Da oltre 30 anni il mondo del lavoro ha scoperto una cosa che antropologi e storici avevano già verificato sul campo: gli ambienti più diversificati sono quelli che riescono ad attrarre maggiormente i talenti e a generare innovazione.

La civiltà umana ha fatto i salti più importanti proprio in quei contesti, storici o geografici, dove, per cause coatte o casuali (guerre, migrazioni, scoperte…), popoli e persone provenienti da background culturali diversi si sono trovati a convivere. Dalla convivenza, e spesso passando per la fase dello scontro, si è generata sempre una scintilla di progresso che ha favorito la nascita di qualcosa di nuovo.

Nelle aziende, prima nordamericane, poi nordeuropee, ora a livello generalizzato, è iniziata a comparire la figura professionale del diversity & inclusion manager, persona che dovrebbe attuare i programmi per consentire di valorizzare ogni diversità e far sì che il luogo di lavoro sia sempre più inclusivo, favorendo, ad esempio, la formazione di team di lavoro diversificati, la diffusione della cultura dell’inclusione, l’emergere della leadership inclusiva, in sintesi l’emersione del potenziale di ciascuno e ciascuna.

In Italia la diffusione nelle aziende dei programmi di inclusione è ancora diffusa a macchia di leopardo, prevalentemente tra le aziende di grandi dimensioni o quotate in borsa, perché da diversi anni gli analisti finanziari stanno cominciando a valutare con favore se un’azienda abbia o meno avviato un approccio all’inclusione come indice predittivo di migliori performance.

Sono cominciati ad apparire anche ranking mondiali delle aziende virtuose; tra questi il GEI (Gender Equity Index) di Bloomberg, il Diversity & Inclusion Index di Refinitiv o l’italianissimo Diversity Brand Index promosso da Diversity Lab fondata da Francesca Vecchioni.

Francesca Vecchioni, fondatrice di Diversity Lab

Le aziende hanno iniziato anche ad aggregarsi in associazioni tematiche, come Valore D, l’associazione di aziende per la promozione della leadership e dell’occupazione femminili, e PARKS – Liberi e Uguali, associazione per l’inclusione delle persone LGBT+ nel mondo del lavoro.

Sono iniziati a nascere anche tavoli interaziendali per la promozione di eventi di diffusione della cultura inclusiva, come 4 Weeks 4 Inclusion (4w4i.it) promossa dal 2020 da TIM e altre circa 300 aziende per creare un calendario condiviso, lungo 4 settimane, di eventi tematici.

Il libro che indaga le ragioni
della cultura inclusiva nelle aziende

Per approfondire le ragioni che portano un’azienda a scegliere di promuovere l’inclusione è da poco in libreria il saggio Nessuno escluso scritto da Andrea Laudadio per Giunti Editore.

Oggi nel panorama dell’inclusione abbiamo una novità: per la prima volta un Gruppo Editoriale, il gruppo GEDI, decide di inserire in uno dei quotidiani della propria galassia, in particolare La Stampa, la figura del Diversity Editor.

Il 12 maggio 2023 a ricoprire questo ruolo è stato chiamato Pasquale Quaranta.


Pasquale Quaranta è nato 40 anni fa a Salerno, dove nel 2003 ha fondato l’Arcigay locale. Due anni dopo, è stato portavoce del primo Salerno Pride. Da giornalista, ha collaborato con le principali testate LGBT+, da Gay.it, a Babilonia, da Pride a Gay.tv.

Grazie allo stage di un master della RAI e dell’università di Firenze, da 10 anni lavora nella divisione digitale di GEDI, prima a Repubblica e ora a La Stampa. Lo scorso anno, ha convinto i direttori di queste due testate a partecipare per la prima volta a un Pride con una delegazione di giornaliste e giornalisti.

Pasquale Quaranta ci racconta
cosa è un diversity editor

Ho incontrato Pasquale per parlare di questa novità del suo percorso professionale.

Sin dall’inizio della tua carriera hai iniziato a interessarti di diversità e, in particolare di tematiche LGBT+. Hai anche creato un osservatorio…
Sì, anche le tesi che ho discusso, dalla laurea triennale al dottorato di ricerca, hanno riguardato la comunità arcobaleno. Gli argomenti sono stati la cultura gay online, la storia dei cattolici omosessuali in Italia, la rappresentazione di persone lgbt nei vocabolari del nostro Paese. Ho curato anche un libro su “Omosessualità e Vangelo” (Gabrielli), raccogliendo la testimonianza di Franco Barbero, un sacerdote che nel 2003 è stato ridotto allo stato laicale perché benediceva l’amore tra persone dello stesso sesso.

L’Osservatorio è nato come progetto finanziato dalla Provincia di Roma nel 2011, in collaborazione con il Cirps Consortium, e ha posto le basi per la nascita di un Premio giornalistico, che si chiama “Penna Arcobaleno”, di cui si è svolta la prima e unica edizione all’università di Tor Vergata. C’è anche un gruppo su Facebook dedicato al tema con l’obiettivo di collegare giornaliste e giornalisti, attiviste e attivisti, per migliorare la rappresentazione delle persone LGBT+ nei media.

Ora sei Diversity Editor di un quotidiano importante come La Stampa. Che emozioni provi? 
Mi emoziona il fatto che questo lavoro sui diritti, finalmente, abbia un nome e un riconoscimento all’interno di un giornale. È un incarico che ha sprigionato nuove energie e un rinnovato entusiamo.

Che compiti avrai in questo nuovo ruolo? 
Come Diversity Editor, continuerò da un lato a produrre contenuti inclusivi e rappresentativi, dall’altro a sensibilizzare la redazione e aumentare la consapevolezza su questi temi. La sfida è dare voce alle persone che per alcune caratteristiche – come ad esempio il genere, l’identità di genere, l’orientamento sessuale, l’etnia, la disabilità, solo per citarne alcune – sono ancora oggi ingiustamente discriminate.

Hai già degli obiettivi che vuoi raggiungere?
Mi piacerebbe sollecitare il gruppo editoriale per cui lavoro ad avviare percorsi di Diversity & Inclusion anziendali insieme ad organizzazioni che si occupano da anni di questi temi. Poi vorrei promuovere corsi di formazione in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti, con cui già collaboro da qualche anno attraverso l’associazione Gaynet fondata da Franco Grillini.

Inoltre, per comunicare con lettrici e lettori, terrò una rubrica intitolata proprio Diversity Editor – sono uscite già alcune puntate – perché credo sia fondamentale l’ascolto del pubblico, delle comunità, delle/degli influencer e delle associazioni per ridurre il gap tra rappresentazione mediatica e vissuto reale delle persone.

A tal proposito, scrivetemi se vedete cose che vi fanno saltare dalla sedia quando si parla di diversity e raccontatemi le vostre storie. La mail è p.quaranta@gedivisual.it oppure mi trovate sui social network.

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