Chirurgia di riattribuzione di genere: la mia storia e il libro dello psicologo Galiani
Chirurgia di riattribuzione di genere: libera di essere me stessa. Ma per farlo ci vuole forza, come spiega lo psicologo Riccardo Galiani.
Chirurgia di riattribuzione di genere: libera di essere me stessa. Ma per farlo ci vuole forza, come spiega lo psicologo Riccardo Galiani.
Quando sono nata, solamente per il fatto di essere un maschietto, i miei genitori prima e la scuola successivamente, si sono sentiti in dovere di impormi una educazione che mi permettesse di essere da grande un uomo, un marito ed un padre.
Questa struttura sociale conosciuta come eteropatriarcato mi è sempre stata aliena ed incomprensibile. Nella mia situazione si sono trovate tantissime persone che, come me, condividono il fatto di essere trans e non binarie.
Il fiocchetto azzurro mi è sempre stato scomodo, non mi sono mai sentita un maschietto; e sentirmi dire che non potevo giocare con le bambole o dedicarmi ad attività che all’epoca definivano da femmina mi faceva soffrire terribilmente.
Non esistono né giochi né lavori che appartengono in modo specifico ad un genere.
Mi sono sentita una mosca bianca per così tanto tempo che una volta giunta alla consapevolezza di intraprendere il mio percorso di transizione ho trovato improvvisamente una serenità che non avevo mai conosciuto prima di allora.
Come ho detto nel mio articolo precedente, la chirurgia di riattribuzione di genere è una procedura chirurgica di trasformazione del proprio corpo che in me era diventata una necessità.
Cercavo di non pensarci troppo e dopo qualche momento di sconforto è finalmente arrivata la chiamata e mi sono ritrovata a vivere momenti che rimarranno indelebilmente saldati nei miei ricordi più cari.
Pensavo che il giorno dell’intervento non sarebbe mai arrivato.
Ho da poco vissuto l’esperienza più importante della mia vita. Mi sono affrancata dalle catene che mi tenevano ancorata a ciò che non mi sono mai sentita di essere: un uomo.
Ero stata ricoverata il 12 di luglio ed il giorno seguente mi avrebbero operata. Nella mia stanza al mattino stavo aspettando con trepidazione il momento in cui mi sarebbero venuti a prendere per condurmi nel blocco operativo.
Il tempo non passava mai, fino a che una infermiera vestita di verde entrò nella mia stanza porgendomi una camicia ed in quell’attimo ho capito che il momento era arrivato.
Ricordo solamente di essere stata messa sul tavolo operatorio, di avere visto tantissime persone intorno a me, una mascherina posta sul mio viso per l’anestesia e poi… il nulla.
Nella fase del risveglio dopo l’anestesia ho provato una sensazione di libertà e sollievo che non avevo mai provato prima di allora.
Il mondo trans comprende tantissime sfumature, e non tuttə ricorrono alla chirurgia, è una cosa molto personale che si matura durante il proprio percorso.
Se io non avessi fatto la chirurgia di riattribuzione del genere, ed ora ne ho la certezza, non mi sarei mai sentita veramente a mio agio con il mio corpo, sensazioni che si riflettevano negativamente ed inevitabilmente sulla mia vita di tutti i giorni.
Pensate alle cose più banali che una persona possa fare nell’arco di una giornata, come andare in palestra, in piscina o cambiarsi sul posto di lavoro. Tutto questo per me era una gara ad ostacoli.
In palestra provavo imbarazzo visto che non potevo logicamente togliermi le mutande per farmi la doccia, in piscina avevo paura che qualcosa scappasse fuori nuotando, cambiarmi sul posto di lavoro era una gara ad ostacoli.
Quando ho visto la mia baby per la prima volta dopo che i bendaggi erano stati rimossi mi sono commossa. Ho capito che ogni cosa ora era al suo posto, dove ho sempre saputo che fosse.
Una volta rientrata a casa ho iniziato la mia convalescenza e la scoperta di un organo che per me è nuovo per fattezze e funzionamento. E’ come se fossi tornata bambina ed in questo momento devo scoprire come funziona baby. La riabilitazione prevede delle sedute di dilatazioni che servono per mantenere la profondità e l’elasticità del canale vaginale.
Non è un intervento semplice, ci vuole tanto tempo per riprendersi, ma per me ne è valsa la pena.
A quanti stanno valutando la eventualità di sottoporsi a questa operazione, suggerisco di leggere il libro Un sesso invisibile – Sul transessualismo in quanto questione, dello psicologo Riccardo Galiani, che si interroga sulla forza di quelle persone di sesso maschile che intraprendono, come me, questo percorso che conduce alla completa cancellazione delle insegne del maschile. Il libro è arricchito da una rassegna critica dei più recenti studi e di alcuni resoconti di trattamenti psicoanalitici con pazienti transessuali.
Riuscendomi ad alzare da letto, anche se per poco tempo, mi sono concessa una coccola. Prendete un mixer e mettete all’interno 500g di farina 00 con 250g di burro, mixate sino ad ottenere una polvere. Aggiungete 200g di zucchero, 4 uova intere, una bustina di lievito chimico e 200ml di latte. Mixate rapidamente e versate il composto in uno stampo a cerniera imburrato ed infarinato.
Coprite lo stampo con delle pesche sbucciate e tagliate a spicchi. Spolverate con un po’ di zucchero ed infornate a 180 gradi per 35 minuti circa.