di animali per ogni giornata venatoria, per ogni giornata, ripeto.

Per non parlare del bracconaggio, che consiste in pratiche antichissime che, nonostante oggi siano illegali, continuano ad essere praticate, arrivando ad uccidere in Italia 5 milioni di uccelli all’anno, come conferma la stessa Lipu. Una piaga nella piaga, perché se la caccia fosse vietata si riuscirebbe a debellare più facilmente il bracconaggio.

Ma per fortuna le buone notizie arrivano, e l’ultima è quella della Convenzione di Berna che, riunitasi il 29 novembre scorso a Strasburgo, ha respinto la richiesta della Svizzera di declassare il lupo da specie rigorosamente protetta a specie solo protetta.

Il tentativo di declassamento dello stato del predatore aveva lo scopo di creare maggiori margini di manovra in caso di attacchi al bestiame, consentendo di sparare al lupo. Ma il comitato permanente della Convenzione di Berna si è espresso in modo inequivocabile, con solo 6 voti favorevoli su 30.

Le armi non sono mai la soluzione ai problemi: per difendere i greggi dai lupi esistono sistemi sicuri e protetti, come le reti elettrificate, che il dottor Duccio Berzi, esperto di scienze forestali, si impegna a far adottare dagli allevatori grazie all’attuazione di progetti di mitigazione dei danni, in collaborazione con vari enti pubblici.

Il futuro del nostro Paese, e della stessa Europa, non può che contemplare l’abolizione della caccia, con buona pace dei pochi cacciatori (meno di 500mila secondo il WWF), che non possono e non devono costituire un freno allo sviluppo etico e culturale delle nuove generazioni.

Condividi: