“Papà avrei dovuto ucciderti. Sei morto prima che ne avessi il tempo”. Con questi versi della nota poesia Daddy (1962), Sylvia Plath si affranca dal peso ingombrante del padre, si reinventa al di fuori del suo sguardo, lo trasforma in creatura da romanzo, in invenzione.

Così accade nella letteratura: le figlie si interrogano sui padri, ne scandagliano le contraddizioni, le ambivalenze, l’etica più o meno incorruttibile, la disposizione a divenire luogo di confronto e misura di ogni amore futuro, e poi: l’ammirazione cieca, le distanze irriducibili, i territori di libertà, di conflitto, di esperienza, e quelle strade lisce o tortuose su cui si dipanano tutti i modi di stare al mondo lontano da un padre.

In Cuore di furia di Romana Petri (Marsilio, 2020) il padre è un padre letterario e anch’egli, come tutti i padri della letteratura, non svincola dall’archetipo, piuttosto lo rinsalda. Jorge Tripe, il protagonista di questo romanzo, è il calco romanzato dello scrittore Giorgio Manganelli. Da lui prende la genialità, le asimmetrie, l’audacia del vivere, le ruvidezze di carattere e soprattutto l’estro brillante che lo vuole lontano da tutto. Petri ne segue il respiro dal giorno in cui lascia una moglie e una figlia di due anni, cambia città e si rifugia in un magazzino di granaglie dove inizia la sua produzione letteraria.

In breve tempo la sua malinconia lieve rapisce tutti, così come lo sporgere della sua scrittura sulla morte e sugli spazi innominabili, e Jorge Tripe diventa lo scrittore osannato e ammiratissimo. L’unico conto in sospeso rimane con la figlia abbandonata, Norama Tripe (anagramma dell’autrice non per vezzo ma per ammissione), che desidera a tutti i costi conoscere quel padre che l’ha rifiutata e che non ha mai più chiesto di lei.

Ma (nella letteratura come nella vita) nulla è semplice come si vorrebbe e le ombre dei padri lontani si allungano oltre ogni prova di sconfinamento. Così la vita di una figlia diventa presto una preghiera di liberazione: dai vuoti, dalle sparizioni, dall’amore implorato, sofferto e mai trovato. Tanto che alla fine rimane un’unica via di fuga; e come lascia intendere l’autrice: si cammina sui padri solo tradendoli, e poi piangendoli per sempre.

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