È uscito a fine aprile Suzume, il nuovo film di Makoto Shinkai, famoso in tutto il mondo per il celebrato Your Name, storia di due adolescenti che si mandano messaggi, via telefono, cercando di provare ad incontrarsi.

Makoto Shinkai è regista anche di altre deliziose pellicole come Viaggio verso Agartha/I bambini che inseguono le stelle, Il Giardino delle parole, 5 cm al secondo.

Paragonato da molti a Hayao Miyazaki, per come sa fare critica sociale e parlare di rapporti interpersonali, personalmente lo trovo più simile al compianto Satoshi Kon.

 Satoshi Kon, morto purtroppo nel 2010, ci ha lasciato diversi capolavori come Perfect Blue, Millennium Actress, Paranoia Agent, Paprika, Tokyo Godfathers.

Aveva uno stile onirico e psicologico, che graffiava a fondo l’animo umano.

Hayao Miyazaki, che io amo follemente, ha uno stile meno duro, capace di farti piangere senza farti male e di sorridere alla vita.

Pensiamo a Il mio amico Totoro, La città incantata, Porco Rosso e a quello che io considero il suo capolavoro, Il castello errante di Howl, il suo film più maturo, che mostra quanto siamo complicati e affascinanti noi esseri umani.

Makoto Shinkai, proprio come Satoshi Kon, graffia a fondo, e attraverso i suoi viaggi nello spazio / tempo parla di realtà, anche nel modo più brutale possibile.

Ciò accade anche in Suzume.

L’unica cosa che Makoto Shinkai ha in comune come Hayao Miyazaki è il senso di speranza per il domani, ma lo aveva anche Satoshi Kon.

Lo stile dei disegni di Makoto Shinkai, poi, rimanda di nuovo a Satoshi Kon. Sembra di poter toccare l’acqua dei suoi film, viene voglia di berla. Il suo cielo è limpido e oscuro allo stesso tempo.

L’unica storia di Miyazaki che mi sento di paragonare a Suzume è Conan – Ragazzo del futuro.

In entrambi si soffre tantissimo, vi sono adolescenti con poteri extrasensoriali, vi sono di mezzo sacrifici per sistemare le cose, sacrifici enormi che fanno male e lasciano lo spettatore sgomento.

Suzume è una ragazzina orfana, che si ritrova ad aprire una porta che dà sul mondo dei defunti, dove si muovono i vermi, capaci di provocare terremoti in tutto il Giappone.

Il mondo onirico che dà sul reale e viceversa, come dicevamo sopra. Il Giappone è una terra sismica, tanto che da anni lo Stato ha creato contromisure per evitare catastrofi.

Ogni volta che vi è una scossa, su tutti i cellulari, arriva un avviso, che mostra anche il livello di questo terremoto. Ed è quello che si vede anche in Suzume.

Attraverso i vermi da controllare e la preghiera, Makoto Shinkai cerca di fare delle metafore sulla natura da rispettare e che troppo spesso consideriamo nostra, trattandola senza un briciolo di amore.

Suzume imparerà la preghiera grazie a Sōta – uno splendido ragazzo che sogna di fare il maestro e che segue la tradizione di famiglia come chiudiporte – e si ritroverà in un’avventura che l’aiuterà a far pace con il dolore.

La giovane, infatti, ha perso la madre e la sua casa nel terremoto e maremoto del Tōhoku del 2011  e da allora vive con la zia Sadaijin, sorella di sua madre.

L’incontro tra Suzume e Sōta cambierà la vita a entrambi, facendoli innamorare e facendogli fare cose inimmaginabili.

Ad aiutarli, anche se loro non lo capiscono subito, vi saranno alcune divinità, tra cui un gatto dispettoso di nome Daijin, che lo ammetto, vorrei coccolare e strapazzare a più non posso.

Come spesso accade nel cinema orientale, citando la celebre serie tv Fringe:

“La Natura non riconosce né bene né male ma solo disequilibrio ed equilibrio”, che spesso noi non siamo in grado di rispettare.

 

Suzume è un’opera matura e complessa che invita a riflettere sul nostro modo di agire verso l’ambiente, senza rendersi conto che noi siamo parte di esso e non siamo proprietari di nulla.

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