Nella comunità ebraica ortodossa di Buenos Aires dove è cresciuta Tamara Tenenbaum, a partire dai 12 anni le ragazze non possono avere nessun contatto con i maschi: non ci si saluta con un bacio, non ci si può toccare e neanche stringere le mani. Persino i fidanzamenti non prevedono abbracci, baci o carezze prima del matrimonio.

Quando negli anni dell’adolescenza Tamara frequenta un liceo laico, si scontra con un’altra realtà: le ragazze della sua età conoscevano un altro mondo. I contatti non erano vietati, gli amici maschi si salutavano con un bacio, si abbracciavano, si ballava con loro alle feste.

Eppure l’assenza apparente di regole si rifletteva nelle loro vite con esiti non troppo differenti da quelli sperimentati nella comunità ortodossa. Le ragazze avevano di certo più libertà, ma a ogni occasione possibile qualcuno ricordava loro che a quella libertà c’era un limite e che oltrepassarlo aveva un prezzo.

A Tamara è chiaro fin da subito: anche quelle ragazze – libere, brillanti, indipendenti – avevano alle spalle un sistema di credenze ereditato da una lunga tradizione, solo che per loro funzionava in modo diverso.

L’unica religione per loro era l’amore: al liceo ne parlavano continuamente. Il racconto e il desiderio dell’amore romantico occupava tutto il loro tempo. Le rubriche sentimentali sulle riviste e la televisione davano loro ragione: l’amore romantico era l’unico modello possibile di felicità e anche la più libera e personale delle scelte.

I libri e i film lo raccontavano così: una forza erotica e passionale irrefrenabile che può più della convenzione, della tradizione e delle strutture socioeconomiche; per cui dunque è lecito fare carte false.

Tamara Tenenbaum, nel suo saggio La fine dell’amore. Amare e scopare nel XXI secolo (Fandango, 2022), parte da queste premesse per mettere in discussione il mito dell’amore romantico e le forme moderne dell’affettività e del desiderio e dirci che non è tutto come sembra.

L’amore romantico

La promessa dell’amore romantico è infestata da stereotipi e preconcetti che raramente hanno alla base la felicità quanto piuttosto il suo opposto: il sacrificio. La narrazione dell’amore romantico che conosciamo prevede che sia meritevole di amore solo chi non si risparmia in niente: chi dà tutto, il suo tempo, le sue energie, la sua disponibilità emotiva.

“Noi che ci annullavamo per amore immaginavamo che dando a un uomo tutta la nostra energia e il nostro tempo, abbandonando le nostre amiche e le nostre passioni per uno che ci faceva venire un nodo alla gola, stavamo facendo qualcosa di totalmente diverso da quello che facevano le donne che si sposavano per convenienza o per forza”.

Di più: l’amore romantico è un prodotto e una conseguenza della soggettività moderna, in grado di mettere in discussione le istituzioni tradizionali (famiglia, religione, patria) come nello schema di Romeo e Giulietta, assunto a paradigma dell’amore cui aspiriamo.

Niente di strano se ci dicono che la coppia ideale della nostra epoca è molto più simile a quella dei decenni precedenti di quanto possiamo immaginare, con la differenza che su questa si investe molto di più: “la coppia è uno dei lavori richiesti dalla vita in una società capitalistica urbana”. Bisogna farla funzionare.

Tutti chiedono alla coppia molto più di quanto esigevano le generazioni precedenti. E non a caso Internet è pieno di consigli in altissima percentuale rivolti alle donne, dove ci viene spiegato che mantenere salda una coppia è uno sforzo enorme “anche se non si mette mai in discussione se questo sforzo valga la pena, né il modo in cui il suo carico si ripartisce in termini di genere”.

Una coppia non è più una cosa scontata che si crea e si regge da sola: bisogna mantenere la passione, bisogna comunicare, bisogna condividere, bisogna trovare il tempo anche se si è stanchi o impegnati. E il presupposto dietro questa visione raramente è esplicitato: l’idea che la felicità vada sempre meritata, che dipenda dalla nostra volontà e dai nostri sforzi.

Non è raro che persino i giovani si lamentino del fatto che oggi le coppie durino sempre meno, alzando confronti impossibili con un passato il più delle volte idealizzato (“i matrimoni di un tempo non duravano di più perché fondati su amori più solidi, bensì su ipocrisia e disuguaglianza”).

Non a caso siamo la generazione figlia di chi ha scelto di divorziare, piuttosto che accanirsi in matrimoni senza amore per le apparenze o per tenere unita la famiglia. Nonostante questo, gran parte delle persone continua a costruire relazioni sesso-affettive esclusive in cui la coppia resta il vincolo più importante.

“Nel ventunesimo secolo le nostre ambizioni amorose sono intrepide. Non ci basta sposarci con una brava persona, uno che porti il pane a tavola, né basta una relazione che da fuori appare corretta e dal di dentro ci fa sentire miserabili. Vogliamo legami egualitari e onesti, e siamo ansiose di capire cosa significhi. E poi vogliamo innamorarci, vogliamo scopare e vogliamo essere amate, vogliamo stabilità e vogliamo adrenalina, il salvagente e le onde, tutto allo stesso tempo. Ma si può avere tutto questo? O è una ricetta per la frustrazione? È un anelito onesto o è solo aspirazionalità, solo desiderio di completezza? Sono scema se ci provo? Sono cinica se ci rinuncio?”

Il desiderio è pubblico

Nessuno osa mettere in dubbio il desiderio dell’amore romantico. Anzi, l’amore romantico ha fornito a moltissime donne un linguaggio per esplicitare il proprio desiderio e metterlo in pratica, anche se in modo velato ed eteronormato.

Ma non è più un segreto affermare che persino il nostro desiderio – simbolo di libertà e soggettività – è il risultato della nostra storia, della nostra famiglia, e persino della nostra classe sociale e del nostro Paese di provenienza.

La cultura dello stupro di cui è intrisa la nostra società influenza il nostro desiderio in molti modi: per esempio tramite la cancellazione romanticizzata del concetto universale di consenso (la credenza che in molti casi no voglia dire sì), oppure idealizzando i modelli relazionali tossici basati sulla gelosia e sull’ipercontrollo, fino alla narrazione romanticizzata di femminicidi raccontati come un sentimentale ed appassionato “finché morte non ci separi”.

“La stessa cosa che ci fa sentire violentate ci fa sentire desiderate, perché questa è l’immagine del sesso che ci hanno venduto e che conosciamo”.

Salvare l’amore

L’invito di Tamara Tenenbaum è quello di farci carico del desiderio: di assumerci la responsabilità del nostro desiderio, di riappropriarcene, di accettarne la volatilità e persino i suoi paradossi.

Rispettare il proprio desiderio vuol dire presentarsi al mondo come soggetti desideranti: vere e proprie minacce per un sistema retto fino ad ora sulla subordinazione delle donne, sul loro lavoro non pagato e sulla loro condotta prevedibile e ordinata.

Liberiamoci dalla tranquillità che sogniamo e dall’illusione di sicurezza, andiamo incontro al nostro desiderio scegliendo non i modelli prestabiliti, ma quelli che più si adattano a ciò che sentiamo dentro.

E ricordiamo: la fine dell’amore romantico non dev’essere per forza, come si è storicamente pensato, la fine dell’amore”. Tutt’altro: costruendo legami affettivi consensuali, onesti e responsabili, scommettendo non solo sulla coppia ma anche sull’amicizia e sulla comunità, uscendo dalla logica individuale e abbracciando sistemi fondati sulla comprensione reciproca, si salverà l’amore, ci salveremo noi.

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