De André la cantava così:

…Nera che porta via la via
Nera che non si vedeva da una vita intera così dolcenera
Nera che picchia forte che butta giù le porte

…Nera di malasorte che ammazza e passa oltre
Nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c’è luna
Nera di falde amare che passano le bare

Sono le nostre terre fatte di incredibili dislivelli e di terreni giovani (geologicamente) propensi a scivolare quando piove tanto, così che l’acqua, fonte di vita, da trasparente diventa nera, carica di terre e di argilla, e diventa fango, denso come il cemento, pronto a trascinare con sé qualunque cosa sia sulla sua strada.

Neanche troppo difficile da prevedere visto che l’acqua anche quando è nera, scende sempre lungo gli impluvi ed è quindi là che il rischio e purtroppo gli eventi calamitosi si susseguono.

…E il tumulto del cielo ha sbagliato momento
Acqua che non si aspetta altro che benedetta
Acqua che porta male sale dalle scale sale senza sale
Acqua che spacca il monte che affonda terra e ponte

Eccezionale, si dice oggi, delle bombe d’acqua che spesso innescano questi eventi (frane veloci o flussi di detrito si chiamano in gergo tecnico). Ed è vero, il cambiamento climatico si fa sentire e picchia forte, ma di eccezionale in realtà nulla vi è nella ripetizione continua e frequente, a memoria di qualunque persona, di eventi luttuosi come quello di Ischia dello scorso 4 dicembre.

Solo su Ischia i precedenti erano stati nel 2006, 2009, 2015 e tantissimi altri prima, che è impossibile scordarsene o non esserne al corrente. E, allargando lo sguardo di poco, si arriva a Sarno ed Episcopio vicino Napoli nel 1998 (più di 200 vittime) e così via in giro per tutta l’Italia.

…Acqua che ha fatto sera che adesso si ritira
Bassa sfila tra la gente come un innocente che non c’entra niente
Fredda come un dolore Dolcenera senza cuore…

Ma oggi, nel piangere l’ennesima evitabilissima sventura, vorrei indicare una causa più lontana del fatto che Ischia è un’isola vulcanica attiva caratterizzata da ben note e molteplici pericolosità geologiche, dell’ovvio abusivismo, del mancato rispetto delle leggi (come la Legge 183/89) e delle mappature del territorio (come il Piano per l’Assetto Idrogeologico) che ci sono e che sono buone, del dissesto del territorio, del cambiamento climatico.

Tutto questo c’è e tutti se ne lamentano nei giorni immediatamente successivi alle tragedie, per poi dimenticarsene in attesa della successiva. E non solo chi vive lontano dai luoghi della tragedia. E mi sono chiesto: ma perché?

Perché queste tragedie?

Qual è il male profondo che ci affligge e che ci impedisce non solo di proteggere gli altri ma anche di proteggerci? Nel frontespizio della mia tesi di dottorato decisi di citare una frase da un volumetto senza autore che si chiamava Trattato poetico di vulcanologia. La frase diceva:

le eruzioni vulcaniche sono sempre esistite. Il loro trasformarsi in tragedie dipende dall’insensibilità umana”.

Il tema di come ricostruire o costruire la sensibilità umana va oltre lo scopo di questo breve pezzo e su questo vi consiglio la lettura del bellissimo libro Il corpo della terra. La relazione negata. Da una visione egologica a una visione ecologica (a cura di G. Mantione e E. Romanelli edito da Castevecchi, 2020).

Ma una parte importante della sensibilità la fa anche l’educazione, ed è su questo che vorrei soffermarmi. Quando mi sono iscritto all’università nel 1984 alla Sapienza eravamo più di 600 studenti al primo anno di geologia. E’ vero che eravamo i boomer ed è vero che c’erano meno università in centro Italia.

Ma la maggior parte di noi arrivava a geologia non tanto per le prospettive di lavoro (che oggi al contrario di allora sono eccellenti, con quasi il 100% dei laureati occupati secondo i dati ufficiali!), quanto perché al quinto anno delle superiori si faceva geografia astronomica, che era anche materia di esame di maturità e che nei limiti dell’insegnamento frontale che si eroga nelle nostre scuole, riusciva ad entusiasmare tanti di noi.

Oggi nel Lazio ci sono meno di 100 iscritti al primo anno tra Sapienza e Roma Tre, ed il trend è identico più o meno in tutta Italia. E non basta il crollo demografico a giustificarlo. Quello che è accaduto nel frattempo è che la sciagurata riforma Gelmini dei programmi scolastici (del 2010) ha di fatto smantellato l’insegnamento delle Scienze della Terra dalle scuole, diluendolo negli ultimi tre anni delle superiori e soprattutto delegandolo al sentimento dell’insegnante, spesso a digiuno della materia, sul come, quando e quanto dedicare alla tematica.

Ovviamente questo rappresenta un serio danno sistemico al nostro Paese, non solo perché mancano geologhe e geologi nel mercato del lavoro, ma soprattutto perché questo è frutto della progressiva scomparsa della consapevolezza della geologia del nostro territorio dalla cultura diffusa, ossia dal patrimonio di conoscenze che i cittadini comuni hanno.

Il circolo vizioso che porta alla scomparsa della geologia

E questo si riflette in un circolo vizioso: poco studio della geologia nelle scuole –> poca conoscenza del territorio –> poca consapevolezza nei cittadini delle risorse e dei rischi del territorio –> poca cura del territorio –> poca capacità di comprendere come comportarsi di fronte ai rischi (es. costruire abusivamente dentro l’alveo di un torrente dove è certo che prima o poi verrà giù una frana) –> pochi studenti di geologia e pochi tecnici che comprendono l’importanza della geologia nel tessuto legislativo-tecnico-amministrativo del nostro paese –> pochi insegnanti che amano e insegnano bene la geologia –> e si riinizia!

Vorrei fare una proposta semplice. I miei figli oggi studiano l’educazione civica come una materia diffusa ossia non una materia in sé ma una parte del programma di ogni materia. Io credo che in un Paese come l’Italia, che deve alla sua geologia tutta la sua straordinaria bellezza e la sua ricchezza del paesaggio, nonché i suoi rischi, l’insegnamento della geologia non tanto teorica, ma legata proprio al nostro paese, dovrebbe essere una materia costantemente insegnata, dalla prima elementare al quinto anno di superiori, con escursioni sul terreno ed esercitazioni per i rischi.

Forse così, al di là di quante ragazze e ragazzi sceglieranno di proseguire studiando geologia all’università, impareremo tutti a guardare il territorio con altri occhi ed altra consapevolezza, e quelli che tra noi diventeranno futuri legislatori e amministratori comprenderanno perché è necessario, e come, prendersi cura del territorio, dando un senso vero alla parola sostenibilità.

Ma soprattutto, tutte e tutti dovremmo così anche essere in grado, non soltanto di comprendere perché rispettare certe leggi, ma anche di capire da soli come comportarci nel nostro territorio, dove ha senso costruire, dove no, cosa fare se piove tanto, se viene un terremoto, se c’è un’eruzione vulcanica. Per proteggere se stessi e gli altri. Per rispetto di chi ha perso la vita senza senso sotto le frane di Ischia. Tornare ad essere ab-origeni della nostra terra, che vuol dire conoscerla dall’orgine.

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