“Coperto di polvere, la kefiah sulle sue spalle, inciampa nella luce del mattino.  I cespugli attorno a lui, i muretti in rovina e le pietre in rilievo delle tombe arabe non gli evocano nulla di preciso”

Haddad descrive, con la delicatezza della poetica araba e la precisione della lingua francese, l’inferno del conflitto israelo-palestinese. Lo racconta attraverso Cham, un soldato israeliano che perde la memoria e diventa così Nessim il palestinese.
L’odio è un’altra catena, sai? I loro rabbini hanno una frase molto forte su questo argomento: “sii piuttosto maledetto che colui che maledice”.
Chi è questo scrittore che ci regala un brusco risveglio nella parte più martoriata di questo insensato conflitto?

Sdraiata sul letto accendo il computer. Velocemente navigo.
Hubert Haddad è un condensato di culture mediterranee diverse, quella tunisina algerina e francese. Il suo nome completo è Hubert Abraham Haddad. Abraham nome carico di importanti significati.

Hubert Haddad è un ebreo arabo.
“L’angelo, che mi libera da ogni male, benedica i fanciulli, siano chiamati con il mio nome e con il nome dei miei padri Avraham ed Isacco… e diventino numerosi sulla Terra” (Genesi 48:16)

Cham/Nessim è seduto su un bus, con la testa appoggiata al finestrino. Attraversa una terra ridotta in macerie dove bisogna fermarsi ad ogni check point sotto il tiro di un fucile di altri giovani condannati a vivere da soldati.
“La condensa sul vetro nasconde il vuoto del cielo”.

Oggi il caldo è insopportabile. Dovrei scendere in cucina, dove fa più fresco. Ma sono dentro alle parole. Con gli occhi incollati al libro allungo un braccio per prendere il bicchiere pieno d’acqua. Continuo a girare per quelle strade in rovina andando dietro a Nessim, lo osservo mentre incontra la bella Falastin.
Vestita in jeans e una giacca nera attillata in vita, una semplice sciarpa di flanella legata dietro il collo, nasconde la sua estrema fragilità con un portamento energico, audace, quasi maschile.

Li seguo entrambi. Si muovono attenti in una guerra crudele, irrisolvibile per le sue cause essenzialmente astratte.
Le lacrime gli velarono gli occhi senza capire la ragione del suo turbamento. Mancava qualcosa al mondo, un colore, un collegamento necessario.

La follia dei conflitti, l’inutilità di massacri e l’inutilità di massacrare.
Non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore diceva Antigone nell’omonima tragedia greca.

L’odio è un’altra catena, Nessim. Un giorno la pace verrà e noi potremo tutti amarci. Sì, è solo con la pace che noi potremmo vincere,   dice Falastin a Cham/Nessim.

La speranza di un futuro migliore non muore mai, è capace di insinuarsi tra i vicoli distrutti, sfiorare corpi martoriati e alitare sui pazzi che non riescono più a sentire gli altri.

Hubert Haddad, Palestine 2008. Edizioni Il Maestrale.

Sofocle, Antigone  442 a.C

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