Quando eravamo ragazze noi, nei primi anni 2000, l’educazione sentimentale dei nostri coetanei maschi poteva davvero essere sintetizzata dall’iconica scritta murale che appare in Strappare lungo i bordi di Zerocalcare: Amare le femmine è da froci.

Una verità che passava prima di tutto per il dovere di ogni maschio veramente maschio di dover affermare in qualunque circostanza (ma soprattutto davanti ad altri maschi veramente maschi) la propria virilità.

Non bastavano, certamente, gli atteggiamenti aggressivi o prepotenti, i giochi violenti e di sopraffazione dei gruppi maschili a provare le qualità virili dei maschi veramente maschi. Perché l’indice di virilità fosse considerato adeguatamente alto occorreva anche rapportarsi in un certo preciso modo a noi ragazze (che purtroppo non avevamo alcun potere nel processo di convalida della targa di maschio veramente maschio).  

È così che il maschio veramente maschio, per guadagnarsi l’ambito status, doveva lanciarsi in vere e proprie prove di mascolinità davanti ai suoi amici maschi veramente maschi: commenti a sfondo sessuale, fischi e urla oscene lanciate per strada alle sconosciute, fino alle fierezze più infime che per certi branchi di maschi erano il riconoscimento (e il divertimento) più alto.

Tanto che noi ragazze (segnate invece dalla dicotomia sciagurata che ci voleva tutte Joey Potter o Jen Lindley, con la consapevolezza amara che alla seconda andava comunque peggio che alla prima) ci siamo abituate, davanti a queste prove di virilità, a sorridere e ad abbassare lo sguardo, oppure a incazzarci ma per finta, a sdrammatizzare, a minimizzare. Tutto per non passare per le bigotte di turno che si scandalizzano per una pacca sul sedere.

Eravamo ancora lontane dal #metoo e dai racconti pubblici delle storie di molestie e violenza sessuale, e non sapevamo dare un nome a quel senso di impotenza (e frustrazione e umiliazione e dolore) che sapevamo di sentire davanti alle prodezze dei maschi e alla misoginia diffusa anche tra gli amici e tra i fratelli. Di più: credevamo che l’attenzione sessuale da parte dei maschi veramente maschi e il fatto di essere guardate, desiderate e toccate, avesse l’insano potere di ammetterci al mondo in quanto femmine veramente femmine.

Le molestie (che non chiamavamo ancora così) erano dunque il simbolo della nostra esistenza nel mondo: eravamo guardate e apprezzate, dunque esistevamo. Nessuno ci parlava di consenso. Forse, nessuno ci parlava e basta. E così, subivamo i comportamenti dei maschi veramente maschi e spesso ne ignoravamo persino il danno.  

Oggi per fortuna abbiamo alle spalle anni di femminismo, e sappiamo che quando siamo davanti a un comportamento indesiderato, non richiesto e non gradito che può causarci disagio siamo davanti a una molestia. Come quella subita dalla giornalista sportiva Greta Beccaglia fuori dallo stadio Castellani di Empoli. Non si è trattato di una pacca goliardica sul sedere data per scherzo da un tifoso più euforico del solito, ma di una molestia. Chiamiamo le cose con il proprio nome. Siamo stanche, tanto stanche, di dover ancora spiegare a voi maschi veramente maschi cosa sia il patriarcato e perché fa male a tutti.

Qui alcuni consigli di lettura, è una lista un po’ lunga, ma il lavoro da fare è tanto:

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