L’uomo (che) cad(d)e sulla Terra: prima, nel 1963, con il racconto di Walter Tevis; poi, con il film di Nicolas Roeg, nel 1976. E cad(d)e ancora, rumorosamente, nel 2023, a più di cinquanta anni dal romanzo e a quaranta dall’omonima pellicola, con il volto marziano di Bowie.

Lazarus, spettacolo di David Bowie e Enda Walshideale proseguimento della parabola tanto aliena quanto umana di Thomas Jerome Newton – arriva finalmente in Italia. Con la regia di Valter Malosti, Direttore di Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale,dopo la prima del 22 marzo al Teatro Bonci di Cesena, dal 12 al 23 aprile è in scena al Teatro Argentina di Roma, proseguendo la tournée fino a giugno.

Nel ruolo del protagonista, Manuel Agnelli, cantautore e storico frontman degli Afterhours, versatile e multiforme: dopo il cinema, la radio e la televisione, approda anche al teatro. Ad affiancarlo, Casadilego, cantautrice e polistrumentista, vincitrice della XIV edizione di X-Factor Italia, e la coreografa e danzatrice Michela Lucenti. Sul palco, un cast di undici interpreti, tra giovani attori e cantanti di talento e sette musicisti, tra i migliori della scena musicale italiana.

Valter Malosti, dopo un lungo studio e un confronto diretto con il drammaturgo irlandese Enda Walsh, che già conosce, tradotto e messo in scena con Disco Pigs (2005) e Bedbound – Costretti a letto (2001), arriva a Lazarus, senza soluzione di continuità.

Con la sua regia dalla metodologia anglosassone, racconta un’opera rock labirintica di teatro musicale e letterario, piena di eredità autobiografica, trasudante di Bowie-uomo-alieno-artista, che indaga il mistero per eccellenza: quello della vita e, necessariamente e contemporaneamente, quello della morte. 

Valter Malosti // Foto © Laila Pozzo

Newton è ancora prigioniero – sulla Terra – della Terra, isolato, chiuso nel suo appartamento, in preda alla depressione e vittima dei suoi fantasmi e delle sue dipendenze. Un moribondo che non riesce a morire. Tra segnali dal passato, allucinazioni del futuro generate dalla sua mente, mescola sogni e realtà, suoni e visioni. Mentre personaggi (fantasmi? Proiezioni mentali?) si aggirano nello spazio claustrofobico dell’appartamento di Newton (o nel continuum devastato della sua testa?). 

Morire è un’arte. Sylvia Plath lo afferma con versi esemplari, limpidi, diretti e pesanti come macigni, inequivocabili, di una poesia pubblicata solo postuma nella raccolta Ariel del 1965: Lady Lazarus. David Bowie aderisce all’assunto e, inconsapevolmente, li mette in scena, in modo magistrale. È il 2015, nasce Lazarus. Sembra incredibile questa connessione, questa associazione tra i due – poeti, ciascuno a suo modo – che, per amore di indagine e mescolanza di generi, mi trovo a mettere insieme. Ma funziona eccome.

Morire
è un’arte, come qualunque altra cosa.
Io lo faccio in modo magistrale,

lo faccio che fa un effetto da impazzire
lo faccio che fa un effetto vero.
Potreste dire che ho la vocazione.

È facile farlo in una cella.
È facile farlo e rimanerci.
È il teatrale

ritorno in scena in pieno giorno,
stesso posto, stessa faccia, stesso bestiale
urlo goduto:

«Miracolo!»
è questo che mi stende.
Si paga

per vedere le mie cicatrici, si paga
per ascoltarmi il cuore —
funziona eccome.

Dying
Is an art, like everything else.
I do it exceptionally well.

I do it so it feels like hell.
I do it so it feels real.
I guess you could say I’ve a call.

It’s easy enough to do it in a cell.
It’s easy enough to do it and stay put.
It’s the theatrical

Comeback in broad day
To the same place, the same face, the same brute
Amused shout:

‘A miracle!’
That knocks me out.
There is a charge

For the eyeing of my scars, there is a charge
For the hearing of my heart—
It really goes.

Manuel Agnelli // Foto © Fabio Lovino

Valter Malosti racconta
la sua impresa coraggiosa

È sua la regia della prima versione italiana di Lazarus. Un’impresa coraggiosa: perché scegliere di mettere in scena quella che ha definito un’opera esplosa?

Bowie è il mio mito dell’adolescenza. Insieme a Demetrio Stratos e Carmelo Bene, formano una sorta di triade. I tre sono sostanzialmente maestri della voce. Li ho come “spinta vitale” perché la musica mi ha salvato la vita, letteralmente. Bowie mette in scena la sua voce in maniera molto teatrale, Stratos la esplora ai limiti delle possibilità umane, Bene la usa in tutt’altro modo, quasi da cantante mancato: non era bravo a cantare ma trovava una via all’uso della voce e anche al teatro. Enda Walsh è un autore che conosco bene, credo di essere stato tra i primi a rappresentarlo in Italia, con Disco Pigs (2005) e Bedbound – Costretti a letto (2001), con i quali Michela Cescon ha vinto molti premi (Premio UBU 2001 come nuova attrice e Premio Eleonora Duse 2001 come attrice emergente, ndr). È venuto a casa mia, gli ho fatto fare alcune lezioni all’Università a Torino, alla Holden. Siamo rimasti sempre in contatto. Mi è sembrata una congiunzione astrale che sia stato scelto dal Produttore Robert Fox e da David Bowie per accompagnarlo nella scrittura di Lazarus. La scrittura di Walsh, poco conosciuta in Italia, è visionaria, molto adatta al mondo di Bowie. È una scrittura misteriosa, come anche quella di Bowie. Poi ci sono le canzoni, questa materia musicale. Ho lavorato da sempre sul rapporto tra teatro e musica, facendo un percorso legato alla riscrittura in scena insieme alla musica. Ho lavorato con Ezio Bosso e altri musicisti che suonavano dal vivo, oppure con grandi compositori. Fino ad arrivare al Sound Designer G.U.P. Alcaro, con cui esploro da una ventina d’anni. C’è stato Giulietta di Fellini: lì ho cominciato a percorrere quella strada. Disco Pigs è stato uno spartiacque, sia per la libertà espressiva sia per questo rapporto fittissimo con la musica. Lavoravamo con due cd da dj e numerosi effetti. È stato il mio primo progetto più compiuto di teatro musicale. Il mio lavoro è sempre stato fittamente intrecciato alla musica.

Che tipo di preparazione c’è stata per uno spettacolo così stratificato come Lazarus, ha avuto modo di confrontarsi direttamente con Enda Walsh?

Prima ho tradotto Lazarus, poi sono andato da Enda Walsh con diverse domande. Per me è un testo profondamente emozionale, con un’ironia che non è facile da riportare in Italia: risulta sempre un po’ perturbante la comicità di Walsh e anche quella di Bowie. Ho visto lo spettacolo di Ivo van Hove (regista della produzione originaria, ndr) più volte e mi è sembrato un po’ algido. Con Enda Walsh abbiamo parlato di tutto ciò che è legato al testo, soprattutto delle caratteristiche interne, più complessive della pièce. Non è facile far venire fuori uno spettacolo: è un testo sia musicale che teatrale, con molti piani. Il padre di Enda Walsh è morto poco prima che scrivesse Lazarus, Bowie probabilmente sapeva di avere poco tempo da vivere: è un’indagine sulla soglia. Mia madre è morta a maggio dell’anno scorso, e non c’è niente di più distopico di un essere umano che muore. Nei giorni prima che accada… i tempi sono tutti insieme. È la vita sostanzialmente, però per noi è misteriosa. E questa è anche la bellezza di Bowie: ci ha consegnato un mistero, attraverso la sua persona. Manuel Agnelli dice sempre che anche lui è cresciuto nel mito di Bowie: questi grandi artisti per noi erano davvero misteriosi. Adesso sai tutto di loro, allora non sapevi quasi nulla, concedevano interviste raramente ma c’erano i dischi, gli spettacoli dal vivo, i concerti…

La sensibilità di David Bowie e Enda Walsh è la stessa, tanto che Bowie ha affidato al drammaturgo irlandese la scelta dei 18 brani da inserire nello spettacolo: la condivide?

A proposito delle canzoni, Enda Walsh mi ha confessato che la prima scelta è stata molto d’avanguardia ma poi il produttore l’ha bocciata, non c’entrava niente col successo auspicabile: era una playlist molto ardita che non mi ha voluto rivelare (mi ha fatto solo vedere un foglietto, da lontano). Penso ci fossero anche dei pezzi di 1.Outside. Gli ho chiesto se fossimo riusciti a inserire The Hearts Filthy Lesson, pensavo stesse bene in quel contesto, ma ha detto di no. Avrei forse apportato qualche modifica ma alla fine ho lasciato tutti i 18 brani scelti da Bowie e Walsh e ora funzionano tutte. Avevano ragione loro, come al solito. Nella produzione newyorkese, c’era anche Ashes To Ashes – che poi hanno tolto – forse per la lunghezza dello spettacolo. Io ho recuperato quella scena inedita – che Enda Walsh mi ha dato – la scena tra uomo e ragazza, in cui lei scopre di chiamarsi Marley. Se si legge il testo, è monco: lei dice di chiamarsi Marley ma manca proprio quella scena in cui lo apprende da quest’uomo che lei sogna e che le rivela di averla uccisa. Non è nelle edizioni a stampa. Pubblicherò a breve un’edizione italiana per La nave di Teseo.

Ha apportato modifiche rispetto alla drammaturgia o alla messa in scena originaria

Si conosce la versione scritta di Lazarus attraverso l’acting edition. Non è stampata da Enda Walsh, dalla sua casa editrice: è una versione di scena che riporta – come spesso accade in America e in Inghilterra – l’edizione della messa in scena. D’accordo con Enda Walsh, nella versione italiana, abbiamo tolto la maggior parte delle didascalie. Che non riguardano il testo di Bowie e di Walsh ma la versione di Ivo van Hove. Ho visto suoi spettacoli bellissimi, ma in questo caso la sua grande forza formale e estetica, forse, è andata un po’ a discapito dell’emozione. Questo credo perché volevo fare lo spettacolo – e l’ho fatto – in un altro modo. La mia via è stata quella di seguire la musica, di rendere molto concreto il personaggio di Newton, mentre Michael C. Hall, secondo me si muoveva un po’ troppo. È un attore bravissimo, che ha trovato questa impostazione baritonale della voce, molto simile a quella di Bowie. Ma non è un cantante. Mi raccontava Walsh che Bowie definiva Lazarus un’opera di teatro musicale più che un musical. Ed è proprio questo: secondo me, per interpretare il protagonista, è necessario un cantante che sappia recitare, più che un attore che sappia cantare.

Valter Malosti e Manuel Agnelli // Foto © Laila Pozzo

Motivo per cui ha scelto Manuel Agnelli per interpretare Newton, che raccoglie il testimone di David Bowie e di Michael C. Hall…

Sì, ho cercato un protagonista che sapesse cantare. Oltre all’aspetto emozionale che è strettamente connesso a questo, c’è che il suo personaggio è pieno di ferite. Manuel ha accettato – non dico di mettersi a nudo – ma di non cancellare le sue ferite, di mostrarcele, all’interno di una struttura comunque formale. Questo si sente sia nel canto che nelle brevi parti recitate. Poi credo sia l’unico in Italia che possa pronunciare la battuta delle merendine (si fa riferimento alle Twinkies, ndr) …la volevo cancellare, non sapevo come dirla. Ho chiesto a Enda, a lui faceva tanto ridere e come la dice lui, in effetti, anche a me fa ridere! Manuel è così iconico, in scena è potente, carismatico e, dette da lui, quelle cose sono interessanti. Danno anche il senso della fragilità. Sono nella scena in cui compare La Ragazza (interpretata da Casadilego – poi Marley, ndr). È molto commovente, come se questa ragazza, partorita dalla sua mente, gli desse un tocco di fragilità.

Manuel Agnelli e Casadilego // Foto © Fabio Lovino

Le maglie del racconto sono piuttosto criptiche, con diversi significati. Qual è stata la difficoltà, per Valter Malosti, nel raccontare al pubblico la storia di Newton come migrante interstellare?

La difficoltà enorme è stata – a parte il processo di traduzione, quello teatrale, con il corpo degli attori e il conseguente adeguamento – rendere tutto al nostro essere italiani. Molte cose per noi sono incomprensibili. Un’altra difficoltà è stata che sia nelle canzoni di Bowie che nel testo di Walsh, ci sono queste parole che a volte valgono due o tre significati. Sono abituato, ho tradotto Shakespeare. La lingua si è affinata ma restano un paio di zone che ho volutamente lasciato un po’ oscure, altrimenti avrei snaturato parti di testo. Ciò che all’inizio non mi piaceva, invece funziona, ovviamente! Come la battuta “il mio curriculum è scritto da capra, il tuo sembra scritto attraverso le tavole di Mosè”: il pubblico sorride. Ho riscritto lo spettacolo senza allontanarmi dal range semantico originale. Il nostro è un pubblico misto, fatto anche di abbonati. Ma Lazarus è anche un fenomeno online: metà dei biglietti venduti sono online. È un pubblico trasversale composto da signori e giovanissimi. Non ci dimentichiamo che Bowie avrebbe 76 anni e i suoi coetanei lo amavano allora e lo amano ancora oggi. I giovani lo amano, anche mia figlia e non solo perché lo amo io. Dopo la sua morte, si sono accorti tutti che è un classico, un grandissimo compositore. Andando via l’immagine terrena, che poi era quella che lui ha usato mille volte, in mille maschere, è rimasta la musica. E la musica parla ancora oggi ed è altamente emozionale. Absolute Beginners prima non mi piaceva, adesso sì, il testo è bello ed è il pezzo più applaudito di tutto lo spettacolo. Poi c’è Mary Lou, un personaggio importantissimo nel testo ma non compare mai. Ne ho parlato molto con Enda Walsh, è una zona delicata per noi, soprattutto per il pubblico italiano. Come renderlo importante è legato ad alcune canzoni e all’invenzione registica. In Italia nessuno conosce la canzone originale Hello Mary Lou (Goodbye Heart) (di Ricky Nelson, già colonna sonora del film L’uomo che cade sulla Terra, ndr). Per me, è stato necessario farlo diventare un personaggio vero e proprio. C’è un’attrice che lo interpreta, in video. L’unica canzone che ho spostato è When I Met You perché era in fondo, dopo che viene uccisa La Ragazza. Enda Walsh è abituato, anche Disco Pigs e soprattutto Bedbound sono stati rivoltati e trasformati (ma dopo aver visto la mia regia di Bedbound, per esempio, ha cambiato la sua regia a Edimburgo!). L’unico grande spostamento, comunque, riguarda questa canzone: dopo l’uccisione rituale, sentivo fosse necessario andare al punto, andare verso Heroes. Michael C. Hall si sbatteva da una parte all’altra, cercando di dare un senso a quella canzone che però non veniva fuori. È una questione di drammaturgia, non cambia la sostanza.

Bowie è sempre stato attento al movimento, sin dai suoi primi spettacoli (Pierrot in Turquoise, Baal e lo Ziggy Stardust Tour, coreografato dal suo Maestro Lindsay Kemp). Newton, nella produzione originaria, non danza propriamente ma si muove al limite del nevrotico e dello sfinimento, su e giù per il palco. Come ha affrontato la gestualità? 

Lazarus è un intreccio di arti. Nello spettacolo c’è una danzatrice, Michela Lucenti. Abbiamo collaborato a un progetto su Nietzsche (Nietzsche Ecce Homo, ndr), in cui interpretava molteplici personaggi. Abbiamo fatto cose anche molto sperimentali, poi Disco Pigs. E siamo tornati a lavorare insieme su Walsh. Ha coreografato lo spettacolo insieme a Marco Angelilli. La danza di Michela è una danza molto narrativa. C’è tanto movimento intorno a Newton. Enda Walsh la definisce una mente esplosa – mi sembra l’abbia dichiarato anche a te in quella bella intervista contenuta nel tuo libro (fa riferimento all’intervista a Enda Walsh in Lazarus. Il senso di Bowie per il teatro – Arcana, ndr). Tutto ciò che ha intorno si muove freneticamente. Mi serviva un centro: Newton. Il muoversi compulsivamente di Michael C. Hall/Newton distraeva. Per me era più giusto che esplodesse tutto ciò che aveva intorno. Ho insistito sull’uomo devastato che però, in alcuni momenti, è pieno di energia. Quando canta, quando la sua mente canta, il corpo lo segue. Bowie avrebbe voluto comporre tante altre musiche per lo spettacolo, mi ha raccontato Walsh, ma non ne ha avuto il tempo. Le quattro canzoni – compresa Lazarus – contengono un materiale sonoro piuttosto oscuro, forte, tormentato, misterioso (i brani cui si fa riferimento sono Lazarus, No Plan, Killing a Little Time e When I Met You, composte proprio per lo spettacolo, ndr). Ho seguito questa scia per gli arrangiamenti: mi hanno aiutato G.U.P. Alcaro e il coro con Bruno De Franceschi, insieme a tutti i grandi musicisti. Abbiamo scelto questa chiave più scura, più fonda, partendo proprio dall’ultimo periodo musicale di Bowie ma anche dalle quattro canzoni scritte appositamente per questo lavoro. La musica mi ha guidato, insieme agli spazi mentali. La grande difficoltà, anche per chi legge il testo, è orientarsi in una dicotomia di spazi: quella dello spazio della mente di Newton, la sua casa, le case altrui, quello che vede e quello che gli appare alla televisione… C’è tutto il mondo che ha lasciato. Ho cercato di insistere sul fatto che, sì, è un migrante interstellare, ma potrebbe anche non esserlo. È così anche nel testo, non si capisce fino in fondo se sia davvero alieno. Per Bowie poi l’alieno ha un significato più ampio. Nel libretto teatrale ha fatto inserire una poesia (The New Colossus, di Emma Lazarus, ndr): un inno all’accoglienza dei migranti che sta alla base della Statua della Libertà. Abbiamo saputo dopo, da Chunningam (Michael Chunningam, scrittore statunitense e premio Pulitzer per la narrativa che indaga il personaggio di Lazzaro, ndr) che doveva essere uno dei personaggi di questa prima stesura del testo. Anche Enda Walsh mi ha detto che continuava a parlargli di Emma Lazarus, tant’è che è stata inserita nella acting edition, in fondo. Un piccolo indizio, curiosissimo. Avrei voluto si recitassero quei versi nel mio spettacolo, poi il suo personaggio è stato assorbito sostanzialmente dal coro, usando le parole di Walsh e Bowie e nient’altro. Quel personaggio si è trasmutato nelle tre ragazze teenager del coro (interpretate da Noemi Grasso, Maria Lombardo, Giulia Mazzarino, ndr).

Foto © Fabio Lovino

Come si inserisce, dunque, Lazarus all’interno della produzione artistica di Valter Malosti?

Volevo mettere in scena Lazarus, da subito. Ci ho lavorato per sette anni. Chi conosce il mio lavoro vede in Lazarus un mio spettacolo.Non era facile perché la componente delle canzoni è ampia e maggioritaria rispetto al resto. È stata dura, anche perché la prima volta che mi sono interessato a questo testo avevo solo la mia compagnia indipendente… poi ho vinto un bando al Teatro Piemonte Europa, poi a Emilia Romagna Teatro. Forse sarei arrivato lo stesso a Lazarus, ma non l’avrei fatto sicuramente con questa libertà… 

Forse perché in Italia il teatro è molto settoriale. Si storce ancora un po’ il naso verso  spettacoli che hanno al loro interno la danza, in cui c’è una commistione di generi. Insomma, il musical è considerato prodotto confezionato…

Sì, è assurdo. Poi basta guardare le opere di Bob Wilson, quelle degli anni ’70, bellissime. Che cosa erano, opere liriche? Danza? Teatro d’avanguardia? Chi lo sa. Erano opere magnifiche, basta. Oppure brutte, dipende dalle circostanze. Billy Elliot – che ho visto tante volte a Londra con attori straordinari e che forse arriverà anche qui – ha la regia di Stephen Daldry, lo stesso che poi ha fatto il film. Solo che il film è un miracolo e lo spettacolo, commerciale, perché è un musical. È bellissimo anche Matilda, per ragazzi. C’è un modo diverso di intendere il teatro. È arte e si può fare bene o male, a prescindere. In Italia siamo molto indietro. Solo da pochissimo ci consentono di co-produrre la danza e la musica ma in piccola percentuale. Sembra qualcosa di punitivo. E i settori, ognuno sta per conto proprio. Raramente vedo miei colleghi andare a uno spettacolo di danza o ad ascoltare della musica. È più comune andare a vedere arte visiva, ma quella contemporanea già un po’ meno. Dovremmo svegliarci: tutto il mondo sta da un’altra parte. Anche a causa delle leggi che non ci permettono di essere flessibili. La prima cosa che ho fatto quando ho cominciato a dirigere ERT – dal maggio del ’21 – è stata chiamare Michela Lucenti per creare anche un percorso con quella che chiamiamo “drammaturgia fisica”: include la danza, certamente, ma anche tutte le espressioni, le creazioni che partono dal corpo. Questo Lazarus pesterà un po’ di piedi… usiamo anche la videoarte. Nei miei spettacoli, ma in generale in Europa, ci sono tante drammaturgie parallele (e anche una drammaturgia del suono) che scorrono dentro lo spettacolo, non ce n’è solo una. E non siamo abituati – il pubblico e molti addetti ai lavori – a recepirlo.

Come sintetizzare – se possibile – Lazarus

La bellezza è nel mistero, nel fatto che il senso di Lazarus sia molteplice. Come la mente umana, c’è tutto dentro. Mi pare che anche tu abbia scritto a proposito del titolo dell’opera (riferimento a Lazarus. Il senso di Bowie per il teatro: si parla della scritta LAZARUS stampata sulla copertina dell’album che raccoglie i brani dello spettacolo incisi dal cast newyorkese: appare visivamente separata, il nome è suddiviso. LAZAR US. LAZAR è piena, colorata di bianco; US ha solo il contorno, ndr). È molto interessante: c’è un ulteriore senso. Poi c’è il risveglio, la nuova vita, la morte, dopo una morte non riuscita, per poi abbandonarsi alla morte davvero. La straordinarietà di questo testo di teatro musicale e letterario è che comunica una grandissima energia. Pur parlando di temi così scuri, profondi, perturbanti, alla fine il pubblico viene inondato da una vitalità straordinaria. È un po’ quello che ha fatto David Bowie nel suo ultimo percorso, come la sua soglia tra la vita e la morte. Invece di chiudersi in sé stesso, ha avuto questo incredibile ritorno di eccellenza e creatività. L’energia che sprigiona con questo spettacolo è dionisiaca. Dioniso viene definito da Euripide un dio dolcissimo e terribile insieme. Bowie è così, contiene tanti significati insieme. Mi colpisce molto anche la questione della memoria: lui ha conservato tutto. Ha archiviato tutto ciò che ha fatto, come un grande artista visivo contemporaneo. David Bowie sapeva quello che stava facendo mentre lo faceva, era molto cosciente del suo percorso. In un’intervista rivelava che il suo sogno fin da ragazzo era quello di concepire un lavoro di teatro musicale, per andare a Broadway. Infatti all’inizio, negli spettacoli di Kemp, cantava le sue canzoni. In Moonage Daydream (film documentario del 2022 scritto, diretto e prodotto da Brett Morgen, ndr) si vede lui mentre danza: ha una comunicazione che arriva anche attraverso il corpo, che è magnifica.

Manuel Agnelli // Foto © Fabio Lovino

LAZARUS

di DAVID BOWIE e ENDA WALSH
ispirato a The Man Who Fell to Earth (L’uomo che cadde sulla terra) di Walter Tevis
versione italiana Valter Malosti

uno spettacolo di VALTER MALOSTI

con MANUEL AGNELLI, CASADILEGO, MICHELA LUCENTI, DARIO BATTAGLIA
e (in o.a.) Attilio Caffarena, Maurizio Camilli, Noemi Grasso, Maria Lombardo, Giulia Mazzarino, Camilla Nigro, Isacco Venturini

la band (in o.a.)
Laura Agnusdei sax tenore e sax baritonoJacopo Battaglia batteria, Ramon Moro tromba e flicorno,

Amedeo Perri tastiere e synth, Giacomo “ROST” Rossetti basso
Stefano Pilia chitarra, Paolo Spaccamonti chitarra

progetto sonoro GUP Alcaro 

scene Nicolas Bovey 

costumi Gianluca Sbicca 

luci Cesare Accetta 

video Luca Brinchi e Daniele Spanò 

cura del movimento Marco Angelilli 

coreografie Michela Lucenti 

cori e pratiche della voce Bruno De Franceschi 

maestro collaboratore Andrea Cauduro 

assistenti alla regia Jacopo Squizzato, Letizia Bosi

in video Roberta Lanave 

direttore tecnico Massimo Gianaroli

direttore di scena Lorenzo Martinelli / Stefano Orsini

macchinista Riccardo Betti

fonici Angelo Longo, Nicola Sannino, Giacomo Venturi

datore luci Umberto Camponeschi

sarta Eleonora Terzi

trucco e parrucco Nicole Tomaini

foto di scena Fabio Lovino

produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale,
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale,
Teatro di Roma – Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura

per le repliche di Cesena in collaborazione produttiva con Balletto Civile

per le repliche di Modena in collaborazione produttiva con Fondazione Teatro Comunale di Modena

un particolare ringraziamento a TPE – Teatro Piemonte Europa

in accordo con Robert Fox and Jones/Tintoretto Entertainment e New York Theatre Workshopper gentile concessione di Lazarus Musical Limitedin accordo con Arcadia & Ricono Srl

Lazarus ha debuttato per la prima volta Off-Broadway al New York Theatre Workshop il 7 dicembre 2015

Tournée 2023:

Teatro Bonci, Cesena – dal 22 al 26 marzo

Teatro Storchi, Modena – dal 29 marzo al 2 aprile

Teatro Argentina, Roma – dal 12 al 23 aprile (biglietti acquistabili qui)

Teatro Arena del Sole, Bologna – dal 26 al 30 aprile

Teatro Mercadante, Napoli – dal 3 al 14 maggio

LAC Lugano Arte e Cultura, Lugano – dal 18 al 20 maggio

Piccolo Teatro Strehler, Milano – dal 23 al 28 maggio

Teatro Comunale, Ferrara – dall’1 al 3 giugno

Teatro Carignano, Torino – dal 6 al 18 giugno

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