Un libro inchiesta su Rita Atria per riscrivere una vita
"Io sono Rita" ricuce a suon di carte desecretate, la storia della testimone di giustizia che si sarebbe suicidata. Un condizionale obbligatorio.
"Io sono Rita" ricuce a suon di carte desecretate, la storia della testimone di giustizia che si sarebbe suicidata. Un condizionale obbligatorio.
La storia, diciamo tutti, la scrivono i vincitori. Spesso invece capita che le storie, quelle senza maiuscole e senza trionfi, trovino spazio senza passare dalle stanze del potere. E che vengano riscritte per sete di verità, a latitudini distanti dalla retorica. Potrebbe essere questo il mantra di tre professioniste testarde e di grandi capacità, autrici di Io sono Rita – Rita Atria la settima vittima di via D’Am elio, libro inchiesta pubblicato per i tipi di Motta e Cafiero e scritto a sei mani.
Le mani sono quelle di Giovanna Cucè, Nadia Furnari e Graziella Proto. La prima, giornalista Rai, la seconda, fondatrice dell’associazione intitolata a Rita Atria e autrice di importanti inchieste, e la terza, direttrice di Le siciliane-Casablanca rivista antimafia militante ironica, irriverente e femminista, ma anche ex giornalista del team di Pippo Fava, cronista ucciso dalla mafia nel 1984.
Un lavoro serio e minuzioso ma mai noioso, fatto di pazienti richieste di accessi agli atti e di cucitura documentale, tutto per dare luce e verità alla storia della testimone di giustizia, la diciassettenne Rita Atria, che il 26 luglio 1992, una settimana dopo il massacro di via d’Amelio, si sarebbe suicidata lanciandosi da un balcone a Roma. O almeno così è stato raccontato all’Italia che conosce davvero poco di quel che accadde in quegli anni.
Atria aveva denunciato la mafia del suo paese, Partanna, affidandosi al giudice Paolo Borsellino. Era nata e cresciuta in questo piccolo comune della valle del Belice in cui negli anni Ottanta circolava tanto denaro proveniente dal narcotraffico. Aveva respirato in casa l’aria della mafia siciliana agropastorale che già allora si era spogliata di tutti quelli stereotipi fatti di coppole e miseria. In casa Atria il lutto entra presto. Rita perde il padre e l’amatissimo fratello, uccisi dalle dinamiche tipiche della mafia locale guidata dalla famiglia Accardo.
Rita in questo libro è la giovanissima dalla sguardo duro che si reca in Procura perché vuole vendicare padre e fratello; ma non ha piena consapevolezza delle implicazioni di questa scelta. Decide di denunciare per vendetta, così come qualche mese prima aveva fatto sua cognata Piera Aiello, moglie del fratello Nicola, ucciso dalla mafia.
Fin qui arriva la narrazione che in questi oltre 30 anni è approdata nelle case di tutti gli italiani. La giovane siciliana ritrova la consapevolezza grazie a Borsellino. Una volta che il giudice viene ucciso, lei ha paura e si getta dal balcone. Da dove nasce allora l’interesse delle tre autrici? Perché scavare ancora dentro i meandri di una storia che sembrava conclusa?
La ragione è da ricercarsi in quel grande buco nero che sembra avere inghiottito decine di dettagli, sottovalutazioni, semplificazioni. Le tre autrici non hanno nessuna intenzione di proporre scoop facili e neppure di romanzare la vicenda. E questo emerge molto chiaro dal rigore documentale ma anche stilistico del lavoro. La narrazione piacevole di Io sono a Rita, serve semmai a rendere più fluida una ricostruzione che risulterebbe altrimenti appesantita dalla mole di carte e di personaggi chiave; tutti elementi che vengono raccontati invece con molta chiarezza. Nel testo di Cucè, Furnari e Proto, contano le fonti, come nelle migliori tradizioni del giornalismo d’inchiesta.
“Con nostro grande stupore abbiamo scoperto che, nel fascicolo rilasciatoci dal Tribunale di Roma, ci sono lacune, carenze, assenze di approfondimenti. A questo punto, abbiamo affidato gli atti a Goffredo D’Antona, legale dell’Associazione Antimafie Rita Atria, per individuare aspetti di interesse penale. – scrivono le giornaliste- Abbiamo iniziato a indagare. Studiare e analizzare. Richiedere vecchi fascicoli a istituzioni ed enti, al Ministero dell’Interno. Atti sui quali, per la prima volta, il Viminale ha tolto il segreto, restituendoci brandelli della seconda vita della Testimone di giustizia più giovane d’Italia (…)”
Tra le carte c’è anche l’ultima lettera (un inedito) che Rita scrive alla sorella prima di partire per Roma:
“Farò della mia vita anche della spazzatura, ma lo farò per ciò che io sola ritengo conveniente“.
Poco dopo l’arrivo nel suo appartamento di Roma, Rita Atria muore. E
“no, quella finita sull’asfalto in fondo ad un palazzo, non è una vita qualsiasi”
se ne rendono subito conto i carabinieri della stazione Tuscolana di Roma, distante più di mille chilometri dalla terra dei clan e delle vendette di mafia. Cosa succede da quel momento in poi?
Questo libro custodisce i documenti rimasti inascoltati per trent’anni ma che oggi restituiscono una voce a Rita, spogliandola finalmente della sua veste di fantasma silenzioso. Le autrici li hanno raccolti per amore di giustizia e di verità, per Rita e per i lettori: tra questi c’è anche un intervento inedito della sorella di Rita, Anna Maria, le pagine del diario di Rita e molto altro.
Resta però un dolore senza voce, una ferita che non si rimargina nonostante i decenni trascorsi. Le autrici lo restituiscono ai lettori con tutta l’onestà intellettuale di cui sono capaci, con una scrittura che diventa parola esatta e seme di bellezza. Non a caso nella prefazione firmata da Franca Imbergamo, sostituta procuratrice nazionale antimafia, si legge:
“E come in tutte le storie di mafia ci sono i protagonisti buoni, quelli cattivi e quelli grigi di cui si sa ma non ci sono le prove… Probabilmente è il grigio il vero colore della mafia, il grigio dei palazzi del potere e delle facciate non imbiancate delle case di tanti paesi del nostro Sud”.