È stata la nota attivista Greta Thumberg a usare – in occasione del Forum “Youth4Climate” che apre e anticipa la Pre-COP26, con cui le Nazioni Unite preparano il summit di Glasgow sul cambiamento climatico – l’espressione bla bla bla, a significare le chiacchiere senza costrutto che caratterizzano le misure sin qui messe in atto da governi e istituzioni internazionali per tutelare l’ambiente.

Nel settore della sicurezza alimentare, qui intesa come food security (ma non solo), ossia come il diritto di avere accesso a cibo sano e nutriente, non siamo messi meglio. Anche qui c’è un gran bla bla bla e pochi fatti, poche azioni e nessun cambiamento veramente importante. I dati sulla fame nel mondo, infatti, sono sempre più preoccupanti, ovviamente aggravati dalla pandemia: nell’ultimo rapporto FAO il numero di persone denutrite a livello globale è salito a 811 milioni nel mondo, rispetto ai 720 milioni dell’anno precedente. Durante il 2020, quasi una persona su tre (2,37 miliardi) non ha avuto accesso a un’alimentazione adeguata e continuativa, soprattutto per ragioni di carattere economico.

Il Summit appena concluso
di cui nessuno parla

Ma cosa stiamo facendo di fronte a tutto questo? Premesso che la risposta deve provenire da più parti (ogni singolo cittadino deve attivarsi per consumare in modo consapevole, le imprese devono evitare di impoverire il suolo e di strozzare i piccoli agricoltori, gli Stati e le Organizzazioni internazionali devono intervenire a tutela di consumatori e produttori di cibo), a oggi sembra che siano i proclami a prevalere.

Il 23 settembre (con una serie di incontri durati sino al 28 dello stesso mese), ha avuto luogo a New York il Summit mondiale sui sistemi alimentari. Già al centro di polemiche, con il rifiuto di partecipare di una serie di associazioni del settore (ne parliamo qui), perché troppo incentrato sugli attori privati e quindi sulle imprese, la montagna ha partorito il topolino.

Lo si vede anche dalle notizie sul tema: il summit si è concluso da qualche giorno e nessuno ne parla. Non è emersa una proposta simbolica, volta a cambiare le cose, è difficilissimo individuare dei report delle sessioni o una relazione finale che dica qual è il risultato del summit. Qui il link al sito principale, obiettivamente di difficile consultazione. Sugli organi di stampa si trova pochissimo.

Nella dichiarazione di apertura del Segretario generale si leggono tanti buoni propositi già sentiti in passato. Ad esempio si dice che i “Food systems are shaping progress in three fundamental areas:

  • People — “Nourishing Everyone for Health and Wellbeing”
  • Planet — “Producing in Harmony with Nature”
  • Prosperity — “Inclusive, transformative and equitable recovery for the 2030 Agenda””.

Tutto molto bello e nobile, ma cosa vuol dire produrre in armonia con la natura? Rimane l’aggancio ad Agenda 2030, ossia il manifesto adottato nel 2015 per lo sviluppo sostenibile che individua un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità e ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo sostenibile, da raggiungere nell’arco dei 15 anni successivi (i Paesi aderenti si sono impegnati a centrare gli obiettivi entro il 2030).

Ma anche per questo collegamento lo stato dell’arte appare fumoso e incerto. Si tratta di un progetto, che ha sicuramente una valenza politica importante, che dice qualcosa del percorso da svolgere, ma che non riesce a far emergere gli impegni concreti, non solo delle istituzioni pubbliche coinvolte, ma anche degli attori privati che operano nel settore, su tutte le Multinational Corporations dell’agroalimentare.

Il prossimo
World Food Security Committee

A pochi giorni di distanza dal Summit di New York, si terrà a Roma un nuovo incontro dall’11 al 14 ottobre 2021 in occasione della 49^ sessione del World Food Security Committee della FAO. Anche di questo evento, che si verifica ogni anno, abbiamo già parlato. Rispetto ad altre conferenze internazionali presenta un’interessante elemento di originalità: il coinvolgimento diretto delle organizzazioni della società civile operanti nel settore.

Come già detto, infatti, da più di un decennio, ogni anno si tiene un pre-Summit mondiale delle organizzazioni della società civile sul tema della sicurezza alimentare. Questo precede di alcuni giorni il tradizionale incontro della FAO in seno al Committee on Food Security, ove si discutono le iniziative da porre in essere per affrontare il problema dell’accesso al cibo e della malnutrizione.

Nell’incontro che precede quello istituzionale si incontrano una serie di associazioni, movimenti e organizzazioni non governative operanti nel settore agro-alimentare e producono un documento finale, consegnato all’Agenzia delle Nazioni Unite, con una serie di rivendicazioni e proposte. Negli ultimi anni queste hanno riguardato la difesa della biodiversità e dell’ambiente, la promozione della filiera corta, la tutela delle tradizioni popolari, in special modo delle popolazioni indigene, e il rafforzamento del ruolo delle donne; sono volte a promuovere la partecipazione diretta della società civile al policy-making e a rinforzare il controllo pubblico su un settore così delicato che non può essere lasciato al mercato, né alla tecnica; avversano, infine, l’avvento di una nuova Rivoluzione verde, simbolicamente rappresentata dalle nuove biotecnologie (gli OGM), i diritti di proprietà intellettuale sulle risorse viventi e la privatizzazione di beni comuni, come l’acqua.

Queste proposte però non sono mai state tradotte in pratica.

E allora cosa dovrebbero fare le istituzioni globali di fronte al drammatico problema della fame nel mondo? I temi si conoscono, ma c’è bisogno di affrontarli in modo radicale, non con i proclami. Facciamo qualche esempio.

Contro i bla bla bla dove e come agire

La biodiversità va protetta sul serio, perché mantiene in vita non solo piante e animali, ma anche intere popolazioni del Sud del mondo. E quindi la standardizzazione del cibo va ostacolata e limitata. Mentre vanno incentivate le produzioni agro-ecologiche, che proteggono il patrimonio e la varietà delle specie vegetali e animali.

L’ambiente va protetto sul serio, perché i cambiamenti climatici stanno creando siccità e scombussolamenti atmosferici tali da impoverire ulteriormente le zone meno sviluppate del pianeta, incidendo quindi sia sulle risorse agro-alimentari sia su quelle economiche per acquistare prodotti.

Il consumo di cibo non può essere lasciato solo alle dinamiche di mercato e alla legge della domanda e dell’offerta perché vi sono troppe asimmetrie informative e troppi sbilanciamenti nella forza commerciale degli attori operanti nei mercati globali. Quindi la regolazione deve essere invasiva: proibendo, limitando, incentivando, controllando gli operatori del settore. Correggendo il mercato e non assecondandolo soltanto.

La ricchezza va redistribuita, perché l’accesso al cibo si incrementa se si incrementa il potere di acquisto dei più poveri. Quindi la fame del mondo si combatte con maggiore ricchezza diffusa, prima ancora che con maggiori rese agricole.

La tecnologia può aiutare, ma non è la panacea di tutti i mali. Non lo sono gli OGM, soprattutto se costituiscono un’innovazione appannaggio di grandi imprese economiche per incrementare i loro profitti e non a favore dei contadini e delle popolazioni.

Si tratta di sfide enormi, difficili, ma indispensabili. Per vincerle occorre intraprendere scelte coraggiose sul piano della regolazione pubblica dell’economia, con opzioni che contrastano con il pensiero dominante. È un compito arduo, ma per affrontarlo non bastano certo i bla bla bla.

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