Ultimamente sembra essere periodo di grazie; dopo quella concessa a Patrick Zaki dal presidente egiziano, ecco arrivare quella ad Aung San Suu Kyi. Tutto è bene quel che finisce bene. Giusto? Pare proprio di no, invece.

Come saggiamente dice il modo di dire “non tutto ciò che luccica è oro”, non tutte le grazie sono uguali; nel caso specifico della leader birmana, nonché premio Nobel per la pace, la sua grazia è parziale. E cosa vuol dire? Delle 19 condanne a suo carico, solo 5 sono state graziate. Ed ancora non è chiaro, se questa grazia parziale possa condurre ad un suo rilascio.

Il motivo per il quale è stata concessa la grazia parziale ad Aung San Suu Kyi? Le feste buddiste; in Birmania viene spesso concessa l’amnistia a moltissimi prigionieri in segno di commemorazione delle feste religiose.

Ma, perché la leader birmana è stata incarcerata? Per rispondere, bisogna fare un passo indietro e riportare la lancetta del tempo al 2021, al momento in cui è stata fatta prigioniera. Aung San Suu Kyi, sempre in prima fila nella lotta contro la politica militare in Myanmar, eletta nel 2015 (le prime elezioni libere dopo il colpo di Stato del 1962) venne poi destituita con un colpo di Stato nel 2021, appunto, con l’accusa di corruzione, non rispetto delle restrizioni anti-Covid e possesso illegale di walki-talkie. A tutto ciò va anche aggiunta la dura critica nei suoi confronti per la gestione delle minoranze, soprattutto quella di etnia musulmana Rohingya.

Inizialmente, le varie accuse hanno portato ad una pena di 33 anni di reclusione, che fortunatamente sono andate a ridursi. Fino ad arrivare alla grazia parziale.

Quindi quando ci si lamenta magari per una multa, bisogna ricordarsi che nel mondo esistono ancora (purtroppo) alcuni paesi che si trovano sotto un regime dittatoriale ed illiberale.

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