Nessuno ci capisce un caxxo, questo è appurato. Vige insomma la scaramanzia, tra preghiere, riti apotropaici, dita incrociate e corna. Si spera che questi vaccini funzionino, che i benefici siano superiori ai costi, che i rischi siano minimi, che le varianti si diano una calmata. Anche perchè non ci se la fa più, a galleggiare sospesi nella paura, e allora dai, intanto viviamo, al resto, se verrà, ci penseremo poi.

Mi pare questa, più o meno, la situazione, almeno nella penisola nostrana. Al netto, ovviamente, di chi si crede più intelligente, più furbo, più aggiornato, meglio informato (e magari lo è), e che non si vaccina, perché c’è sotto qualcosa, non tornano i conti, col cavolo farsi manipolare dalle case farmaceutiche, dalle guerre fredde tra Paesi, dagli interessi egotici di visionari pazzi, facendosi iniettare roba che poi chissà.

Sta di fatto che il buonumore sta lentamente tornando tra i tavolini dei bar, nelle piazze, e sembra possibile ricominciare a sperare, di ripartire e vivere senza temere il vicino di casa, di chiacchierare per strada o alla fermata del bus, di beccarsi in un club, e magari di finire la serata in bellezza, con un corpo a corpo tra lenzuola che ci facciano sentire, voluti, visti. C’è chi è più easy e smart, chi invece resta trincerato dietro tenaci mascherine, chi rimuove il passato prossimo e non prende alcuna precauzione, chi al contrario pone la fatidica domanda: ma tu sei vaccinato?

Come comportarsi tra il desiderio sacrosanto di tornare a sentire la vita che pulsa e la cautela che ancora occorre perché no, non è tutto come prima e non lo sarà mai più, perché quanto è accaduto è accaduto. Credo che la linea guida per tutti sia il rispetto di sè in comunione con il rispetto dell’altro. Insomma, come la metti questa pandemia ci lascia un grande insegnamento: tornare all’abc dei valori su cui poggia la convivenza sociale.

Un esempio? Io non mi vaccino e vengo invitato a una cena da amici. Ho due modalità, tacere e a domanda rispondere in vaghezza, oppure polemizzare sostenendo le mie weltanshauung, o ancora, al momento dell’invito, chiedere con garbo se la mia presenza potrebbe recare qualche tensione agli altri. E’ quest’ultima ipotesi che mi pare sparigliare democraticamente le carte e confermare che, appunto, il rispetto è una risorsa che ci salva in ogni situazione facendoci uscire sempre vincenti: rispettosi delle proprie scelte ma senza farne ricadere i costi sugli altri, anzi informandoli con generosità, responsabilità e gentilezza proprio in segno di riconoscimento di chi abbiamo davanti e di umana interpretazione della relazione.

E l’ospite come potrebbe comportarsi? Chiedere ai proprio invitati l’intimo stato dell’arte sul tema? Tacere e rischiare una serata con qualche tensione se viene fuori un outing? Anche qui, ci sono almeno due approcci: chi preferisce il governo e il controllo della propria vita probabilmente chiederà esplicitamente, con augurabile delicatezza, o con stratagemmi di fortuna, per capire se tutti potranno sentirsi sereni e a proprio agio, protetti per quanto si può. Chi invece è un fatalista, vive la vita con slancio, mistero, creatività e improvvisazione farà leva (internamente e fuori di sè) sul connaturato senso di responsabilità che egli pensa sia attribuibile di default all’essere umano, o per lo meno agli esseri umani che egli frequenta: è il tipico caso in cui l’atteggiamento naiv è deliziosamente vantaggioso, almeno in termini di ansia.

E il sesso? Un tempo, quando ero piskella io, bastava il preservativo. Adesso, farlo con preservativo, amuchina e mascherina diventerebbe quanto meno imbarazzante – a meno che, certo, la cosa non venga trasformata in un qualche rituale fetish o gioco di cosplay. Anche il sesso, come le relazioni in ogni loro declinazione, per riuscire ad essere appagante in questo momento storico, deve riuscire a confrontarsi con la paura e a trovare in essa una opportunità. La penso come Carlo Lucarelli, grande scrittore, autore e conduttore televisivo, oltre che geniale sceneggiatore di serie tv, che ha detto di considerare la paura una cosa positiva: “Non solo perché me ne occupo come scrittore e sceneggiatore – ha chiarito – ma anche perché dal punto di vista umano è una sfida confrontarsi con essa e capire che abbiamo la possibilità di superarla”. A chi gli chiedeva se vi fossero analogie tra la vicenda raccontata nel suo ultimo romanzo, L’inverno più nero (che vi consiglio di leggere proprio in risposta alle domande che stiamo ponendo), e l’attualità, Carlo Lucarelli ha risposto citando proprio l’atteggiamento del protagonista: “Voltandosi dall’altra parte per concentrarsi sulle sue passioni – ha precisato – non si è accorto di alcune cose che all’epoca gli accadevano intorno, salvo poi trovarsi a doverle fronteggiare”. Lo stesso succede a noi oggi, ha evidenziato Carlo Lucarelli: “Anche noi ci voltiamo dall’altra parte, ma sono la stessa Terra, il clima, l’ambiente a dircelo: attenti, che poi vi girate e vi trovate nel pieno di una pandemia, e vi chiedete anche da dove sia venuta”.

Quindi? Quindi, se dentro noi stessi abbiamo avuto la fortuna, o il dono, o l’intelligenza di avere una cassetta degli attrezzi che ci permette di trovare ogni volta un buon equilibrio tra slancio e cautela, rispetto di sè e dell’altro, senso di responsabilità e gusto nella sfida, gestione del rischio e pulsione esplorativa, allora possiamo stare tranquilli: accadrà la cosa migliore.

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