Brrr! Che paura la Trap!
Un libro appena uscito ci aiuta a entrare nelle ragioni di uno dei generi musicali più amati dai giovani. "Io, Giulio, la Trap e la Drill"

Un libro appena uscito ci aiuta a entrare nelle ragioni di uno dei generi musicali più amati dai giovani. "Io, Giulio, la Trap e la Drill"
Negli ultimi tempi, la scena musicale italiana è stata scossa da accese polemiche riguardanti la partecipazione di Tony Effe al concerto di Capodanno al Circo Massimo di Roma. Il trapper romano, noto per i suoi testi trap espliciti e spesso accusati di misoginia, è stato inizialmente invitato all’evento, ma successivamente escluso a causa delle critiche sollevate da esponenti politici e associazioni femministe. Queste ultime hanno definito i suoi brani come violenti e sessisti, ritenendo la sua presenza un’insopportabile offesa a tutte le donne che subiscono violenza e alle vittime di femminicidio.
Il sindaco Gualtieri e il suo staff si sono trovati nell’imbarazzo di riorganizzare completamente il concerto in seguito alla defezione di altri artisti che avrebbero dovuto esibirsi, tra cui Mahmood e Mara Sattei che hanno deciso di ritirarsi ipotizzando una censura nei confronti di Tony Effe.
La decisione del Comune di Roma di escludere Tony Effe ha, infatti, suscitato un dibattito acceso sull’opportunità di censurare un artista per i contenuti delle sue canzoni. Mentre alcuni sostengono che sia necessario prendere posizione contro testi che promuovono stereotipi di genere e comportamenti violenti, altri ritengono che la musica debba essere libera espressione e che la censura possa rappresentare un pericoloso precedente.
Questa controversia mette in luce una frattura generazionale evidente. Molti giovani vedono nella trap una forma di ribellione e autenticità, un modo per esprimere disagi e realtà spesso taciute. Al contrario, le generazioni più mature tendono a percepire questi testi come una minaccia ai valori sociali consolidati, esprimendo sgomento e preoccupazione per l’influenza che possono avere sui più giovani.
La musica trap, con i suoi ritmi incalzanti e testi provocatori, è diventata un fenomeno culturale che divide l’opinione pubblica. Da un lato, rappresenta una voce per le nuove generazioni; dall’altro, solleva interrogativi su temi come la misoginia e la violenza. In questo contesto, il dialogo intergenerazionale diventa fondamentale per comprendere le diverse prospettive e trovare un equilibrio tra libertà artistica e responsabilità sociale.
In un’epoca in cui le distanze tra le generazioni sembrano aumentare, è essenziale creare spazi di confronto e comprensione reciproca. Solo attraverso il dialogo possiamo sperare di colmare il divario e costruire una società più inclusiva e consapevole delle diverse sensibilità culturali.
Io ho cominciato ad incuriosirmi al tema quando, a giugno, i miei figli (12, 10 e 10 anni) hanno voluto andare al concerto di Radio Zeta dove si sono esibiti tutti i principali artisti del panorama italiano mainstream, tra cui Tony Effe che, appena entrato, ha esordito con la hit “Miu Miu” e mia figlia Artemisia giù a cantare:
“Miu Miu, Courchevel
Tony, comprami la borsa
Portami a ballare con te
Estate a Saint-Tropez
Voglio andare su uno yacht
E fumare prima di farlo a tre”
E a seguire Tony ha proseguito con:
E’ scattata subito spontanea da me la predica a mia figlia per farle capire la oggettificazione della donna, di quanto fosse volgare e inappropriato parlare di una donna come una bambola a cui rifare le tette.
Ma alla fine non credo il fenomeno possa essere liquidato solo come una becerata o una trashata. Va capito meglio cosa ci sia dietro e se siamo noi a non capire qualche aspetto retrostante.
Per favore oggi viene in nostro aiuto un libro: Io, Giulio, la Trap e la Drill. Un viaggio complicato per capirci qualcosa, scritto e pubblicato da Claudio Lucidi insieme al figlio Giulio, che hanno voluto prendersi del tempo per dialogare a partire dalla musica preferita di Giulio e dalla iniziale curiosità del papà verso linguaggi, modi e stili che a un adulto possono apparire poco ortodossi.
Ho voluto ascoltare Claudio e Giulio insieme per capire anche io qualcosa di più dello scenario della Trap.
Iniziamo dal papà, Claudio.
Benvenuto Claudio. Come è nata, da boomer, l’idea di esplorare il mondo della trap e della drill insieme a Giulio?
“Un po’ per gioco e un po’ per curiosità. La scelta di un tema così particolare, nasce dall’esigenza di andare oltre le reazioni che istintivamente può provocare un genere musicale così lontano da gusti personali consolidati. Inoltre, penso che la riflessione che possa fare un adulto, quando migliaia di adolescenti seguono e si identificano con determinati generi musicali, quando tanti ragazzi e ragazze affollano i concerti trap, dovrebbe essere quella di immedesimarsi un po’ in questo mondo che in realtà è molto più variegato di quanto si pensi. Insomma… se vuoi capire qualcosa di quello che fanno e pensano i giovani, devi capirne il linguaggio, frequentare i luoghi dove si riuniscono, entrare nel mondo dei desideri, delle ambizioni e delle sofferenze. E la musica Trap e Drill, in qualche modo, ci parlano proprio di questo. L’analisi dei testi musicali mi ha restituito uno spaccato di società caratterizzato da una voglia di protagonismo da parte delle nuove generazioni. Ho riscontrato vivacità e fermento culturale, testimoniato da testi che non sono per nulla “scontati”, anzi! Pur in una sorta di visione negativa della società, emergono riferimenti sociali che hanno molto a che vedere con la quotidianità della società italiana”.
Cosa hai capito in questo viaggio?
“Intanto ho capito che la Trap e il sottogenere Drill, è qualcosa di molto più complesso rispetto a quello che ci viene rappresentato dalle polemiche, che ciclicamente riempiono i notiziari e i social, in occasione di questo o quel concerto, di questa o quella apparizione televisiva. Un tratto comune ai vari testi è il bisogno di autoaffermazione che viene declinato, a volte, nell’accesso ai beni di consumo, a volte nel successo musicale. In sostanza sembrerebbe che il riscatto sociale passi attraverso la quantità di beni materiali (ovviamente di moda) a cui si può accedere, oppure, attraverso il successo musicale, come modalità per emergere dalle situazioni di disagio che spesso si vivono nelle periferie delle grandi città. Infatti, ci sono molti testi che narrano di sofferenze esistenziali, fortemente condizionati dai rapporti tra i sessi, di violenze famigliari, di abbandoni, ovvero che raccontano di difficoltà quotidiane, dovute alla mancanza o allo sfruttamento del lavoro, all’inesistenza di luoghi di aggregazione sociale, alla ghettizzazione di gruppi giovanili”.
Cosa c’è dietro l’apparenza dei testi “divisivi”, che a chi è fuori da quel mondo suonano come a volte misogini, omofobi, spacconi?
“Se l’esaltazione del successo personale, attraverso l’accesso ai beni di lusso, rappresenta, per un verso, il trofeo da esibire orgogliosamente, nei testi e nei video, a dimostrazione dell’affermazione individuale, per altri autori è considerato un mezzo, non un fine, per facilitare i rapporti con l’altro sesso, quasi a consolidare la mancanza di un modo diverso di approcciarsi al tema delle relazioni interpersonali. E questa è una caratteristica che accomuna tanto i testi delle trapper che dei trapper. In questo contesto, quindi, e volendo soffermarsi solo sui testi di autori maschili, quello che predomina è la rappresentazione di una quotidianità in cui il desiderio di possesso e di dominio, sul genere femminile, è spesso narrato attraverso l’uso di un linguaggio duro, al limite dell’offesa. Tuttavia tante ragazze seguono questo genere di autori musicali, condividendone e promuovendone il successo. Ma allora è davvero così? Veramente determinati testi vengono recepiti in modo offensivo dal pubblico femminile? Oppure si tratta di “parole al vento” che non scalfiscono più di tanto le coscienze e le sensibilità delle adolescenti? Nel tentativo di individuare una chiave di lettura che potesse confortarmi nel trovare una risposta plausibile a domande molto complesse, ho analizzato i testi delle trapper, per vedere in che modo e in cosa si differenziano i messaggi rispetto a quelli maschili. Una lettura più o meno attenta dei brani, e la visione di videoclip, restituisce, pure ad un ascoltatore profano come me, uno spaccato sociale caratterizzato da una forte spinta al successo personale, conquistato senza dover scendere a compromessi di vario tipo e in special modo a compromessi che coinvolgessero l’uso del proprio corpo. Per il resto, abbastanza comune è l’uso di parole forti e dure che però vengono declinate per sottolineare una sorta di empowering personale finalizzato, da una parte, a rivendicare una identità femminile che rompe con gli stereotipi di genere, dimostrando che le donne possono essere forti, indipendenti e sicure di sé anche in un ambiente dominato tradizionalmente dagli uomini, e dall’altra ad affermare la libertà di espressione, cantata ed esibita, per affrontare temi come il sesso, il denaro, il potere e la ribellione, rivendicando la possibilità di parlare apertamente di argomenti che, in passato, erano più associati agli uomini. Sono testi interessanti, fortemente stimolanti. E il pubblico che segue le trapper è lo stesso che affolla i concerti dei trapper e popola le classifiche streaming delle piattaforme digitali. Quindi, forse non è proprio così peregrino affermare che ci troviamo di fronte ad una generazione dove argomenti legati alla sessualità non rappresentano un mistero; ad una generazione che vuole emergere e che è in grado di distinguere tra una canzone e la realtà quotidiana. Insomma, una generazione che è più matura di quanto si pensi e che, conseguentemente, è in grado di relativizzare i messaggi veicolati da alcuni testi trap”.
In che modo questo progetto ha influenzato il rapporto tra te e Giulio? Avete scoperto nuovi aspetti l’uno dell’altro?
“In realtà ha rafforzato un’intesa preesistente che a sua volta ha rappresentato il presupposto che mi/ci ha consentito di entrare in relazione su argomenti che difficilmente formano oggetto di discussione e approfondimento in un rapporto tra genitore e figlio. Tuttavia ha fatto anche emergere aspetti più intimi afferenti al vissuto sia mio che suo, fatto di affetti ma anche di contraddizioni, incomprensioni, debolezze e desideri reciproci, mai esternati prima d’ora ma che ora formano oggetto di discussione libera e tranquilla. Non meno importante è stata la relazione che si è creata con gli stessi amici di Giulio e in modo particolare con Momo (soprannome di Mohamed Mansour) che voglio ringraziare soprattutto per la ventata di allegria e leggerezza che ha saputo trasmettere durante le ore passate a cercare e scrivere e che ha reso tutto più semplice”.
Quali pregiudizi o stereotipi sulla trap hai dovuto superare durante la stesura del libro?
A me la musica è sempre piaciuta, in tutte le sue forme espressive. Tuttavia l’uso dell’auto tune, con effetti vocali distorti o tonalità vocali alterate, insieme ad una rappresentazione trash dei testi cantati, un certo fastidio un po’ me lo ha creato quando, obtorto collo, ho dovuto subire la proposizione di questa musica. Beat drill lenti, suoni di hi-hat veloci, bassi profondi e melodie minimaliste insieme ad una atmosfera oscura e tesa, non è proprio quello che corrisponde ai miei gusti musicali. Ciò nonostante, anche in questo caso, ho potuto appurare che si tratta di allenamento all’ascolto, e non nascondo che alcuni brani mi appassionano e li ascolto molto volentieri.
Che messaggio vorresti trasmettere ai genitori della tua generazione riguardo all’importanza di comprendere le passioni dei propri figli?
Rispondo riportando il parere della dott.ssa Marinella Maggiori ad una domanda circa gli effetti negativi della musica trap: “forse, la musica trap viene utilizzata come capro espiatorio in funzione apotropaica: è più facile trovare un colpevole, piuttosto che realizzare e accettare la complessità della realtà e della società in cui viviamo. Cambiare prospettiva quindi è la soluzione più auspicabile. Anziché vedere un nemico nei testi delle canzoni e arrendersi all’idea che i giovani non siano in grado di distinguere tra realtà e arte, è più sensato lavorare per allenare e sviluppare il senso critico degli adolescenti. Per aiutarli a leggere tra le righe, a crearsi dei valori e dei principi solidi”,
E aggiungo anche questo articolo di Cristiana Mariani sul “Giorno” di un po’ di tempo fa: “Ci sono due modi per vedere il fenomeno dei trappers: cercare di capirlo spogliandosi delle sovrastrutture che tutti noi boomer o quasi boomer abbiamo come pregiudizi nei confronti di questa musica e di questo sistema di valori o tenerci addosso la corazza e bollare questo mondo come superficiale, vuoto e criminale. Il secondo modo è certamente più comodo per “tenere il diverso fuori dalla porta”, ma se si vuole davvero cercare di capire questo fenomeno che inevitabilmente fa parte della società italiana di oggi è necessario “sporcarsi le mani”.
E ora sentiamo la voce delle nuove generazioni.
Buongiorno anche a te, Giulio. Come hai vissuto l’esperienza di introdurre tuo padre nel mondo della trap e della drill?
È stato interessante e a volte anche divertente. Mio padre, come molte persone della sua generazione, non conosceva molto di questo mondo. All’inizio sembrava molto distante dalle sue esperienze e dai suoi gusti musicali, ma con il tempo abbiamo trovato un terreno comune di comprensione. È stato un modo per sfidare le sue convinzioni e per me è stato un modo di spiegare come questi generi riflettano la realtà di chi li vive, che spesso è ben diversa da quella che si percepisce da fuori.
Quali artisti o brani hai scelto di condividere con tuo padre per aiutarlo a comprendere meglio questo genere musicale?
Ho cercato di mostrargli brani che rappresentano diversi aspetti della trap e della drill, dal punto di vista lirico e sonoro. Gli ho fatto ascoltare alcune canzoni di Tedua, come altri trapper. Ho cercato di mostrargli come la musica non sia solo ‘parolacce’ o provocazioni, ma anche storie, emozioni e riflessioni sulla realtà.
Come pensi che la trap rifletta le sfide e le aspirazioni della tua generazione?
La trap, per molti della mia generazione, è una forma di espressione che nasce da una realtà difficile, ma anche da una voglia di riscattarsi. Non si tratta solo di soldi o auto lucide, ma anche di parlare di disagio sociale, di periferie, di una lotta per emergere. È un grido di chi si sente invisibile, che vuole farsi sentire e trovare un posto nel mondo. La trap è il modo in cui alcuni ragazzi raccontano la loro quotidianità, con tutte le contraddizioni e le difficoltà che essa comporta.
Non pensi che alcuni testi dei trapper possano contribuire a diffondere alcuni stereotipi? La donna come “proprietà” dell’uomo, il machismo, ecc? Cosa sfugge a noi boomer?
Sicuramente, ci sono dei testi che possono essere problematici, che rinforzano stereotipi e visioni distorte della donna o della società. Ma spesso si tratta di una lettura superficiale. Dietro quelle parole, a volte, ci sono anche riflessioni critiche sulla società stessa, sull’oggettivazione o sulle relazioni di potere. La generazione più anziana tende a fermarsi ai testi, ma molte volte non considerano che in questo genere ci sono anche voci che vogliono sfidare quegli stessi stereotipi. La trap non è monolitica, è molto più complessa di quanto sembri.
Cosa hai imparato da questa collaborazione intergenerazionale e come pensi che possa influenzare la tua visione del futuro?
Ho imparato che a volte bisogna prendersi il tempo di spiegare e di ascoltare, senza fermarsi alle apparenze. L’interazione con mio padre mi ha fatto capire quanto sia importante non avere pregiudizi, perché a volte ciò che ci sembra negativo o incomprensibile è solo una manifestazione di qualcosa di più profondo. Questo progetto mi ha insegnato anche quanto le generazioni possano imparare l’una dall’altra, e mi ha dato una nuova prospettiva su come i vecchi e i giovani possano dialogare e crescere insieme, superando le divisioni culturali.