Ve lo dico subito: non mi convince questo tipo di esperienza come strumento per scaricare la rabbia. A me sembra piuttosto che, al contrario, essa possa abituarci alla violenza. Eppure da quando questo concept è nato, in Giappone ormai nel lontano 2008, è un successo ogni volta che viene replicato, negli Stati Uniti come in Europa.

In che consiste? Si tratta di una stanza in cui possiamo scatenarci liberamente nel distruggere tutto ciò che abbiamo a portata di mano: piatti, televisori o altri elettrodomestici, bicchieri, vasi, mobili di legno e tutto ciò che i gestori del luogo ci mettono a disposizione.

Si chiama Anger Room, ed è una stanza nella quale si entra solo previa prenotazione, dove poter sfogare la propria rabbia incontrollata per circa quindici minuti. Altri quindici minuti serviranno per il briefing e il debriefing, inclusa la compilazione di un modulo per lo scarico di responsabilità. Insomma, se vi fate male… è colpa vostra.

Ci si può prenotare da soli o fino a un massimo di 3 persone. Ma esiste anche la big room, dove un gruppo di otto persone può partecipare in contemporanea ad una distruzione collettiva.

L’utilità della stanza della rabbia

Non è la prima in Italia: ne esistono già tre aperte dopo quella storica inaugurata a Milano già nel 2018, le altre sono a Genova e Torino. Gli ideatori di Anger Games (il brand che ha creato le anger room) sostengono che si tratti di una attività divertente e antistress che aiuta a liberarsi delle tensioni accumulate sul lavoro, nelle relazioni sociali e nell’ambito familiare.

Del resto non è facilissimo sfogarsi in altri luoghi distruggendo oggetti e cose senza pagarne poi le conseguenze. Qui invece si paga, in anticipo, solo il biglietto di ingresso. Che non è proprio economico: la formula basic costa 30 euro, e consiste nello spaccare con un piede di porco una ventina di oggetti di piccole dimensioni come bicchieri e piatti, e un solo oggetto più grande. La formula più costosa è la deluxe: per 50 euro consente di sfasciare ben quaranta oggetti piccoli e tre oggetti di medie dimensioni, come tavoli o elettrodomestici.

Le tariffe di gruppo poi salgono di prezzo. Non mancano le opzioni aggiuntive, come la possibilità di usare un attrezzo diverso per spaccare, tipo una mazza da golf o una pala, o quella di portare le proprie cose da rompere. L’ideale per chi vuole distruggere la foto del suo matrimonio andato in fumo, o il servizio di piatti della suocera che proprio non può mandare giù.

Le stanze sono insonorizzate con pannelli fonoassorbenti e protettivi, e la distruzione è accompagnata da una colonna sonora, che viene sparata a palla per coprire le urla del demolitore e i rumori degli oggetti distrutti. Naturalmente i partecipanti sono attrezzati con protezioni per il corpo, casco e guanti.

Le donne e la rabbia: uno studio universitario
e i libri per capire il nesso

Secondo Usa Today, il cliente tipo è la donna, che entra in una stanza della rabbia per alleviare lo stress, e molti terapisti raccomandano questo tipo di esperienza per esprimere la rabbia e incanalarla in modo sano. Tuttavia sono molti i professionisti della salute mentale che diffidano di questo tipo di pratica, perché potrebbe essere divertente ma rischia di allontanare l’individuo dalla ricerca di un confronto equilibrato e di una comunicazione costruttiva.

In effetti che siano proprio le donne a ricorrere maggiormente all’uso della stanza della rabbia lo conferma anche il quotidiano britannico The Guardian, che in un ricco articolo raccoglie una serie di testimonianze di fresche adolescenti dall’aria innocente o dolci vecchiette dai modi contegnosi che trovano felicemente sfogo in queste anger room.

E che le donne abbiano da sempre un problema con l’esprimere la propria rabbia, trova riscontro in un interessantissimo studio dell’Arizona State University che dimostra come gli uomini arrabbiati guadagnino influenza laddove le donne arrabbiate perdano influenza, e siano giudicate negativamente.

Lo studio si è concentrato su personaggi politici americani, dimostrando che quando le candidate politiche esprimevano la loro opinione con rabbia, ad esempio durante i dibattiti, riscuotevano meno influenza che se non avessero espresso rabbia. Questo potrebbe spiegare perché Bernie Sanders si esprime con modi più energici e appassionati, mentre Hilary Clinton regola attentamente le sue emozioni con maggiore ponderatezza.

Il tema della rabbia femminile è esplorato anche in un interessantissimo libro di Almut Schmale-Riedel dal titolo La rabbia delle donne – perché esplode e come sfruttare il suo potenziale nascosto.

Secondo l’autrice infatti, molte donne temono la rabbia, non amano provare irritazione e collera, e se la provano se ne vergognano e spesso la disprezzano. Altre donne invece sono fin troppo spesso arrabbiate, e non sanno esprimere questa emozione in modo adeguato, finendo per reprimerla.

Questo è causato da una società che ha sempre identificato, nella donna che esprime liberamente la propria rabbia, una persona stizzosa, isterica o eccessivamente drammatica. Per questo motivo le donne tendono a rimuoverla e a mimetizzarla molto più degli uomini. 

Tuttavia, dietro ogni arrabbiatura c’è un bisogno non appagato e spesso anche un potenziale non sfruttato, che sarebbe invece molto più utile saper comprendere e accogliere. L’autrice analizza il tema dal punto di vista neurobiologico e psicologico, offrendo un percorso di riflessione che aiuta a riconoscere varie tipologie di collera e a sfruttare gli strumenti dati da quest’emozione per la crescita personale, come prezioso orientamento verso la propria vera identità, e i propri veri bisogni.

Quello di Schmale-Riedel non è l’unico testo sull’argomento: c’è un altro volume, scritto a quattro mani da Edoardo Giusti e Flavia Germano, dal titolo Terapia della rabbia – Capire e trattare emozioni violente di ira, collera e furore, che fornisce indicazioni metodologiche per trasformare vissuti patologici in energia positiva, con tanto di strumenti di valutazione, di indagine e d’intervento.

La domanda da farsi dunque è questa: distruggere le cose può davvero farci stare meglio? A risponderci è la psicologa Ramani Durvasula, autrice del libro Should I Stay or Should I Go? – Surviving a Relationship With a Narcissist.

“Poiché la rabbia è un fenomeno così vario, una stanza della rabbia potrebbe essere una liberazione per alcuni, ma potrebbe semplicemente rafforzare la rabbia per altri”, afferma Durvasula.

E allora forse quei 30 euro, invece di spenderli per quindici minuti di spaccatutto, che potrebbero solo alimentare gli impulsi distruttivi che sono in noi, potremmo valorizzarli per comprare un libro che ci aiuti a guardarci dentro e a trasformare la rabbia in energia positiva.

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