Monica Vitti ci lasciava un anno fa, il 2 febbraio 2022, dopo una lunga lotta contro la demenza a corpi di Lewy, malattia neurodegenerativa simile al morbo di Alzheimer. Quel giorno era stata la stessa condirettrice di Rewriters, Vera Risi, a ricordarla così.

Sapere che un cervello meraviglioso come il suo si è spento man mano lascia vuoti e sgomenti. Avrebbe potuto continuare a dare molto al cinema e al mondo. Era una donna straordinaria sotto tutti i punti di vista.

Monica Vitti non aveva paura
di mostrarsi fragile

Monica Vitti ha sempre avuto la forza di mostrarsi per quello che era, con tutte le sue fragilità e le qualità, senza mai fingere. Donna intelligentissima, colta, ironica e autoironica, oltre che bellissima, ci ha lasciato tantissime interpretazioni in cui molte persone si ritrovano.

Riusciva a far piangere e ridere insieme, attraverso espressioni e modi di parlare eleganti eppure popolari che la facevano sentire una di noi.

La sua Assunta Patanè ne La Ragazza con la pistola di Mario Monicelli potrebbe essere il racconto di tutte le donne verso la piena consapevolezza.

Assunta, infatti, parte con l’ossessione di diventare la donna di Vincenzo Macaluso perché solo con lui si sente donna, viva e appassionata. Dopo essere stata usata da lui come un oggetto, decide di vendicarsi e durante questo percorso incontra qualcuno che la spinge a maturare.

Assunta si renderà conto che può essere libera e consapevole, che può vivere il sesso con naturalezza, gioia e libertà, senza essere sottomessa a nessun uomo. Lo sguardo sperduto e via via sempre più gioioso di Monica Vitti nell’interpretarla ci fanno vivere accanto a lei, attraverso di lei ogni istante.

E se ci pensiamo era una vera rivoluzione dato che raramente si vedeva il punto di vista delle donne sulla vicenda. Era sempre maschile il punto di vista di chi raccontava una storia.

Monica Vitti donna reale

Monica Vitti rendeva ogni suo personaggio così vero, da farci pensare di averlo già conosciuto da qualche parte. Succedeva anche nelle opere di Michelangelo Antonioni, dove dava voce e corpo all’incomunicabilità della nostra era.

Incomunicabilità oppure estraneità che erano molto lontane da Monica Vitti, per sua stessa ammissione, eppure la sentivamo reale perché lei sapeva essere anche quella donna, vicina, lontana, persa, che tenta un contatto e non lo trova, come spesso capita a molti di noi.

Come non trovarsi nella sua regina de Il mistero di Oberwald di Antonioni, una donna simile fisicamente all’imperatrice Elisabetta D’Austria, la celebre Sissi ma che ricalca, in qualche modo, Maria Antonietta per le bugie dette su di lei.

La sua regina è dolce, gentile e compassionevole, eppure il mondo la vede in maniera orribile per colpa della calunnia. Solo chi la conosce realmente, Sebastian, l’uomo ingaggiato per ucciderla, riesce a svelarne il volto eppure l’estraneità è sempre in agguato. Basta un gesto per cambiare tutto. Come nella vita reale.

In Teresa la ladra di Carlo de Palma la vediamo affrontare la miseria più nera, al punto da essere costretta, insieme ai suoi amici, a dover rubare per mangiare. Il tutto con alle spalle una famiglia pessima, in particolare il padre, uomo manesco e senza un minimo di sensibilità.

Per una serie di vicissitudini ed equivoci, Teresa si ritroverà prima in galera e poi in manicomio, dove subisce altre vessazioni e angherie. La sua paura e la sua angoscia restano dentro e stritolano il cuore pensando a quante persone siano finite in quegli orribili posti che erano i manicomi. Teresa alla fine ne uscirà, devastata nell’anima e nel corpo.

Ancora una volta tutto era reale nell’interpretazione di Monica Vitti. Il suo corpo, le sue mani e i suoi occhi, pieni di dolcezza, stupore e voglia di vivere, malgrado tutto.

Monica Vitti, tra l’altro, fu una delle poche donne a mangiare sullo schermo, con reale gusto e senza che ci fosse un motivo sanitario dietro. Perché come ogni donna normale aveva fame di cibo, di passione e di gioia.

Ecco perché ci manca il suo essere donna.

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