Se dico musica ambient, cosa vi viene in mente? Ascensori, sale d’attesa e centri commerciali? Quelle melodie ripetitive, che spesso abusano della pazienza degli ascoltatori passivi? Beh se così fosse, sono contenta di potervi aprire le porte su tutt’altro universo.
La tipologia di musica sopra descritta si chiama musica per ambiente o Muzak, mentre se si parla di ambient si è in un luogo opposto e lontano.

La musica ambient, o da ambiente (e non per, attenzione), non è un genere da intrattenimento, piuttosto un genere da stravolgimento. L’obiettivo è pervadere e trasformare tutto lo spazio in cui si propaga, modificando la percezione che l’ascoltatore ha dell’ambiente (appunto) e della propria interiorità. L’idea è che sia la musica a costruire l’atmosfera e non che si adatti ad essa modificandone i tratti a seconda delle necessità e dell’effetto che si vuol ottenere, come invece accade con molti altri generi, quali il pop o proprio l’opposta musica per ambienti.

La musica ambient si fonde con il circostante e, mantenendone i caratteri, critici o meno, crea uno spazio introspettivo, di silenzio nella musica, di pausa attiva, di partecipazione alla realtà interiore, senza alcun tipo di protagonismo o richiesta, qualcosa che si può percepire su diversi gradi di attenzione, senza pretenderne uno specifico. Mi fa pensare a una di quelle esperienze che sovente capita di avere immergendosi nella natura, quando, fermandosi un attimo e percependo la propria presenza nel fruscio del vento fra le foglie, o nell’odore di terra bagnata, o ancora nel cinguettio diffuso degli uccellini, ci si sente parte del tutto e non intruso o visitatore.
È evidente che si tratta di esperienze lungi dall’essere assimilabili ai suonetti degli altoparlanti dei centri commerciali o alle melodie che accompagnano le attese in linea al telefono, e trovo che sia giusto ridare all’ambient quel che è dell’ambient, quindi chiarirne il dominio di esistenza.

Nel 1978, in occasione dell’uscita di Ambient 1: Music for Airports, album emblematico per la categoria, che ne delinea i caratteri e ne chiarisce le differenze con gli altri generi, l’autore, il musicista britannico Brian Eno, afferma che la musica ambient può essere “ascoltata attivamente con attenzione come può essere facilmente ignorata, a seconda della scelta dell’ascoltatore”. Questo fa intuire quanto l’esistenza di tracce di questo tipo sia in stretta relazione con la percezione di chi ascolta, quasi questo ne fosse la conditio sine qua non.

Nel giro di pochi anni, l’ambient inizia ad essere vista da vari artisti come fertile terreno da poter riseminare. Iniziano esperimenti fra i più vari, che vedono la musica da ambiente, inizialmente legata a una strumentale acustica, unirsi ai suoni più metallici dell’elettronica.
Molti gruppi noti, come i Pink Floyd (di cui consiglio fortemente l’album del 2014 ‘The Endless River’, poetico esempio di un ambient su linee quasi oniriche) e i New Order, furono fortemente influenzati dal genere.
La musica ambient inizia negli anni a subire forti contaminazioni da parte di altri generi, anche apparentemente lontani come la dub o la techno, e a mano a mano diventa sempre più difficile riportarla ad un proprio dominio delimitato. Consequenzialmente inizia a crearsi una certa confusione a riguardo, e viene spesso scambiato con altri generi e, nel peggiore dei casi, con il suo quasi omonimo, ma assai più anonimo, collega per ambienti.

Dalla radice dell’ambient, si è venuto a formare un universo di sottogeneri molto vari, come la dark ambient, l’ambient techno e l’ambient house, di cui fanno parte molti artisti oggi conosciuti, ma che forse non vengono ad esso istintivamente ricollegati, come Aphex Twin, Skrillex, Biosphere e Moby, il quale nel 1993 pubblicò un album intitolato proprio Ambient, che consiglio vivamente a chi voglia farsi un’idea e godere sin da subito del genere.

Spero di aver chiarito un po’ la confusione (a patto che ci fosse) tra i due generi musicali, quello ambientalista, come è ulteriormente chiamato l’ambient, e quello per ascensori, come è tristemente chiamato quello per ambienti.
Devo ammettere di essere caduta anche io nel tranello, etichettando erroneamente il contenuto di alcuni dischi, che scartavo, dato il mio mancato interesse per le melodie leggere e ridondanti, non appena leggevo accenni al termine ambient nella descrizione. Ho trovato invece un universo ricco, vario, stimolante, che, veramente, mi ha trasportato e accompagnato in un altrove che forse non avrei trovato altrimenti e, tutt’oggi, alle volte, mi salva da pieghe indesiderate che rischia di prendere il mio umore.

Inoltre, per quanto sembri un genere molto introspettivo e più adatto ad un ascolto privato tra i muri della propria camera, devo dire che anche il live offre grandi opportunità di coinvolgimento e di viaggio; provare per credere.
Qualche anno fa, in un locale dietro le Mura Aureliane, nel quartiere San Lorenzo, a Roma, ho avuto la fortuna di imbattermi in un’esibizione di un gruppo assai difficile da definire (per tornare alla labilità dei confini del genere ambient): i Modular MDL. Si tratta di tre ragazzi italiani, che, dopo aver individualmente strutturato una formazione di stampo internazionale, si sono trovati e hanno messo insieme questo gruppo di scienziati musicali, tante sono le sperimentazioni e le contaminazioni tra generi in cui si sono addentrati. Uno al basso elettrico, un altro alla batteria, uno ai sinth e launchpad e, ogni tanto, una cantante che li accompagna, senza protagonismi canori, ma assecondando una equilibratissima armonia fonica. Appena iniziano a muovere le dita sugli strumenti, l’ambiente pare riempirsi di un soffice e invisibile fumo dalle tinte bluastro-violacee, tutto intorno cambia. Il loro è un genere di base elettronico, improntato sull’ambient-jazz e invito chiunque sia interessato a buttarcisi, perché non è solo un’esperienza uditiva, ma sembrano essere chiamati a partecipare alla festa anche gli altri sensi; è un’esperienza pervasiva.

Per quel che ho potuto percepire io, l’ambient, a prescindere dalle declinazioni musicali specifiche che assume, è quasi un involontario esercizio di meditazione.

Condividi: