La festa della Repubblica, quest’anno caricata di diversi significati politici, è anche il giorno in cui ricordiamo il voto che il 2 giugno 1946 vide le donne esprimere la propria opinione per la prima volta sul destino del proprio paese. Ma al di là del momento di ricordo, la possibilità di votare e di poter appunto dire la propria ha la valenza del dovere, oltre che del diritto, malgrado sempre più spesso le urne siano snobbate.

Le elezioni europee della prossima settimana, che sono meno comprensibili per la cittadinanza – che spesso ha un’idea fumosa delle istituzioni comunitarie e del loro funzionamento – rischiano di vedere nuove defezioni. Eppure, la speranza è che la vicinanza del 2 giugno con la tornata elettorale possa essere un richiamo per la popolazione italiana a recarsi a votare, in particolare per le donne.

Il voto delle donne, frutto del lavoro e della forza della Resistenza

Perché quel voto – recentemente richiamato dal film di Paola Cortellesi – non è caduto dal cielo, alla pari di molti altri diritti per le cittadine italiane ed è frutto proprio del lavoro e della forza delle donne che si sono attivate nella Resistenza. Ricorda bene Benedetta Tobagi nel suo libro, La Resistenza delle donne (Einaudi, 2023), come per moltissime di queste partigiane la guerra civile, con la sua bruttezza e gli orrori quotidiani, abbia rappresentato allo stesso tempo una stagione di inedita libertà.

Le testimonianze delle donne raccolte dalle storiche ricordano la sensazione provata nel prendere per la prima volta decisioni in modo indipendente, nel potersi assumere volontariamente responsabilità e rischi, nel compiere azioni sovversive per un bene comune. 

L’entrata nei Gruppi di Difesa della Donna per molte donne ha significato anche l’avvicinamento per la prima volta alla politica. I GDD, in cui miracolosamente coesistono donne di diverse idee politiche, sono l’occasione anche per parlare di diritti, di futuro, di libertà, di sogni… Non è un caso che dalle reti di donne nella Resistenza nascano poi l’UDI – Unione Donne in Italia – e altre associazioni femminili che si occupano della ricostruzione e che lottano per non chiudere quella stagione incredibile per le donne.

È necessario un momento di rottura irreparabile perché la società si interroghi su come evolvere e superare la crisi.

Recentemente abbiamo attraversato una pandemia globale, che avrebbe potuto rappresentare un momento di cambiamento epocale, ma fin dai primi giorni del lockdown l’ordine imperativo è stato tornare alla normalità, come se lo status quo precedente non avesse contributo al problema. 

Il cambiamento richiede fatica, soprattutto se bisogna mettere in dubbio la gestione del potere e i ruoli sociali e di genere. È un ripetersi frequente nella storia: nella Rivoluzione francese troviamo il benservito alle donne dopo l’emanazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino… Ma non della cittadina: sarà Olympe de Gouges a pubblicare una contro Dichiarazione sui diritti della donna, una presa di posizione che la condurrà alla ghigliottina. Eppure, come lei stessa dice, se le donne possono finire sul patibolo come gli uomini, perché non dovrebbero avere pari diritti?

Entrambe le guerre mondiali sono state momenti di rottura e di progresso per le donne. Se dopo la Grande Guerra, tuttavia, quelle donne sono state rimandate a casa perché non più necessarie, le partigiane non hanno accettato di tornare allo status quo precedente.

Hanno sfilato nella prima celebrazione del 25 Aprile, reclamando il proprio ruolo. Hanno preteso il diritto di voto. Hanno votato – la percentuale del voto delle donne il 2 giugno 1946 rimane impressionante – e le 21 elette hanno lottato duramente perché la Costituzione italiana nascesse sul presupposto della parità tra cittadini e cittadine. Si può leggere Stai zitta e va’ in cucina di Filippo Maria Battaglia, per farsi un’idea del clima nell’Assemblea costituente. E anche dopo hanno continuato a lottare.

Il diritto di voto, la pace e la voce delle donne: è sempre il 2 giugno 1946

A quasi ottant’anni dalla fine della guerra e da quel voto, quel percorso di Liberazione ancora non è finito. Perché rimane una parte del potere politico e sociale che considera quei diritti delle donne – così faticosamente conquistati – una gentile concessione. Concessione che ci si riprendere al momento opportuno, se si vuole.

Al contempo, il mondo continua a essere dilaniato dai conflitti. Ricordiamo allora anche l’impegno delle donne che, in UDI e non solo, nel dopoguerra si impegnarono assiduamente per la pace, sottoscrivendo oltre tre milioni di firme per chiedere che i governi e le organizzazioni internazionali si impegnassero in ogni modo per fermare l’escalation della minaccia atomica e per evitare ulteriori tragedie.

La nostra associazione ricorderà quest’impegno in diversi appuntamenti la prossima settimana sul territorio italiano, in occasione di Archivissima, il festival degli archivi storici. Le bandiere della pace, cucite dalle donne per utilizzarle nelle manifestazioni degli anni ’40 e ’50, ci ricordano una partecipazione e una mobilitazione senza precedenti in Italia.

Una partecipazione che possiamo anche oggi portare avanti, esprimendo un voto e considerando anche il tema della pace, oltre che dei diritti delle donne, nella scelta dei candidati da mandare a Bruxelles.

La nostra società oggi si può interrogare sul futuro che desidera, ha gli strumenti per cambiare. È necessaria però la volontà di portare avanti la Liberazione per tutti e tutte, ad esempio con la nostra associazione, l’Unione Donne in Italia. Senza possibilmente aspettare la prossima guerra come motore scatenante di questo cambiamento. 

Laura Casale – Per conto di U.D.I. Genova APS

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