Per festeggiare il mese del Pride, dall’11 al 14 giugno, Uniche ma plurali porta in tour in Italia l’autrice e attivista Lgbtqia+ Kirsty Loehr, in occasione dell’uscita in Italia del suo libro Breve storia delle donne queer. Le tappe toscane sono in compartecipazione con Cesvot e in ogni evento abbiamo coinvolto le associazioni della comunità queer. Saremo a Firenze, Pisa, Bologna e Roma. In attesa di averla con noi, l’abbiamo intervistata.

Da dove viene l’idea di questo libro e qual era il tuo obiettivo? 
Il libro inizialmente era la mia tesi di master. Ho scritto sulla necessità di reinserire le donne queer nella storia perché queste sono state continuamente escluse. Breve storia delle donne queer è nato dall’abbinamento di un lavoro accademico con un lavoro creativo. All’inizio, la parte creativa era cronologica (come lo è ora), ma includeva anche una narrazione personale del mio percorso e della mia crescita. Ora nel libro invece non ci sono le parti accademiche o quelle personali, ma è interessante vedere come è nato.

Tuttavia, per quanto riguarda l’idea, quella è sempre stata nella mia testa. Ho sempre amato la storia, soprattutto quando ero piccola. Ma presto mi sono resa conto che io non esistevo. Ho passato ore e ore in biblioteca a cercare informazioni su attori/attrici della Hollywood del passato e ho capito subito che molte persone erano queer ma non codificate come tali. Questo mi ha portato a pensare che ci doveva essere di più. L’obiettivo che volevo raggiungere scrivendo questo libro era di evidenziare quanto la storia sia piena di pregiudizi, bianca ed eteronormativa e di mostrare quanto sia facile demolire pezzi di storia solo perché qualcuno da qualche parte ha detto che non esistevano.

Un altro obiettivo che volevo raggiungere era quello di renderla accessibile. La storia queer, i gender studies, i lesbian studies ecc. certe volte sono molto inaccessibili, accademici e pieni di un gergo difficile da capire. Io non sono un’accademica, ma sono interessata a questo campo. Volevo scrivere qualcosa che fosse facile da leggere, pieno di umorismo (la storia queer è spesso molto deprimente, perché spesso è piena di morte!) e divertente. 

Violet Keppel
Violet Keppel, The Paris Review

Quale è l’episodio o la personaggia che ti ha più sorpreso nella tua ricerca storica sulle donne queer? 
Mi hanno fatto un sacco di volte questa domanda ma la verità è che non mi sorprendo quando le persone sono queer. Parto dal presupposto che tutte lo siano! Sono cresciuta con questa idea che debbano esserci persone come me, non posso essere l’unica. E dalla mia ricerca è diventato evidente.  Non mi sorprendo quando scopro che alcune persone del passato possano essere state queer perché suppongo che la maggior parte della gente lo sia. 

Cosa pensi della famosa citazione “La Storia la scrivono i vincitori”? 
Non è la mia preferita! Penso che le persone che di solito la usano sono quelle che vogliono imporci la loro narrazione, per lo più storici e leader bianchi ed etero. Sappiamo bene che spesso chi studia la storia interpreta le prove erroneamente, in modo più o meno intenzionale. Questo è un aspetto su cui bisognerebbe concentrarsi di più, piuttosto che le citazioni maschiliste sull’essere vincitori o vincenti o qualsiasi cosa queste persone usino per giustificare le loro azioni. È importante il fatto che oggi siamo in grado di riesaminare molto di ciò che è stato detto o rappresentato in passato, cosa che fortunatamente sta diventando più facile grazie a Internet e agli strumenti che abbiamo a disposizione. 

In Italia, facciamo fatica a far approvare un disegno di legge per introdurre misure contro la discriminazione e la violenza basate su sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. Abbiamo tanti eventi e marce per il Pride e arcobaleni ovunque ma ancora la comunità queer non ha i suoi diritti. Cosa ne pensi?
Ho vissuto in Italia due volte, entrambe prima della legalizzazione del matrimonio omosessuale. Ho lavorato in una scuola di inglese, insegnando inglese. La prima volta ero in una città molto piccola, dove tutti si conoscevano. La seconda volta in una città più grande, in una scuola gestita da due uomini omosessuali che avevano una relazione.

La gente sapeva di loro e non c’era alcun problema, ma questi ragazzi non avevano diritti, non potevano sposarsi ed era pericoloso per loro, perché vivevano e gestivano un’attività insieme, quindi se fosse successo qualcosa, sarebbero stati nei guai. Ho sempre trovato strano che l’Italia non si fosse ancora aggiornata in termini di diritti queer. Ho fatto molte amicizie lì e ho conosciuto un sacco di gente, e di certo la situazione non sembrava riflettere le persone, ma piuttosto la politica e la religione radicate nel paese.

L’Italia è molto diversa dalla maggior parte degli altri paesi europei, l’aspetto religioso è profondo ed è ancora molto radicato nelle decisioni politiche, del resto il Vaticano è proprio lì! Non ci vivo più da un po’, quindi è difficile per me parlare di qualcosa che ha tante sfaccettature diverse, ma le notizie che sento, mi rendono triste, stufa e avvilita.

Intervista a cura di Beatrice Gnassi, vicepresidente di Uniche ma plurali.

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