Pensate a un’attività simbolo della casalinghitudine, di lunghe ore passate da una donna nel chiuso di quattro mura domestiche a lavorare per la propria famiglia, utilizzando tempo e competenze senza che nessuno gliele riconosca. Pensate ora a un’attività di confronto femminista, con un gruppo di donne (e uomini) che si ritrovano per parlare e trovare la strada per abolire stereotipi e diseguaglianze a colpi di ragionamenti e creatività.

In entrambe le scene potreste osservare donne con i ferri in mano, intente a fare la calzetta. Se per voi è più facile collegare l’attività del lavoro a maglia alla prima immagine, quella della donna isolata in casa e chiusa nel privato della sua famiglia, piuttosto che a quella di un gruppo di donne ferventi attiviste pronte a rivoluzionare una società che fa acqua da tutte le parti, bisogna davvero che vi aggiorniate.

Il lavoro a maglia e il movimento femminista

Sì, perché ormai da qualche anno il lavoro a maglia è diventato oggetto di un’entusiastica riappropriazione da parte del movimento femminista e sono moltissime le attiviste di tutto il mondo che si vedono per confrontarsi davanti a un caffè, chiacchierando appassionatamente di politica ed economia sferruzzando allegramente.

Il lavoro a maglia è stato per molto tempo rigettato dal femminismo e classificato come una delle tante attività simbolo della sottomissione della donna, oggi invece le giovani attiviste di tutto il mondo hanno deciso che quell’attività, come molte altre cose, può essere oggetto di una riappropriazione consapevole e diventare addirittura simbolo di militanza.

Un simbolo che sta dilagando perché il finora vituperato lavoro a maglia contiene in sé metafore potentissime, utili a plastificare tanti aspetti delle battaglie per l’uguaglianza. Le prime, entusiaste sostenitrici del lavoro a maglia sono le eco-femministe che trovano nel fare la calzetta una perfetta sintesi delle istanze che stanno loro a cuore: la scelta della creazione contro le rovine, sociali ed ecologiche, del consumismo.

Simbolo di questo è il dilagare dell’urban knitting con le nostre città che si stanno coprendo di coloratissimi accessori fatti ai ferri: pali della luce, tronchi di alberi e altri frammenti di arredo urbani vengono addobbati da lavori a maglia e all’uncinetto per trasformarsi in testimonial attivi delle istanze ambientaliste.

Photo by Rosella Scalone

Un lavoro che esce dalla mura domestiche e diventa momento pubblico, politico, di confronto

Più in generale, il femminismo abbraccia un’attività a cui a volte sono state costrette le nostre nonne, scegliendo di farne un momento pubblico, politico, di confronto comunitario, da vivere rigorosamente fuori dalle quattro mura domestiche e in gruppo per rendere l’attività ben visibile.

Tra un diritto e un rovescio attiviste di tutto il mondo si incontrano per parlare di rivoluzione e i lavori a maglia dilagano anche come elementi distintivi in cortei e manifestazioni, il caso più noto è quello dei cappellini, i famosi pussyhats, della Women’s March 2017 a Washington, ma in tempi più recenti abbiamo assistito, per fare un altro esempio, alla protesta delle donne argentine scese in piazza contro i femminicidi che flagellano anche il loro Paese, armate di ferri e filo.

A raccontare il valore politico, sociale, e addirittura economico del lavoro a maglia c’è un recente libro di Loretta Napoleoni Sul filo di lana, che chiarisce che quest’attività è stata usata in chiave di emancipazione e di partecipazione politica delle donne già nei secoli passati.

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