Mi sono trovato questo libriccino fra le mani quasi per caso, grazie al suggerimento di un libraio attento e competente. Abile, disabile, formidabile di Carlo Zanda si è rivelato una scoperta sorprendente. L’autore racconta in modo profondo e coinvolgente la storia di Cara, con l’aiuto delle illustrazione di Ilaria Voghera.

Cara è una cagnolina che potrebbe sembrare uno dei tanti pet che popolano le case delle famiglie del ceto medio italiano. In effetti, Zanda e la moglie vivono a Milano, in un quartiere centrale, e Cara viene accudita con tutti i crismi, dalle passeggiate al Parco delle Basiliche fino alle visite da un veterinario scrupoloso e competente. Ma la relazione fra lei e i suoi compagni umani, per fortuna, è ben diversa da quella fra la famigliola borghese e il cane da salotto.

II fattore scatenante è una neuropatia. Cara perde progressivamente l’uso delle zampe posteriori, e questo scatena una pletora di interrogativi da cui nasceranno nuove consapevolezze. Per esempio, i cani non sono oggetti, non sono proprietà di un padrone, ma non sono neanche degli eterni cuccioli, i pelosetti costantemente infantilizzati (del resto, Cara aveva già dimostrato una forte capacità di autodeterminazione in diverse occasioni). Come definire un rapporto vero e egualitario con il cane? Zanda sceglie di definirlo come un rapporto di parentela: il cane è un parente. Per arrivare a questa consapevolezza, si rivolge a fonti per certi versi inaspettate, da Jorge Luis Borges a Konrad Lorenz, fino ai classici della letteratura antispecista.

Copertina del libro "Abile, disabile, formidabile" di Carlo Zanda

Cara, storia di disabilità e liberazione animale

La storia di Cara rappresenta così anche un’occasione per mettere al centro le principali tesi dei diritti degli animali – non solo dei cani – enunciate da Peter Singer e Tom Regan. Ma, come mostra Zanda, l’antispecismo moderno offre strumenti ancora più raffinati, in grado di connettere temi apparentemente distanti, come nel caso di Bestie da soma. Disabilità e liberazione animale. Il libro dell’attivista vegan disabile Sunaura Taylor è infatti preziosissimo per l’autore, che si trova a scoprire l’abilismo tramite il rapporto con un cane disabile. E la definizione di abilismo, mutuata proprio da Taylor, è già di per sé radicale:

una forma di oppressione che modella le nostre opinioni e i nostri valori culturali, nonché le nostre nozioni su cosa significhi essere indipendenti, come misurare la produttività e l’efficienza, cosa è normale e persino cosa è naturale.

La vita con Cara si rivela dunque una decostruzione quotidiana dell’abilismo, a partire dalla scelta di accettare la sua nuova forma di esistenza in cui il carrellino è una tecnologia che favorisce la resilienza di una persona non umana. Una persona che dimostrerà, giorno dopo giorno, una tenacia e un’inventiva formidabili.

Un discorso amoroso collettivo

La famiglia di Cara osserva il dispiegarsi della sua volontà di vivere, le soluzioni che escogita per compiere funzioni e gesti quotidiani, con grande fantasia e determinazione. Al tempo stesso, la coppia di umani accresce la propria capacità di comunicare con un’altra specie, senza bisogno – e a tratti addirittura a dispetto – delle indicazioni dei saperi specialistici. Naturalmente, da questa situazione traggono insegnamenti utili, e non proprio edificanti, sui pregiudizi diffusi. Piano piano, però, un certo pietismo, nel quartiere, si trasforma prima in accettazione, e poi in quello che Zanda definisce un discorso amoroso collettivo.

Quella di Cara è una storia di cura, di affetto, di resilienza, ma è anche un viaggio nelle potenzialità dell’ironia e della poesia, strumenti sottili per erodere al tempo stesso l’abilismo interiorizzato e la visione proprietaristica del “cane di casa”. Una storia che non disdegna un cauto antropomorfismo, necessario per entrare in connessione con un’altra specie, senza troppo proiettare il nostro mondo umano-troppo-umano su altre forme di vita. Un inno al potere dell’imperfezione, dell’ibrido e della reciprocità, contro ogni paternalismo.

Comprendo bene, io stesso, quel sentimento di bonario pietismo che spesso circonda gli animali disabili per strada. Uno dei cani con cui vivo, che ha soltanto tre zampe, è considerato proprio così: disabile. Anzi, stando all’epiteto che risuona ai nostri orecchi durante le nostre passeggiate, un poverino. Mi fa sorridere questo aggettivo, perché lui, mentre corre e salta e ti ruba il cibo dalle mani, non sa affatto di essere un “poverino”. Perché non lo è. A dirla tutta, ha una gamba in più deə passanti che gli affibbiano l’epiteto piagnucoloso. Ed è forse per questo che mi sembra guardarlə in modo simile a come lə guarda Cara:

Adesso, se qualcuno incontrandola per strada le mormora “Poverina”, Cara si sporge dal fumetto in cui ogni giorno stupisce il mondo e, guardandosi intorno, chiede: “Con chi ce l’ha?”

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