Ho scelto di riscrivere la musica andando alla riscoperta di album sottovalutati (e non) che hanno fatto la storia, e se non l’hanno fatta meritavano sicuramente di farla. Questa è una rubrica mensile in cui analizzo artisti, in prevalenza internazionali, che hanno creato dei veri e propri capolavori sonori, spesso poco compresi o misconosciuti. Ecco allora un disco che ha da poco compiuto trent’anni, ovvero l’irraggiungibile capolavoro dei paladini del noise rock, i newyorkesi Sonic Youth.
Uscito il 26 giugno del 1990, Goo aveva l’arduo compito di bissare il successo ottenuto dal precedente lavoro Daydream Nation e, in più, segnava il passaggio dalla label indipendente Enigma Records alla major Geffen. Nei successivi due anni nei soli Stati Uniti il disco ha venduto oltre 220.000 copie a testimoniare di come la musica della Gioventù Sonica avesse raggiunto una maturazione che strizzava l’occhio alla commercialità senza snaturarsi.
Il full-lenght è aperto dalla ballata elettrica Dirty Boots, dove l’ugola di Thurston Moore seduce nella strofa e demolisce nel ritornello, giusto per farci capire che abbassare le armi non è mai una buona idea. Tunic (Song For Karen) è la quintessenza del noise: feedback di chitarra, costole calpestate e la voce apatica di Kim Gordon innaturalmente a suo agio. In Kool Thing c’è addirittura un’apertura alla rap music ospitando Chuck D, leader del collettivo Public Enemy, anticipando, in un certo qual modo, ciò che sarebbe diventata una moda circa dieci anni dopo. A chiudere un ipotetico primo tempo troviamo un autentico gioiello intitolato Mote: oltre sette minuti rumorosissimi in cui trova spazio la melodia vocale più riuscita dell’intero lavoro, architettata dalla brillante mente di Lee Ranaldo.
La seconda metà di Goo è un vorticoso giro sulle montagne russe: c’è la furia incontrollata di Mildred Pierce, il lezioso loop di My Friend Goo e l’epopea camaleontica di Titanium Exposé. Ogni traccia è pura estasi. Non c’è un benché minimo segno di imperfezione nei circa 50 minuti complessivi che compongono questa pietra miliare. Stiamo parlando non solo di uno dei dischi fondamentali del 1990, ma dell’intero decennio che ha preceduto l’alba del nuovo millennio.