Se non esistesse la Cineteca di Bologna bisognerebbe inventarla! Mai una formula cosi abusata trova la sua perfetta declinazione. L’istituzione bolognese, famosa a livello internazionale, con il progetto Il Cinema Ritrovato sta distribuendo e restaurando dal 2013 una serie di pellicole del passato e le ripropone nelle sale italiane.

La possibilità di visionare sul grande schermo un film senza tempo offre emozioni inusuali e atipiche e nel contempo ci permette anche di afferrare aspetti e concetti che non avevamo colto in televisione.

Da poco nelle sale è apparso Vampyr di Carl Theodor Dreyer del 1932, il restauro è stato curato dalla Deutsche Kinemathek e dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con ZDF/ ARTE e Det Danske Filminstitut. Le musiche originali di Wolfgang Zeller sono state restaurate e dirette da Timothy Brock ed eseguite dall’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna.

La grande capacità del regista danese è l’essere riuscito ad impadronirsi dello stile del cinema espressionista e averne fatto un uso personalissimo, come ricorda Antonio Costa nel volume Il richiamo dell’ombra, il cinema a l’altro volto del visibile:

“il film racconta la strana avventura di David Gray che, arrivato una sera nel villaggio di Courtenpierre, si accorge immediatamente che nulla è come sembra: qui trascorre una notte da incubo.. […] Dreyer si impone per originalità e varietà di funzioni attribuite a ombre, riflessi e doppi in un film che sovverte tutti i canoni del genere, a partire da una prevalenza delle tonalità del grigio e del bianco, mentre la nota dominante del cinema fantastico-horror è quella del nero e della tenebra […] le ombre hanno la funzione di rivelare l’esistenza di una seconda vita, segreta e occulta, delle persone e delle cose”.

Settantatre minuti di pura magia, di invenzioni visive che culminano in una soggettiva del protagonista che si vede dal di fuori all’interno di una bara che viene trasportata: una visione insolita, eccessiva, cosi come la cinepresa che ci offre le ombre di alcuni musicisti che suonano un nostalgico valzer in un edificio deserto.

Paul Schrader nel suo volume Il trascendente nel cinema nota che ci sono dei:

”tratti di quella schizofrenia stilistica che si percepisce nel cinema di Dreyer come combinazione di stili decisamente poco commensurabili tra loro”.

Settantatre minuti di un cinema folgorante realizzato con invenzioni difformi e trovate geniali che non hanno nulla da invidiare ai capolavori espressionisti del decennio precedente. Se inizialmente la critica non elogia il lungometraggio, con gli anni deve ricredersi proprio in favore della formidabile potenza creativa del cineasta danese.

Non spaventatevi del bianco e nero, la pellicola mantiene tensione e stupore per tutta la durata e uscirete dalla sala portando con voi un esperienza unica.

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