In un mio recente articolo ho sostenuto che i Pink Floyd non sono un gruppo prog. Approfondiamo il discorso anche per rispondere ad alcuni commenti ricevuti.

Ovviamente non intendo dare giudizi di valore (il prog è meglio dei Floyd, i Floyd sono meglio del prog), nè (come ho peraltro scritto) pretendere all’assolutezza. Penso di essere nella posizione adatta a dare un giudizio che mi pare di merito perché (1) mi piacciono i Floyd, (2) mi piace il prog e quindi non avrei nessun problema a farli rientrare in questa categoria se le mie orecchie me lo permettessero.

I Pink Floyd sono… i Pink Floyd

Il commento più frequente che ho ricevuto è che i Pink Floyd sono…i Pink Floyd! Devo dire che condivido in pieno, nel senso che sono assolutamente convinto che ciò che hanno fatto (in tutte le fasi diverse della loro carriera) è unico. Ma questa non è un’obiezione perché io ho reagito ad una definizione: i Pink Floyd sono un gruppo prog. Quindi dire i Pink Floyd sono i Pink Floyd mi va bene se esclude che, essendo unici, possano essere un gruppo prog. Altrimenti quella definizione diventa una tautologia, cioè è vuota, e non ci aiuta a risolvere il problema del rapporto tra Pink Floyd e prog.

Il problema è proprio definire la categoria di prog. Ho già detto che è più un campo che non una categoria e si potrebbe, certo stiracchiando molto il concetto, farci rientrare anche i Pink Floyd ma allora, secondo me, perderebbe totalmente di senso.

Il criterio di definizione deve essere storico, come qualcuno ha giustamente sostenuto, ma deve essere anche tecnico-compositivo, cioè musicale in senso stretto, altrimenti anche qui saremmo costretti a definire prog tutti i gruppi che hanno calcato certe scene o pubblicato per certe etichette o gravitato in certi ambienti (riviste, fanzine ecc.) e questo sarebbe, di nuovo, un criterio meramente empirico che non garantirebbe alcun senso alla categoria di prog.

Non capisco perché si abbia problemi col concetto di art rock che, a differenza di molti altri concetti appiccicati a posteriori, era intrinseco all’operare di molti gruppi e artisti dell’epoca, di tutti quelli che decisero di smettere di fare canzoni perché concepivano ormai la loro musica come arte (e vale la pena di ricordare che gran parte dell’aristocrazia rock inglese ha frequentato l’art college): facevano così esplicito riferimento alla musica colta e all’avanguardia cercando di trasportarne alcune procedure nel loro modo di comporre.

McCartney ascoltava Stockhausen quando i Beatles registrarono Pepper (che appunto non avrebbe senso, come solitamente si fa, etichettare come disco psichedelico, perché è appunto un disco art rock, come fu il doppio bianco). Non cito Zappa perché è caso a sé ma rientra in questa tendenza. Jimmy Page che nel bel mezzo di una canzone si mette a grattare le corde con l’archetto per dieci muniti non ha ormai niente di psichedelico e ha invece un significato fortemente gestuale.

David Bowie citava esplicitamente i cut up e Borroughs come ispirazione per i testi ecc. ecc. I Pink Floyd di Waters possono essere benissimo compresi dentro questa dinamica storica. A conferma di ciò il lettore può ascoltare la nuova versione di Dark Side Of The Moon lanciata da Roger Waters il 6 ottobre 2023: un’operazione eminentemente concettuale che va a ripensare un’opera a sua volta concettuale. Metterli nel calderone progressive significa, appunto, o identificare art rock e prog o addirittura far collassare tutto (art rock, prog e psichedelia) nello stesso calderone.

Bisogna capirsi quando si discute di cosa sia la complessità: organizzare il materiale in un concept album non è un criterio sufficiente altrimenti anche Tommy sarebbe un disco prog. Bisogna quindi situare storicamente il problema della complessità. Infatti talvolta si intende progressive come musica che rompe il linguaggio della forma-canzone per farla progredire verso altro… e allora dentro ci sta qualsiasi cosa.

Intendiamoci, se uno vuole farlo nessun problema. Ma perché identificare a forza fenomeni che hanno radici e strutture compositive completamente diverse? Io ho proposto un criterio storico-compositivo di distinzione che mi pare regga e che ha il pregio di distinguere cose che altrimenti verrebbero, al mio orecchio, forzatamente omogeneizzate.

L’amico Claudio Carosi mi obietta che sarebbe sleale paragonare i Floyd agli Yes prendendo questi ultimi come canone del prog. Ma il problema è che i gruppi più o meno canonici del prog ELP, Genesis, Yes, King Crimson, Gentle Giant (ovviamente nella loro fase classica fino alla rottura punk e anni 80 esclusi) hanno fra di loro delle somiglianze di famiglia, per dirla con Wittgenstein, che sono innegabili e che li rendono, nonostante le profondissime differenze, incredibilmente simili nella ricerca compositiva e totalmente estranei alla ricerca di essenzialità dei Pink Floyd. Per questo non penso si possa dire che i Floyd sono stati anche un gruppo prog. Quel modo di pensare la musica non ce l’hanno mai avuto.

L’ho detto perché: senza una complicazione talvolta anche molto cerebrale delle micro e macro-strutture a livello armonico-melodico e ritmico non si capisce dove stia il proprium del prog. Certo, ognuno complica a modo suo: perfino quando inizia a flirtare con il minimalismo Robert Fripp lo fa in modo da creare una complessità di piani armonici e ritmici (il duetto chitarra-basso di Starless con le sue dissonanze sconvolgenti o perfino l’intreccio di Frame by Frame, ma qui siamo già in una fase post-prog).

Ovvio, ci sono molte vie di fuga dalla forma-canzone: la via di fuga prog lavora ad estendere dall’interno il modo di comporre cercando di sottoporre all’ascoltatore soluzioni che lo sorprendano per audacia anche tecnica. Ora, per dirne una, il tempo dispari più avventuroso dei Pink Floyd è il 7/4 di Money che è portato con una pesantezza estrema, martellato come un calva (ci sono più tempi dispari e portati con più disinvoltura nelle canzoni dei Beatles! Sentite Happiness is a warm gun o Here Comes The Sun…).

A livello di soluzioni armoniche siamo distanti anni luce dalla ricchezza dei passaggi accordali dei pezzi prog e la cosa si estremizza mano a mano che Waters (e il contenuto concettuale della musica) prende il sopravvento: tutti i pezzi scritti da Waters si muovono su giri armonici molto tradizionali (mentre Wright a dire il vero ha composto sequenze di accordi insolite nei primi dischi e Gilmour ha saputo inserire spezie interessanti come il famoso arpeggio di 4 note all’inizio di Shine on you crazy diamond). Sia chiaro: proprio questo contribuisce a definire lo stile classico dei Floyd ma, appunto, li allontana sempre più dallo stile classico del prog.

Progressive, rock sinfonico

Ovviamente si potrebbe tentare di definire quello che ho chiamato progressive con l’etichetta più calzante di rock sinfonico ma solo a patto che lo si intenda nel senso tecnico-compositivo che ho indicato (cioè lavoro sui temi e sulle strutture compositive) non come mero uso di strumentazione classica. Per quello mi pare possa funzionare meglio il concetto di rock barocco che talvolta è stato usato per alcune cose dei primi Jethro Tull o dei Nice (ma non è questo il punto della discussione; a scanso di equivoci: secondo i criteri che ho dato Thick As A Brick dei JT è un disco prog).

Il prog per come l’ho definito io (e che attribuisco alla produzione dei gruppi canonici di cui sopra e a singoli album di altri che hanno transitato per il genere) va compreso come una tendenza ad allargare dall’interno la forma canzone rock lavorando alla complicazione delle macro e micro-strutture ma, attenzione, sempre tenendo quella come punto di riferimento. In altri termini, i gruppi che sfociano nel jazz, o addirittura nel free jazz o nell’avanguardia pura e semplice, come i Magma o gli Area, faccio già fatica a tenerli dentro questo campo, perché mi sembra che il loro discorso necessiti di altri elementi per essere compreso secondo la sua logica compositiva interna. Quando i Crimson improvvisano a manetta non fanno free, lavorano ancora dentro i canoni mentali del rock e si sente.

In effetti mi piacerebbe trovare una definizione (forse il proggometro di Franco Fabbri – l’idea che un pezzo è tanto più prog quanti più cambi di tempo ci sono – va in questa direzione) che sia quanto meno soggettiva possibile, quindi esplicitando dei criteri che possano corrispondere quanto più possibile all’esperienza dell’ascolto (che è inevitabilmente soggettiva ma, vecchia questione, soggettivo non significa per forza casuale e privo di riscontri).

Anche il Kraut (soprattutto nelle cose più kosmisch, già i Faust sono un caso a sé) in effetti fa problema con i criteri che cercavo di stabilire e allora forse re-introdurre l’elemento geografico aiuta: i gruppi che considero canonici del genere (prog/sinfonico nel senso che ho detto) sono tutti di area anglosassone (e questo però aumenterebbe il contrasto con i Floyd).

E’ per altro vero che ci rientrano perfettamente anche moltissimi gruppi italiani (PFM, Banco, Orme, Biglietto per l’inferno, New Trolls Atomic System, Semiramis e via snocciolando) che quindi o sono semplici cloni degli originali inglesi oppure hanno riprodotto un modello musicale specifico cioè quello corrispondente ai due criteri che ho proposto (complessità micro-macro). Il proggometro di Fabbri ne è una versione semplificata.

Per banalizzare al massimo diciamo che la canzone prog canonica per me è Heart of the Sunrise: la struttura per quanto sia chiaramente una derivazione della forma canzone non è più riducibile agli schemi classici della canzone rock ma non è totalmente altro (non è avant, non è jazz, non è impro, è poprio rock!). Se anche diciamo intro-strofa-ritornello-bridge-finale, le melodie appaiono e scompaiono ovunque, gli arrangiamenti si modificano in continuazione, i tempi cambiano costantemente e i passaggi armonici sono molto ricchi e anche qui al di fuori del mestiere rock senza sfociare in altro perché seguono appunto una sottile linea di confine.

La differenza con gli altri generi per me sta qui io questo lo chiamo prog, magari si potrebbe chiamarlo altrimenti, ma le band che ho citato avevano tutte la tendenza a fare questo (ovviamente non sempre, Lucky Man o More Fool me sono semplici pezzi pop) a cercare di stare dentro il rock spingendone al massimo i confini metrici/melodici/di arrangiamento senza romperli. Quando sento gli Amon Düül sento proprio un’altra cosa. Bella, ma che mi dà una pulsazione di base diversa e che impegna il mio ascolto in modo totalmente diverso.

Capisco chi si lamenta di questo tipo di polemiche: si vorrebbe che la musica mettesse tutti a tacere con la sua bellezza. Ma il bello della musica, per parafrasare Finardi, secondo me è anche questo: quando la senti stai zitto ma non smetti di pensare.

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