Negli ultimi giorni, i cuori di tutti i fautori della musica (non solo elettronica) si sono rotti in mille pezzi alla notizia della separazione del robotico duo francese Daft Punk. Chiunque abbia rispetto per il genio artistico ha riconosciuto in questo transformer a due teste, che dagli anni ’90 domina le classifiche musicali mondiali, di aver iniziato una rivoluzione nel mondo dell’elettronica e di essere riuscito a veicolare vari messaggi da non sottovalutare, come: “la fama non puoi sempre controllarla e può mangiarti, indossa un casco, stringi forte tra le mani la tua vita privata e dalle peso”.

La notizia dell’epilogo della loro esistenza come duo ha sorpreso e sconvolto. Pensare che non sarà davvero più possibile, per quanto già prima molto difficile, assistere ad un loro live (cosa che dovrò depennare dalla mia top ten dei must do) è una stretta al cuore. Negli ultimi giorni tutto il mondo ne ha discusso ipotizzando motivazioni, celebrando il loro operato, sperando di svegliarsi da questo brutto incubo, e anche io devo dire di aver sentito il desiderio e la pulsione di condividere con qualche altro cuore infranto non solo il mio dolore, ma anche alcuni tra gli avvenimenti più intriganti del duo (come quella volta che il loro impianto andò in palla e, casualmente o forse no, iniziarono a creare un beat sfruttando le vibrazioni da contrasto generate dal contatto tra il cavo dei synth e l’entrata degli amplificatori).
Ad ogni modo, già tanto si è detto e tanto ancora si dirà, ma tutto questo movimento sull’ex duo dei musicisti col casco, mi ha fatto tornare in mente un altro gruppo francese, che faceva elettronica e indossava occasionalmente caschi e tute da astronauta: gli Space.

Questo gruppo si viene a formare nel 1977 a Marsiglia intorno alle figure di Didier Marouani, tastierista e compositore, conosciuto anche come Ecama, il fisarmonicista e arrangiatore Roland Romanelli e il batterista Joe Hammer, seguiti da altri come il bassista Jannick Top. Questi iniziano facendo disco music, ricoprendo in breve tempo il ruolo di pionieri della successiva musica elettronica. I loro primi tre album, Magic Fly (1977), Deliverance (1977) e Just Blue (1978), sono un successo immediato. Il personaggio di punta della band è Marouani, già noto come solista, che è anche l’ideatore del nome del gruppo. È interessante notare come ogni evento inneschi una serie di effetti, la famosa teoria dell’effetto farfalla, infatti il nome Space fu suggerito al leader della band, in seguito ad una performance televisiva per un programma di astrologia, in cui il gruppo, con caschi e tute da astronauta, interpretava il singolo Magic Fly, la cui melodia sembrava proprio venire da comunicazioni interspaziali e vibrazioni cosmiche. Qui le melodie assumono una forma visiva e pare di trovarsi in una navicella spaziale, pervasa da raggi di luce e di colore.

Per i primi due anni di attività, la band si esibisce quasi esclusivamente in televisione, senza conquistare mai il palco di un concerto live, anche a causa della precarietà dei primi modelli di synth, ma per molti musicisti essere privati dell’espressione live è come essere amputati di un pezzo del corpo. Ciò crea non pochi problemi nelle dinamiche interne al gruppo, Didier Marouani infatti inizia a soffrire questa relegazione agli schermi e a desiderare di esibirsi in un tête-à-tête con migliaia di persone. Da qui inizia un percorso di incomprensioni che porta il leader ad abbandonare il gruppo nel 1979 per poi unirsi a Janny Loseth, sotto il nome di Didier Marouani and Space. Un anno dopo Romanelli e Top pubblicano Deeper Zone, ma nonostante ciò nell’81 la band si scioglie ufficialmente. Solo nel 1990, a seguito di un lungo percorso legale, Marouani riacquisisce tutti i diritti del nome Space e riprende ad esibirsi, anche live, soprattutto nell’Est Europa, per la precisione in URSS. Da qui inizierà una serie di collaborazioni, come quella del ’93 con la Russian State Symphony Orchestra, e di prestiti per remix, i più noti sono quelli operati dal progetto belga Minimalistix nel 2004 e dai De La Soul nel 2007.

Gli Space sono stati dei fari nella notte della space disco e poi avanguardisti dell’elettronica. Il loro stile, sia musicale che visivo, così cosmico e alieno, li ha consacrati a prima band della spacesynth, musica disco condizionata da influenze sci-fi. Credo che, se la Millennium Falcon della trilogia originale di Star Wars avesse avuto una sala disco, la performance band di punta sarebbero stati proprio loro.
Se potessi scrivere la saga della storia degli Space, porrei come ereditieri della loro energia cosmica proprio i Daft Punk. Ciò che spartiscono è di certo l’aspetto esteriore di viaggiatori spaziali, con i loro caschi e le loro divise robotiche, e anche le tendenze musicali metalliche e vaporose, ma da qui, il duo spaziale più recente prende il volo e volge la prua della sua astronave verso nuove e inesplorate galassie. Già dal primo EP del ’95, si elude che i Daft Punk con la disco hanno ben poco a che fare, ma prediligono bassi un bel po’ più pesanti e ritmi un bel po’ più scanditi. Le loro produzioni stanno più sulla techno e sulla house, anche se, a mio avviso, il loro essere alieni è riscontrabile anche in questo caso, non credo infatti sia totalmente possibile farli rientrare in qualche categoria musicale preesistente, andrebbe coniato un nuovo termine, perché loro sono riusciti ad essere davvero daft-punkisti e basta.

Come tutti i migliori racconti di narrativa, ad ogni grande avventura segue uno sconvolgente epilogo, così anche nelle grandi avventure della storia della musica. Gli Space hanno dovuto abbandonare la loro astronave nell’81 e poco più di dieci anni dopo, il potere della galassia dell’elettronica è stato custodito e rafforzato dai Daft Punk. Il 22 febbraio del 2021, i Daft Punk hanno annunciato la loro separazione e il mondo ha pianto. Ma… mondo ‘ascolta a me’: la storia si ripete, quindi non disperiamo e aspettiamo che si faccia avanti, dovessero anche passare altri dieci anni, una nuova oligarchia spaziale, capace di condurre in alto le energie della space-electro, per farci ballare e sognare ancora, come hanno saputo fare i suoi predecessori.

Condividi: