Torna su Netflix con la quinta attesissima stagione The Crown, la serie di enorme successo che traccia le vicende di casa Windsor, come le ha immaginate l’autore Peter Morgan.

A vestire i panni della regina ormai anziana – dal 1991 in poi – c’è Imelda Staunton (l’hanno preceduta Claire Foy e Olivia Colman). Jonathan Pryce è un principe Filippo sardonico, Dominic West un principe Carlo un po’ troppo attraente per il ruolo, Elizabeth Debicki è Diana, principessa fragile, ingenua e cuore caldo.

Qualcuno aveva protestato suggerendo che quando si tratta di eventi così vicini ai nostri tempi Netflix dovrebbe avvertire il pubblico che si tratta di opera di fantasia, e non di storia vera (particolarmente fastidiosa la notizia che in una puntata il principe Carlo discute con il premier John Major delle sue speranze che la regina abdichi in suo favore, cosa strenuamente negata da Buckingham Palace). Ora che Elisabetta II è morta, quale sarà la reazione del pubblico?

Secondo Jonathan Pryce (che ne ha parlato in uno dei pochi momenti interessanti della scialba conferenza stampa internazionale con il cast di martedì 8 novembre, accuratamente orchestrata in modo da evitare domande imbarazzanti, tipo “dopo il decesso Peter Morgan ha modificato la sceneggiatura della sesta ed ultima stagione ora in produzione?“)

“il pubblico crescerà ancora, il popolo sarà confortato vedendo la regina sullo schermo. Mi hanno fatto impressione le immagini di tutte quelle persone in fila prima dei funerali. Oggi i politici non hanno credibilità, ma la folla alla camera ardente era un modo per dire ecco chi vorremmo davvero ci governasse, gente così.

E per Imelda Staunton, i britannici dimostravano “un enorme rispetto per una persona che manteneva le sue promesse”.

Però è lecito chiedersi se il pubblico sappia discernere fra realtà (per quanto se ne sa) e fantasia (quella del creatore e sceneggiatore Peter Morgan, che ha impostato la sua carriera sull’immaginare la regina e chi le stava intorno: sua la sceneggiatura del film The Queen con Helen Mirren in cui si narravano i terribili giorni dopo la morte di Diana; sua la commedia The Audience portata da Londra a New York, sempre con Helen Mirren nei panni della sovrana, ritratta mentre incontra i suoi moltissimi primi ministri da Churchill a John Major…)

Come ha detto Elizabeth Debicki, “tu dai la tua intepretazione della visione che Peter dà del personaggio, ma sai che ti rivolgi a un pubblico che ha le proprie emozioni e i propri ricordi di quegli eventi”: per gli attori, un gioco di equilibrio. “si tratta di immaginare come possano essere queste persone così note dietro le quinte, lontano dai riflettori: umanizzarle” ha aggiunto Staunton.

Di certo, lo sceneggiato è meraviglioso nella ricostruzione storica, come solo gli inglesi sanno fare, con il lavoro di decine di persone, come raccontano gli stessi attori: costumisti, truccatori, vocal coach, body coach, per imitare nell’accento e nei movimenti i reali e i loro congiunti (e in effetti Dominic West somiglia a Carlo solo quando si sforza di essere impacciato come l’allora principe), ma anche nei dettagli di ogni dimora ricostruita, di ogni colazione o pranzo o cena, stoviglie, mobili, suppellettili, automobili, eccetera eccetera.

Gli attori possono attingere anche a un archivio video, “con spezzoni che non sono mai andati in tv” ha spiegato ancora Debicki “ed è proprio osservando i minuti dettagli del corpo che a volte si capisce meglio la persona che si deve interpretare” (lei ci riesce benissimo, aiutata anche da un viso simile, negli occhi e nella struttura, a quello della principessa).

Di più: l’intera serie gioca con maestria sulla giustapposizione delle scene, sulle memorie del pubblico, sulle corde delle emozioni. Ognuna delle dieci puntate si incentra su un evento o su una persona (una è dedicata agli Al Fayed, a Dodi che morì nell’incidente del 1997 con Diana, ma soprattutto al padre Mohamed; magnifica la ricostruzione delle riprese sugli allenamenti in spiaggia in Momenti di gloria, film premio Oscar che fu prodotto dal magnate egiziano).

Ma al centro dell’azione, più ancora che nelle stagioni precedenti, ci sono gli esseri umani, e la scrittura di Morgan è chiaramente tesa a rendere partecipe il pubblico dei loro drammi, e più al centro di tutti c’è Diana.

Non si può non indignarsi quando il giornalista della BBC Martin Bashir si inventa falsi documenti sulle supposte collaborazioni del segretario di Diana con i servizi segreti per spiarla (la BBC ha ammesso il fattaccio lo scorso marzo, con tante scuse e una somma di denaro al segretario Patrick Jephson, ma nessuno ridarà alla principessa scomparsa le ore passate a piangere un tradimento inesistente o a soffrire per la crescente paranoia per cui i figli rimproverano ancora acerbamente l’emittente di Stato; a proposito, bravissimi i ragazzini, soprattutto il giovane William di Timothee Sambor, anche nei ridicoli abiti di Eton).

Non si può non simpatizzare con la regina nei tanti momenti del suo annus horribilis, quando i matrimoni dei figli si sfaldano l’uno dopo l’altro. Della tragica fine di Diana non si dirà: lasciamo un minimo di mistero. “abbiamo avuto fortuna a interpretare eventi così terribili, è una grande sfida per un attore” ha detto Imelda Staunton.

Alla fin fine, The Crown riuscirà nonostante tutto nell’intento di rendere sempre più cara al pubblico britannico l’istituzione monarchica, per quanto insopportabilmente ricchi siano i protagonisti, per quanto fuori dal mondo risultino a tratti, e per quanto anche l’adorabile Diana spesso risulti lagnosamente persa dietro alle sue disgrazie perché non ha nulla di veramente serio di cui lamentarsi (un disco rotto, le dice in faccia Elisabetta a un certo punto).

E anche Carlo riceve un trattamento di favore, un principe schiacciato sì dalla madre, ma pieno di buone idee e speranze modernizzatrici. Gli altri – i non britannici – magari dai loro salotti repubblicani – godranno della perfezione tecnica del period drama, anche se recente (e anche di qualche sospiro nostalgico sull’era di Elisabetta, già imbalsamata nel ricordo da anni anche quando la monarca era ancora viva).

Oppure si commuoveranno per il tanto bistrattato premier conservatore John Major, che la storia ha regalato a una parentesi fra l’era Thatcher e l’era Blair, ma – Morgan fa capire – meritava di più.

Il vero Carlo, ora re Carlo III, non apprezzerà la serie più di quanto la amasse sua madre; ma potrebbe anche essere contento per la rappresentazione sfolgorante del suo amore per Camilla, ormai regina consorte – un amore che riesce a non far sembrare ridicola – e quindi a umanizzare lui nel senso giusto – neanche la famosa intercettazione con la frase “vorrei essere il tuo Tampax”. Che poi non andò proprio così: ma se volete la versione integrale di quella bollente conversazione, guardate The Crown.

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