I luoghi che ci ospitano, per una parte o per l’intera nostra vita, sono casa: non l’ordinaria divisione di spazi dove rappresentiamo il tempo che scorre, ma i luoghi della nostra memoria che abbiamo vissuto quasi sempre con le persone amate, lo sfondo in cui le relazioni accadono.

Luoghi che non sempre sono come vorremmo, dove viviamo le nostre vite ordinarie, le nostre esistenze e certezze spesso messe in discussione dagli eventi e da noi stessi con dolore e senza clamore.

È quello che ci narra Alessandra Sarchi in Via da qui (Minimum Fax, 2022), cinque racconti legati dalla presenza della casa come espressione degli affetti, spesso dolorosi, un contenitore di emozioni e scelte sofferte e complesse, luogo di reciprocità di affetti e sofferenze che sostiene e conforta il destino di ciascuno, colto nell’intervallo indecidibile fra il restare e l’andare via; memore del fatto che, come sostenuto da Agamben, l’uomo è un essere abitante, bisognoso «non solo di una tana o di un nido, ma di una casa, cioè di un luogo dove ‘abitare’, dove costruire, conoscere ed esercitare intensamente i suoi abiti».

Alessandra Sarchi, nata a Brescello (Reggio Emilia) nel 1971, oggi vive a Bologna. Ha studiato storia e critica d’arte alla Scuola Normale di Pisa, ha conseguito un dottorato di ricerca alla Ca’ Foscari di Venezia e ha vissuto e lavorato in Francia e negli Stati Uniti. Vanta varie pubblicazioni, tra cui il romanzo Violazione (2012, Einaudi), vincitore del premio Paolo Volponi opera prima e La notte ha la mia voce (2017, Einaudi ), vincitore del premio Mondello e finalista al premio Campiello. È autrice del podcast Vive! con la collaborazione del Piccolo Teatro di Milano e il Corriere della Sera.

Cinque racconti da leggere di un fiato

Le parole esatte e sottili, eppure colme di carica emotiva dirompente, narrano di relazioni, traslochi materiali e interiori, misericordia, fragilità, affetti, empatia, umanità e ci ricordano cosa sia il senso più profondo della letteratura, capace di lasciare emergere lo scorrere di vite dolenti nella loro quotidianità e l’essenzialità della parola esatta, la cifra più autentica della splendida scrittura che caratterizza il registro della narrazione breve utilizzato dall’autrice.

Il primo racconto, La tana , è per me quello più emozionante: l’amore tra due ragazze dentro la loro casa/tana, sconvolto dalla morta improvvisa di una delle due; il tema dei diritti civili, l’impossibilità di decidere sulla donazione di quegli organi che sono e restano la persona amata, il precariato dopo la laurea, il ruolo imposto della famiglia, la fatica di tutti i giorni e, su tutti, il diritto all’amore negato, anche dalla morte.

In un altro dei racconti, Cherry Street, la Sarchi svela la complessità del reale, risultato della lucida e sofferta analisi della propria vita da parte della protagonista che mostra il fallimento necessario per comprendere il coraggio di andare via e ritrovare se stessa, consapevole ormai che la casa americana dove ha vissuto sino a quel momento contiene armadi pieni di bugie, passi falsi e insicuri e l’amore vissuto intriso di ipocrisia crudele e silente violenza.

Il leitmotiv della casa, spazio instabile e fragile, capace di ospitare vite che passano dalla felicità alla sofferenza, dalla certezza al dubbio, accomuna i cinque splendidi racconti dell’autrice, tutti dentro quattro pareti che contengono le memorie del passato, le incertezze del presente, i sogni e i desideri del futuro, lasciato appena intravedere.

Alessandra Sarchi e le donne

Protagoniste indiscusse, donne contemporanee e contraddittorie, fragili e complesse; eppure salde nella devastazione dei loro sentimenti e forti nella fatica delle loro scelte, come la generazione attuale delle donne tra i quaranta e i cinquant’anni sa bene.

Donne in cui ritroviamo l’autrice, che in un’intervista a La Repubblica Bologna ha recentemente dichiarato:

«per generazioni come le nostre, passate dalle grandi speranze al disincanto totale, i bilanci sono molto spesso a perdere. Viviamo un disagio esteso del vivere, una mancanza di prospettive che ti costringe a cambiare e non ti fa sentire mai adeguato. Siamo come burattini che devono continuamente adattarsi alle circostanze. Però tutti questi personaggi, alla fine, hanno una grande consapevolezza del limite. E io credo sia una condizione a cui la nostra generazione dovrebbe arrivare, se non c’è già arrivata. Perché pensare di essere senza limiti è una gran fatica. L’onnipotenza è un’ossessione prettamente maschile e ha distrutto il pianeta».

Cinque racconti che, per dirla con Cortázar (Bestiario, Alcuni aspetti del racconto, Einaudi 1999), sono in grado di fotografare la forza dei sentimenti, senza orpelli ma con determinazione, in un climax ascendente che narra, in modo sottile e paziente, dei luoghi e non luoghi interiori e delle nostre piccole grandi vite.

Fotografia di un racconto è anche la musica, che esige una colonna sonora dell’anima, dove gli spazi esteriori ed interiori siano capaci di scorrere come in un film neoralista: niente di meglio che leggere Via da qui, ascoltando Facimmo ampresso di Maria De Vito (feat. Chico Buarque), dal suo album Core/coraçao, titolo che, come i racconti di Alessandra Sarchi, indica espressamente il lavoro sottile e sofferto del cuore, capace di mostrarsi senza veli.

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