Un tempo la musica dava voce alle rivoluzioni, scuoteva le coscienze e univa generazioni. Oggi, sembra essersi persa nel rumore del mainstream. Ma è davvero scomparsa?

Poiché sono uno scrittore, scrivo in polemica”, diceva Pasolini.

C’è stato un tempo in cui la musica aveva il potere di scuotere le coscienze, di dare voce a chi non ne aveva, di denunciare, provocare e, talvolta, sognare un mondo diverso. Era una musica che non solo intratteneva, ma interrogava. Un filo rosso che attraversava le piazze, i movimenti studenteschi, le idee di libertà. Oggi, quella musica sembra solo un ricordo sbiadito in un panorama musicale sempre più improntato al consumo rapido e all’edonismo.

La musica come specchio della società

Negli anni ’60 e ’70, la canzone di protesta italiana viveva il suo momento di massimo splendore. Era l’epoca in cui Fabrizio De André cantava di emarginati e ingiustizie, Francesco Guccini metteva in versi la rabbia e la delusione di un’intera generazione, e Rino Gaetano, con il suo stile dissacrante, smascherava le ipocrisie del potere. Versi intrisi di ironia e sberleffo, come in Nuntereggae più, che descrivevano il Bel Paese attraverso apparenti nonsense. La musica rifletteva una società in fermento, in lotta per diritti civili, uguaglianza e libertà.

Oggi, invece, viviamo in un’epoca dominata dalla frammentazione e dall’individualismo. Il disincanto ha preso il posto dell’utopia e la disillusione, spesso, si traduce in apatia. Testi più leggeri, spesso autoreferenziali, che parlano di amori fugaci, di serate in discoteca o di una quotidianità disincantata. Ma dov’è finita la rabbia? Dove sono i versi che puntano il dito contro le ingiustizie?

La mancanza di una musica impegnata non è solo un sintomo del panorama musicale, ma anche della società stessa. In un mondo in cui la comunicazione è dominata da social media e contenuti virali, il messaggio deve essere breve, semplice e immediato.

Fatta salva la creatività di alcuni autori contemporanei, tra cui Caparezza e Daniele Silvestri, i grandi festival, le classifiche e le radio preferiscono premiare brani orecchiabili, facili da consumare e, soprattutto, da dimenticare.

La musica in silenzio: è tutto finito?

Dai festival di Sanremo agli show di varietà che presentavano artisti emergenti e consolidati, fino ai programmi d’approfondimento che scavavano nell’anima dei dischi, fino a qualche decennio fa la musica trovava spazio, dignità e diffusione. Ma poi è arrivata l’era dei talent e del disimpegno culturale. La TV generalista, pressata dall’imperativo dell’audience e schiacciata dalla competizione con le piattaforme streaming, ha preferito puntare su contenuti più semplici, immediati e spesso mediocri. In questo scenario, stiamo diventando spettatori distratti, privi di strumenti culturali per valorizzare ciò che conta davvero.

E gli artisti? Se da un lato possiamo accusare il pubblico di apatia, dall’altro dobbiamo chiederci se gli autori abbiano smesso di osare. La storia della musica è costellata di figure che hanno sfidato il sistema, affrontato tabù, rischiato il fallimento per creare qualcosa di autentico e rivoluzionario. Oggi, però, molti sembrano accontentarsi di inseguire mode passeggere, algoritmi di streaming e playlist che garantiscono visibilità immediata ma sacrificano l’arte sull’altare della commerciabilità.

Forse manca il pubblico affamato di rivoluzione, ma manca anche il coraggio di proporla. Forse la comodità ha preso il posto della genialità?

La voce che ancora manca

Manca. Manca una voce dirompente, coraggiosa, indipendente. Una voce che non abbia paura di prendere ciò che c’è di peggio nella nostra realtà e trasformarlo in musica capace di toccare l’anima. Una musica che non solo ci rappresenti, ma che riesca a cambiare il nostro modo di vedere, sentire e vivere il mondo.

La storia ci insegna che la musica non è mai stata solo intrattenimento. Ha scandito le rivoluzioni, unito popoli, ispirato movimenti sociali. Da Bob Dylan ai Pink Floyd, da Nina Simone a John Lennon, i grandi artisti hanno saputo tradurre il malessere di intere generazioni in melodie e parole che sono rimaste scolpite nella memoria collettiva. Hanno offerto rifugio, speranza, ma anche la forza di lottare. Dove sono finite le canzoni che ci sfidano, che ci scuotono? Quelle che non si limitano a raccontarci, ma che ci spronano a essere migliori?

Una voce che non cerchi di compiacere, ma che sia autentica, capace di risvegliare quel senso di appartenenza che ci fa sentire vivi, parte di qualcosa di più grande. La musica ci insegna che, anche nel caos, si può trovare armonia. Che le ferite, se messe in musica, possono diventare bellezza. Ma per questo dobbiamo credere che sia ancora possibile. Perché sì, la musica non solo può cambiare la vita, ma può anche salvarla. E dobbiamo continuare a credere che, anche in mezzo al rumore, sia ancora possibile trovare quella voce rivoluzionaria che ci ricorderà chi siamo e chi possiamo diventare.

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