Il DNA degli Antinori nel Guado al Tasso 1995
I Marchesi Antinori e la responsabilità dell'appartenenza a una famiglia antica, che risale al tempo dell'Arte minore dei Vinattieri.
I Marchesi Antinori e la responsabilità dell'appartenenza a una famiglia antica, che risale al tempo dell'Arte minore dei Vinattieri.
Quella degustazione clandestina fatta un po’ di giorni fa, è stata forse per me e per gli altri, il momento più elettrizzante di questo tempo, dove incontrarsi è un regalo. Così come quel vino di 26 anni che ci ha lasciato senza parole. Il Guado al Tasso Bolgheri Superiore merita nei miei pensieri lo stesso rispetto e reverenza che si deve agli anziani. Ha guardato tutto dal suo vetro e respirato, tramite il suo sughero, gli anni che passavano. Io non ricordo a che punto ero della mia esistenza mentre stava per cominciare la sua vita, ma so per certo che chi lo ha imbottigliato, ha una storia che comincia intorno al 1200. Parliamo della famiglia dei Marchesi Antinori, una delle più importanti e antiche al mondo quando si parla di vino. Circa 800 anni di persone che si sono tramandate scelte, decisioni, errori, successi, lasciando ad ogni generazione successiva la responsabilità dell’appartenenza. Non deve essere così facile conviverci.
Il primo seme vero e proprio della vite, se così si può dire, è durante il Rinascimento a Firenze, grazie a Giovanni di Piero Antinori. Nel 1293 nacquero le corporazioni delle arti e dei mestieri, e tra queste oltre a quelle della Seta (dove la famiglia aveva già interessi molto importanti), l’Arte minore dei Vinattieri a cui lui si unì nel 1385. Per inciso, quando ne lessi la prima volta, rimasi stupita per la modernità e la lungimiranza commerciale dello statuto, dei veri ReWriters rinascimentali di cui parleremo un’altra volta. Torniamo agli Antinori. Sicuramente da quell’iscrizione, la loro produzione vinicola non ha più avuto sosta e oltre a questo, é indubbio che in tutti questi anni, o meglio secoli, molti appartenenti siano stati personaggi di punta nel mondo politico e culturale. Bastiano Antinori, per citarne uno, conosciuto con il nome “Grattugiato” era nel 1583, uno dei primi affiliati dell’Accademia della Crusca, tuttora la più antica Accademia linguistica del mondo. Ma l’evento che lega indissolubilmente questa dinastia al vino é la partecipazione fondamentale al Bando Mediceo del 1716, quello voluta da Cosimo III de’ Medici, di cui Antonio Antinori fu uno dei fautori. E qui adesso mi fermo, facendo la piegatura ad angolo sulla pagina del libro, per saltare qualche capitolo ed arrivare alla Tenuta di Guado al Tasso a Bolgheri, quel luogo bellissimo in Toscana, dove i cipressi che delimitano la strada, hanno ispirato la poesia di Giosuè Carducci.
Avete presente la conformazione di un anfiteatro? Ecco questo posto viene proprio chiamato così: anfiteatro bolgherese. Ci sono più di 300 ettari di vigna in una piana circondata da colline che vedono e respirano il mare. Negli anni ’70 era la zona dei vini rosé oltre che dei bianchi, tant’è che nel 1984 ha ricevuto la DOC. Ma il vero successo é stato spostare l’attenzione dal Sangiovese, che era non troppo a suo agio in quel terreno, ai vitigni internazionali a bacca rossa provenienti dalla Francia. Per cui largo e studio a Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syrah, a Petit Verdot. Così tra ciottoli, argille e limo, nel 1990 nasce la prima bottiglia, lasciando tutti di stucco, per la capacità di emozionare il palato con potenza ed eleganza.
La verità storica ci racconta comunque che la prima etichetta a stupire con l’uso dei vitigni bordolesi fu qualche anno prima, Sassicaia nella vicina Tenuta San Guido (un’altro racconto bellissimo). E se proprio vogliamo saperne di più, entrambe le tenute appartenevano in origine ai nobili Della Gherardesca. L’annata che abbiamo bevuto, quasi sicuramente del 1995, era a base di Cabernet Sauvignon e Merlot, aveva sostato in barriques per più di 2 anni e affinato in bottiglia per un altro po’. Cioè 26 anni. Ed è qui che non so più che parole trovare per coinvolgervi e trasmettervi la sensazione di vita che ci ha travolto all’assaggio. Ci guardavamo, in silenzio, sperando che gli occhi potessero parlare. Da non crederci. Tant’è che il mio amico vignaiolo, quando ha ripreso l’uso della voce, ha detto: “chissà se anche il mio vino sarà mai così”. Francamente, non lo so, ma glielo auguro. Stavolta ho tenuto anche il vetro vuoto, così a ricordarmi come sia stato bere in pochi bicchieri ciò che io ho fatto mentre quel rosso mi guardava, ma soprattutto che avergli tolto il tappo, gli ha dato la libertà di esprimersi, restando unico in mezzo agli altri.