Anche l’Italia ce l’ha fatta. Con ritardo e con la solita burocrazia a far da padrona, nel Paese di Fellini, di Monicelli e di Rossellini non esiste più la censura cinematografica. Con un Decreto, il 5 aprile il Ministro Franceschini ha messo fine al taglio artistico e narrativo, istituendo però una nuova Commissione che classifica le opere cinematografiche in base all’età, con limiti ai 6, ai 14 e ai 18 anni. Limiti ma non blocchi, che fino a qualche giorno fa – teoricamente – potevano imporre tagli, modifiche o, addirittura, veri e propri stop all’uscita cinematografica. Secondo Franceschini

è stato superato il sistema di controlli che consentiva allo Stato di intervenire sulla libertà artistica”

Una vittoria per il cinema, dunque, che nell’ultimo anno (abbondante) non se l’è passata affatto bene.

C’è da dire però che la censura in Italia negli ultimi anni ha fatto ben poche vittime. È però assurdo pensare che regnava ancora un Regio Decreto del 1914, che per una buona fetta di storia vigeva che le pellicole rispettassero la morale, la religione e la politica. Con il tempo i dogmi sono stati smorzati, e la censura italiana classificava i film in base a determinati temi, così da consigliare o meno la visione ai più piccoli. Per farla breve, i classici bollini (rossi, gialli, verdi) che spuntavano ogni tanto nei film che registravamo da Italia 1 su VHS. Come previsto dal Decreto, questa funzione sarà comunque mantenuta dalla Commissione, composta da 49 membri: sociologi, psicologi, esperti di cinema, educatori, avvocati, associazioni, animalisti e via discorrendo.

Nicola Borrelli, direttore generale Cinema e Audiovisivo, spiega che

“Ci sarà un’autoregolamentazione, saranno i produttori e i distributori ad autoclassificare l’opera”

con la Nuova Commissione che avrà a disposizione massimo venti giorni per confermare o modificare la classificazione di un determinato titolo.

Ma sorge un dubbio…

Se da una parte si può cantare vittoria per una pietra di libertà, dall’altra sorge il dubbio che non ci sia più un blando controllo sulle produzioni, che devono applicare le ferree norme di tutela dei più deboli, come bambini o animali. Vero, non siamo più negli Anni Ottanta, quando le leggi non erano come oggi, ma fa ancora discutere un film come Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, dove il lecito narrativo veniva travolto da aberranti e gratuite scene di vera violenza contro gli animali, tanto che il mondo della critica si innalzò per bandirlo. La censura, in quel caso, tagliò nettamente numerose sequenze, e tutt’ora Cannibal Holocaust è la pellicola più censurata della storia con blocchi in più di 50 paesi.

I tempi erano assai diversi, ma in questo specifico caso la censura cinematografica italiana (e mondiale…) ha avuto un senso: in quel film ci sono stati dei palesi e degli orridi abusi sugli animali, ma all’epoca, grazie alla censura, sono stati tagliati dal montaggio, così da non far passare la violenza su esseri indifesi come metafore artistiche. Ma, al netto di casi giusti ma fortunatamente isolati, in cento anni la censura ha bloccato ben 274 film italiani, 130 statunitensi e oltre 300 esteri. Non solo, sono stati centinaia di migliaia (qui la lista nell’ottimo CineCensura.com) quelli rilasciati dopo essere stati tagliati o modificati. Assurdi gli episodi de Il pap’occhio di Renzo Arbore e di Totò e Carolina di Mario Monicelli, accusati di vilipendio alla religione cattolica; famoso l’episodio di Ultimo Tanto a Parigi, sequestrato nel ’76 e riabilitato solo nel ’87. Semplicemente folli gli interventi politici sulle produzioni di Rocco e i Suoi Fratelli di Visconti e de La Dolce Vita di Fellini.

Quali sono state le ultime censure?

Gli esempi più recenti di censura cinematografica sono due. Nel 2012 ci fu il caso dell’horror indie Morituris diretto da Raffele Picchio, uscito solo in DVD perché considerato offensivo al buon costume. Ma l’episodio famosissimo risale al 1998. Blasfemo, intriso di degrado, sacrilego e denigrante: erano questi gli aggettivi che la censura utilizzò per Totò che Visse Due Volte di Daniele Ciprì e Franco Maresco che in tre episodi raccontavano di un’umanità misera e miserabile, in una Palermo grottesca e spaventosa. Il film – prima della sua uscita fu vietato a tutti, nonostante venne girato anche grazie ai contributi pubblici – aprì il dibattito sulla piena libertà d’espressione, e su quanto ci fosse ancora bisogno dello strumento censura. Un dibattito talmente acceso che portò ad un Disegno Legge che aboliva la censura totale e preventiva imposta ai maggiorenni. Quello fu il primo passo per l’abolizione definitiva, arrivata con oltre vent’anni di ritardo.

Condividi: