Cercavo qualcosa per il mio pezzo numero 100 per Rewriters; ci ho messo tanto impegno e non mi piaceva l’idea che trascorresse senza un’invenzione. Gli anniversari mi piacciono, specie quando c’è tanto impegno e resto un’inguaribile romantica. Prendiamo l’occasione per ringraziare Rewriters, che mi ha tenuta in seno e senso anche in momenti di non lieve disaccordo, Eugenia Romanelli e la sua verve instancabile, Vera Risi che, tra l’altro, corregge i miei refusi, e alziamo i calici per i 99 artisti che mi hanno tenuto compagnia in questa scarrozzata mozzafiato, dove ho scoperto la vertigine gioiosa di dare voce al lavoro altrui e passiamo al pezzo 100.

Che non poteva essere che lei: Cate Blanchett, l’unica donna con la quale ho desiderato passare un S. Valentino senza compromessi. Non ero preparata a quello che ho visto in Tar, non sapevo nemmeno che la compositrice Lydia Tar esistesse prima di martedì sera, ma è così che è cominciato tutto.

Non avrei dovuto forse chiedere incautamente alla Romanelli se lo avesse visto, che cosa ne pensasse, se avesse intenzione di occuparsene, lei su tutti, perché non è materia facile, ed è così che mi sono messa nel sacco con le mie stesse mani, è così che mi trovo a soffiare 100 candeline scrivendo di cinema e non di teatro, componendo febbrile una girandola disordinata di variazioni, io che di musica classica capisco come di fisica nucleare; ma non è una recensione che vado scrivendo, quanto il report di una tempesta magnetica dentro il mio già squassato sistema neurovegetativo.

Io non so quanto Todd Field, dopo un lungo silenzio benedetto, abbia attinto al vero per scrivere e dirigere questo capolavoro di epica contemporanea, matrice alchemica di tanti nostri non detti, negati, relegati sotto il tappeto, ma non mi importa nemmeno troppo: sia lode a tutto ciò che attiene al coraggio narrativo, allo scavo scarno e senza compiacimenti vani, al ritratto mefistofelico e straordinariamente moderno di una donna che riassume così tanto che è difficile perfino da spoilerare, e che Cate Blanchett interpreta con una gamma di toni sottotoni, mezzitoni, sordine, acuti, bassi, stridere di denti e tutte le altre gamme della complessità potenziale di un genio femminile, che l’Oscar per lei è da fondere in materiale e misure a parte da quelle di chiunque prima.

La vicenda narrata potrebbe sembrare semplice, perfino riduttiva: “compositrice di fama mondiale dedita all’arte e alla sua deliziosa famiglia composta da moglie altrettanto bella e intelligente e artista e altrettanta bimba, ama sedurre giovani ragazze di talento, finanche in cambio di favori di carriera”. In sintesi tutto qui, può definirsi qualcosa di nuovo?

Oggi compio 100 pezzi, mi permetto dunque di strafare anche io in ben più modesto abuso e salto allegra di palo in frasca. Penso a Sanremo e alla pochezza dei suoi scandali e alla miseria dei dibattiti che ne derivano. No. Non sono preoccupata del bacio strappato da una rosa maschio al povero impacciato Fedez, non mi dispera la conversione etero di Madame, non grido al miracolo per la tenera serenata lesbica di Ariete; purtroppo covo un altro tipo di problema: ovvero la banalità mi annoia e invece Tar mi ha appassionata.

Tar e le domande che mi suscita

Dunque riverso in questo ulteriore sbalzo coscienziale solo alcune delle domande che mi ha spalancato dentro. Ma allora anche le donne possono molestare altre donne? (Ne ho accennato per amore di complessità anche nel mio ultimo romanzo Le orchidee ma in confronto a questa storia sono dispettucci).

L’egotismo dell’arte rende necessariamente gelidi? Le donne omosessuali sono più ambigue o anche le etero potenti si divertono a concedere favori ad aitanti giovanotti in cambio di prestazioni analoghe?

Che fine ha fatto quella che troppi anni fa – passati troppo in fretta – mi sembrava la crudezza di The Hours e oggi mi appare un carosello destinato ad educande? L’abuso nasce da uno squilibrio di ruolo tout court o da una mancanza di rispetto e reciproca coscienza? Come mai guardando David Bowie esplorare i bassifondi di ogni città asiatica nello splendido Moonage daydream ho provato un brivido di ammirazione, mentre scoprendo Lydia fare la stessa cosa mi sono infastidita fino quasi alla repulsione?

Resta più colpevole lei, che ha imbastito il perfetto matrimonio lesbico upper class con tanto di libreria da sturbo e bimba prodigio sulle fondamenta del desiderio più buio e gelido di manipolare fanciulle ingenue e magiche o la sua meravigliosa moglie che ha continuato a non vedere?

Le fanciulle magiche in questione sono davvero tanto ingenue? (Possiamo accennare forse al fatto che una di loro si è suicidata, dunque qualcuna sì, qualcuna no?) Possiamo parlare di un caso Weinstein al femminile o di un reciproco scambio di servizi emozionali, come da sempre l’essere umano agisce?

L’abuso è tale solo se come tale viene percepito? Simone de Beauvoir non si comportava forse in modo molto simile ma se ne narra poco? Parliamo sempre di abusi sessuali ma dove li mettiamo gli abusi emotivi e psicologici? Perché all’interno di una dinamica apparentemente analoga qualcuno si suicida e qualcuno, teoricamente altrettanto vittima, sa trarne vantaggio?

Quanto abbiamo profondamente bisogno di indagare il dolore traumatico che crea un’esperienza sessuale manipolativa scambiata per amore o anche un suo blando surrogato?

Cate Blanchett: attraente e ripugnante

Come fa Cate Blanchett a essere così disperatamente attraente e così ripugnante nello stesso film? Il genio della creazione artistica passa necessariamente per un narcisismo significativo fino all’aberrazione stessa? L’arte è al di là del bene e del male? La narrazione artistica lo è di più o di meno?

Più il genio creativo è ampio più è amorale, anaffettivo e vampirizzante? Perché è così difficile trattare bene la propria stessa costruzione di amore? Quanto distruggendo i sentimenti di qualcuno è il mio stesso cuore che nei fatti offendo? Come il misterioso finale suggerisce… forse un’arte senza amore è spettacolo da pupazzetti?

Posso tornare a credere quello che ho sempre creduto, ovvero che l’abuso risiede nella volontaria denigrazione di un sentimento d’amore estorto con una strategia di seduzione che probabilmente riproduce qualcosa di subìto e mai abbastanza elaborato dal seduttore – nel caso specifico seduttrice stessa – ma che entrambe le parti in causa possono prendere coscienza e responsabilità dell’accaduto e trasformare alchemicamente il tutto in materia più nobile, sentimentale, artistica o perfino entrambe?

Sto diventando troppo personale e mi fermo qui, sperando di aver sollecitato un massivo assalto a questo asfissiante capolavoro dai toni grigio metallico con sfumature argento, lento, lungo quasi tre ore, possibilmente da godere in lingua originale (non ho altro spazio per parlare dello stile) come anche un sincero insorgere di sentimenti contrastanti e domande intelligenti.

L’abisso e la meraviglia che ogni parabola umana suscita se indagata brillantemente, tanto più se dotata di una qualche forma di eccellenza, a onorare la complessità dell’anima, non meritano niente di meno.

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